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Suor Monia Alfieri: “La mia ispirazione? Una maestra uccisa dalla mafia”

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“La cultura permette la libertà di pensiero e di parola: allora sarai libero per sempre”. E’ forse una delle frasi che meglio descrivono la missione di suor Anna Monia Aflieri, religiosa delle Marcelline da anni impegnata in favore delle scuole paritarie e del “costo standard di sostenibilità” quale criterio principale per il finanziamento scolastico.

Per il suo instancabile impegno nella difesa del pluralismo educativo, suor Monia (che all’invidiabile preparazione culturale aggiunge un’altrettanto invidiabile fede religiosa) è stata insignita lo scorso 17 novembre dell’Ambrogino d’Oro, l’onorificenza conferita dal comune di Milano.

Scuole paritarie dimenticate?

Da mesi suor Monia sta lanciando un grido d’allarme denunciando il rischio della chiusura delle scuole paritarie a causa dell’assenza di finanziamenti da parte dello Stato come conseguenza del lockdown e della pandemia. La sua è tra le voci più accreditate sui problemi dell’organizzazione dei sistemi formativi: ha infatti due lauree (una in economia e una in giurisprudenza) ed è inoltre docente di “Management scolastico e direzione delle scuole paritarie” presso ALTIS Università Cattolica del Sacro Cuore. Per lei ha avuto parole di elogio – tra gli altri – anche Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati e consigliere comunale a Milano, nonché ex Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca del governo Berlusconi. Dal 2016, inoltre, fa parte della Consulta di Pastorale scolastica e del Consiglio Nazionale Scuola della CEI.

Incontri importanti

La sua vita di fede e di impegno sociale non nascono dal nulla, come lei stessa racconta a In Terris, ma hanno radici lontane che iniziano in famiglia “primo nucleo educativo della socità” e proseguono con incontri importanti che le hanno segnato la vita, come quella con una maestra coraggiosa, vittima di mafia, e una suora. Cultura, impegno e fede rappresentano così il fil rouge della sua vocazione, come lei stessa ci racconta.

L’intervista

Suor Monia, quando e perché hai deciso di consacrare la tua vita a Gesù?
“Ricordo, da bambina, le mie due zie suore, che inizialmente per me avevano il fascino dei supereroi. Quel mistero aveva ceduto il passo a tanta normalità, che raffigura un po’ anche il mio cammino vocazionale. La mia vita è trascorsa come quella di una qualsiasi adolescente, fra gli studi e le vacanze, i giochi con i fratelli. Mia mamma diceva che non ero proprio portata per essere una brava casalinga, al contrario di lei. E ammetto che i miei due fratelli, Francesco e Antonio, sono molto bravi nei lavori domestici. Quando si dice la parità di genere al contrario …!”.

“Quando ero al liceo – prosegue – iniziai un lungo discernimento con le suore di santa Chiara e con le suore di San Vincenzo. Oscillavo tra il desiderio di divenire o una suora di clausura e una suora medico. Tutto questo sino a quando, per caso, non incontrai in parrocchia una suora Marcellina, suor Paola Gabrieli e poi altre Marcelline, mentre trascorrevano le ferie in famiglia nella mia città. Il rapporto di amicizia è cresciuto: eppure non mi hanno mai parlato della vita religiosa. Mi parlavano dei bambini, delle scuole, del valore della cultura, che ritenevo temi molto importanti. Mentre loro mi parlavano del loro carisma in modo così sobrio, elegante, normale, io mi ritrovavo pienamente. Questa è la caratteristica di un bravo educatore: sono infatti esperte educatrici. Il bisogno di libertà ha sempre caratterizzato la mia infanzia, la mia adolescenza, anche la mia scelta vocazionale e la mia quotidianità”.

Ha studiato in una scuola paritaria?
“Ho studiato in buone scuole pubbliche statali. Al pomeriggio, per lo svolgimento dei compiti, frequentavo un doposcuola gestito da privati. Nipote di zie che avevano sempre insegnato in scuole pubbliche statali, abituata ai discorsi sentiti in famiglia, per me esisteva solo la scuola pubblica statale. Ricordo che non frequentai nè il liceo classico né lo scientifico, perché una mia zia era la preside ed io non volevo affatto che ci fosse il dubbio della raccomandazione. Così mi indirizzai verso l’Istituto Tecnico Commerciale, la vecchia cara “Ragioneria”. Ma mia mamma volle la sezione migliore: entrai nella temuta sezione E. Partiti in 30, alla maturità siamo arrivati in 10, tanto che fu necessario unire due sezioni”.

Ha avuto un’insegnante che l’ha particolarmente ispirata?
“Sì, la maestra Renata Fonte. E’ per me l’emblema della docente e della donna al servizio della società. Un ricordo che ho ancora vivo. Era il 31 Marzo 1984, un tardo pomeriggio; avevo nove anni ed era terminato il doposcuola, in una buona scuola pubblica statale che i miei genitori avevano scelta per gli ottimi docenti e per le attività pomeridiane di qualità. Anni spensierati con bravi maestri, che sapevano condire lo studio e l’applicazione con attività divertenti. A me piaceva andare a scuola e ricordo l’intesa (nessuna sbavatura, nessun contrasto, certamente perché cautamente evitato nel rispetto delle parti) fra i miei genitori, i primi responsabili della mia educazione, e il maestro. Allora c’era il rispetto dei ruoli, considerati come responsabilità vissuta in prima persona piuttosto che come rivendicazione da ring per giustificare il proprio fallimento. Ritorno a quel pomeriggio, avevamo terminato i compiti e le maestre visibilmente stanche (i docenti lavorano non solo in classe, molto del lavoro è nei consigli di classe, collegi docenti, incontri con le famiglie e preparazione personale) erano sulla porta della classe ad attendere i nostri genitori. La maestra di turno in quei giorni era Renata Fonte, quel pomeriggio stanca e molto raffreddata”.

“Io, bimba sensibile ma anche curiosa, ascoltavo il dialogo fra le maestre. Come è vero che i bambini ci guardano e i ragazzi assorbono da noi più con l’esempio che con mille regole! La collega le dice ‘Sei davvero raffreddata, avrai anche la febbre! Quando arrivano i genitori, vai a casa’ – ho ripescato nella mia memoria il luogo, le parole esatte. Renata Fonte rispose: ‘Sì, avrò forse la febbre, ma oggi ho il Consiglio comunale: non posso mancare'”.

“Quelle parole chiare, semplici, forse anche un po’ ruvide – ricorda suor Monia – risuonarono in me bambina come quel senso del dovere che porta a fare le cose bene, sino in fondo, senza sconti. Chissà se quelle due maestre notarono che tra quei bambini che giocavano davanti alla porta della classe, in quel corridoio ricco dei disegni di noi bimbi, una bambina timida e riservata (erano costanti nei miei giudizi in pagella queste due paroline) si era fermata a guardarle e ad ascoltarle? Forse no, tuttavia quelle parole pronunciate da una autorità per me, la Maestra, segnarono la mia vita. Da bambina curiosa, domandai alla maestra Renata: “Ma se lei rientra tardi a casa, le sue bambine cosa mangiano?” Mi rispose in modo determinato, così come era lei, essenziale e diretta “Le mie bambine sono autonome; ho insegnato loro a cavarsela. Sanno cucinare”. Rimasi stupita, erano poco più grandi di me ed io sinceramente senza la mamma in casa sarei stata persa. Il giorno dopo risuonava in città e nella mia scuola, in modo lapidario, la notizia: “Hanno sparato a Renata Fonte”. Alcune classi andarono al funerale, la mia no. La mia maestra decise così e a me bimba, in fondo, andava bene la scelta. Ho così conservato il ricordo di una maestra che, in quel rapido scambio di battute, mi aveva insegnato che è bello vivere impegnandosi per un ideale, spendendo la vita a favore di qualcosa di grande. Renata Fonte, vittima di mafia: così fu decretato negli anni a seguire”.

L’omicidio di Renata Fonte venne commesso a Nardò il 31 marzo 1984. La vittima era un assessore alla cultura e alla pubblica istruzione del comune di Nardò, eletta nel 1982 nelle liste del PRI. Fu la prima donna nel 1982 ad assumere la carica di assessore alla cultura e alla pubblica istruzione. Venne uccisa la notte del 31 marzo a Nardò da due sicari con tre colpi di pistola mentre ritornava a casa dopo una seduta del consiglio comunale. Durante suo il mandato, al fine di difendere l’area di Porto Selvaggio dalla speculazione edilizia, promosse una modifica al piano regolatore; l’omicidio venne commesso pochi giorni prima dalla seduta nella quale si sarebbe decisa la modifica da lei proposta.

Suor Monia, come e quando ha scelto la ‘missione’ delle scuole paritarie?
“Negli anni 90 cominciai ad interessarmi di Borsellino e Falcone. Leggendo di loro mi sono imbattuta negli scritti di Aldo Moro, Sturzo. E allora il finale è scritto: libertà di scelta educativa, pluralismo scolastico, diritto di apprendere”.

“Quel bisogno innato in me di libertà diveniva da libertà individuale a libertà sociale e quindi responsabilità sociale. Maturava la mia vocazione ma anche questo senso civico che poi è stato completato con gli studi di diritto ma anche con un bisogno di un impegno civile serio a favore della libertà. Ho capito che quel bisogno di libertà stava evolvendo e così, da una visione individualistica, mi aprivo ad una responsabilità sociale. Quindi la mia vocazione e l’impegno civico sono strettamente connessi ed interdipendenti. Non esisterebbero singolarmente. Non c’è nella mia vita un prima e un dopo, ho sempre visto continuità nei percorsi. Ecco perché credo sia importante che le due cose vadano tenute sempre insieme”.

Cosa c’è ancora da fare per una reale parità e libertà di scelta educativa in Italia?
“Siamo alle ultime battute, il Covid ci ha aiutati a superare il muro dell’ideologia e a chiarire che la scuola italiana non è ripartita per tutti: sono rimasti esclusi poveri e disabili. Possiamo e dobbiamo impedire che la scuola 2021 divenga un privilegio. Guai se il diritto all’istruzione si trasforma in un privilegio. Quindi occorre rivedere le linee di finanziamento del sistema scolastico italiano, dando autonomia alla scuola statale, libertà alla scuola paritaria, introducendo i costi standard di sostenibilità (5.500 euro il costo di un allievo) da declinare in detrazioni, convenzioni, voucher, dote scuola. Possiamo farcela e ne vale la pena a) per la libertà di scelta educativa della famiglia, b) per la libertà di insegnamento dei docenti, c) per un risparmio intelligente e per un reimpiego di risorse sottratte allo spreco da parte dello Stato”.

A chi dedica l’Ambrogino d’oro?
“Lo dedico ai miei genitori: papà Luigi (è morto 4 anni fa a 63 anni, per un tumore, in tre drammatici mesi di malattia) e a mamma Cristina. A loro devo tutto. I genitori sono i primi responsabili dell’educazione dei figli: ecco perché, attraverso di loro, lo dedico a tutti i genitori italiani, con l’auspicio che possano poter scegliere liberamente, senza alcun condizionamento economico, la scuola per i propri figli. Da figlia e sorella ho chiaro quanto i genitori possano incidere sull’equilibrio e sulla serenità dei loro ragazzi”.

“Appena ho appreso dell’Ambrogino l’ho subito visto come un’occasione per rilanciare questi temi: autonomia, parità e libertà di scelta educativa. Se una istituzione civile ha riconosciuto che la battaglia per la libertà di scelta educativa merita una medaglia d’oro, allora possiamo sperare che meriti una attenzione con la legge di bilancio ora in Parlamento e poi con una riforma completa del sistema scolastico”.

“Ho un altro aneddoto – aggiunge suor Monia – ho ascoltato da mio padre, diploma di perito meccanico, la prima spiegazione che negli anni ho ritenuto fondata teologicamente. Avevo circa 6 anni, eravamo in giardino e ricordo, come fosse ieri, che a lui, mentre si lavava le mani, chiesi ‘Papà, ma come fa Dio a proteggere te che sei al lavoro e noi che siamo in casa?’ Essendo due posti diversi, non me lo spiegavo. La risposa essenziale di mio padre ‘Perché Dio è onnipotente, può tutto ed è un Padre buono’. Spiegazione teologica perfetta! E’ un grande dono che mio padre mi ha fatto. Mi auguro che anche in Italia i genitori possano scegliere per i propri figli una buona scuola, senza che nessuno possa mai più sentirsi escluso per ragioni economiche. Le discriminazioni fanno sempre male, siano esse di genere, di razza, di condizioni economiche e producono sempre morte”.

“Vi faccio un’ulteriore – e ultima – confidenza: il nome stesso del riconoscimento ‘Ambrogino’ mi risulta simpatico e familiare. Come dicevo prima, appartengo alla Congregazione delle Suore di Santa Marcellina. Il nostro Fondatore, il sacerdote milanese Luigi Biraghi, vissuto nell’Ottocento, ha scelto di intitolare la sua Congregazione a Santa Marcellina, sorella di Sant’Ambrogio e di San Satiro. I due fratelli erano stati educati dalla sorella. Una Congregazione nata per educare non poteva avere figura di riferimento migliore! Il carisma educativo è un reale dono per le società di tutti i tempi, ma in modo particolare per la nostra. Porre la persona al centro, sia essa il giovane con la sua storia e i suoi bisogni o la famiglia con le sue difficoltà o ancora il docente con la sua sensibilità e la sua cultura è quello che il carisma della Congregazione cui appartengo si propone di fare. Il tutto rispettando la libertà personale, in un rapporto educativo che unisce dolcezza e fermezza. Ogni Congregazione ha il suo stile educativo, uno stile educativo che si traduce in civiltà e responsabilità. Ecco perché, nell’attuale contesto, non solo la famiglia è privata dell’esercizio di un importante diritto ma la società rischia di perdere presidi di civiltà. Le Congregazioni e le realtà ecclesiali rischiano di non poter più attuare il loro progetto educativo di fondazione – che nei secoli ha fatto tanto bene alla società italiana – per una questione puramente ideologica”.

“Al contrario l’ideologia dovrebbe cedere il passo all’onestà intellettuale che porta a considerare il bene del cittadino, in questo caso del cittadino più debole, con uno sguardo limpido e scevro da ogni preconcetto. E si badi bene: il mio impegno di religiosa, come di tante altre sorelle di altre Congregazioni, a favore della res publica non si allontana dal carisma d’origine: il Biraghi, così come tanti altri Fondatori di Congregazioni, hanno pensato le loro opere per riformare la società dall’interno, perché quei bambini e ragazzi da loro educati diventassero non primariamente sacerdoti o suore, ma diventassero innanzitutto cittadini onesti e responsabili e genitori veramente aperti al bene dei loro figli. Così è stato per l’ex alunna Giuditta Alghisi Montini, mamma di San Paolo VI!”.

Milena Castigli: