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Suicidio assistito o invito a “togliere il disturbo”?

Le motivazioni della sentenza per il processo Welby-Cappato e la sintesi di Pro Vita: "Il malato non si sentirà, forse, un po' obbligato a togliersi di mezzo?"

Il requisito dei trattamenti di sostegno vitale non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza da una macchina, ma è da intendersi a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, sia esso realizzato con terapie farmaceutiche o con l’assistenza di personale medico o paramedico o con l’ausilio di macchinari medici. Così recitano le motivazioni della sentenza di assoluzione di Marco Cappato e Mina Welby dal reato di istigazione e aiuto al suicidio di Davide Trentini, rese note martedì dalla Corte di Assise di Massa.

L’analisi di Pro Vita

I giudici del tribunale toscano ci dicono dunque che i trattamenti farmacologici uniti all’assistenza personale possono rientrare nel “sostegno vitale” ed essere considerati uno strumento di accanimento terapeutico. La lettura data da Pro Vita, associazione aderente al family Day, è difficilmente contestabile: “Siamo all’ultima beffa, il malato non si sentirà, forse, un po’ obbligato a togliersi di mezzo?”. “Ecco, allora, il vero volto di questi diritti – continua l’organizzazione pro life – l’incentivazione alla morte del soggetto fragile, come rivela un’indagine del National Council on Disability che dimostra che la morte di Stato non introduce la libertà di scelta ma spinge i malati a uccidersi, facendoli sentire un peso e non offrendo loro opzioni di vita”.

Il pensiero del Papa

Il pronunciamento dalla Corte di Assise appare ancora più stonato se consideriamo che è arrivato ad appena due giorni dalla Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio che si è celebrata giovedì 10 settembre. La ricorrenza è stata anche tra i pensieri di Papa Francesco, con un tweet pubblicato ieri che recita così: “Oggi, nel dramma della #pandemia, di fronte a tante certezze che si sgretolano, di fronte a tante aspettative tradite, nel senso di abbandono che ci stringe il cuore, Gesù dice a ciascuno: “Coraggio: apri il cuore al mio amore. Sentirai la consolazione di Dio, che ti sostiene”.

Un richiamo

Non a caso il Pontefice ha messo l’accento sugli effetti nefasti del corona virus che hanno colpito persone di ogni età e classe sociale. Anche uomini e donne senza alcun problema psico-fisico hanno infatti registrato forme depressivo-ansiose dovute dell’isolamento sociale richiesto dal lockdown, alla minaccia sanitaria portata dal virus del Covid-19 e al peggioramento della condizioni economiche e della qualità della vita.

I numeri

Il Santo Padre ci ricorda pertanto l’importanza della fede e dell’affidarsi al conforto di Dio. Convincersi di bastare a sé stessi, nascondere le fragilità o, peggio ancora, togliere il disturbo con forme mascherate di suicidio di stato non è la via che Cristo. La cultura dello scarto emerge però in tutta la sua drammaticità nelle stime sull’aumento dei suicidi che arrivano da numerose nazioni, si tratta di casi correlati alla grande crisi economica innescata dalla pandemia. Da Marzo solo in Italia sarebbero oltre 70 i suicidi e 46 i tentativi di togliersi la vita correlati al coronavirus. Le cronache raccontano tante storie di sofferenza. In tutto il mondo circa 800 mila persone muoiono ogni anno per suicidio, una persona ogni 40 secondi.

Vicinanza e ascolto

Tuttavia la maggior parte delle persone che manifestano pensieri suicidi vuole vivere e parlarne apertamente con un persona che sappia aiutarli. Ma mostrare le proprie ferite in una società votata alla perfezione non è semplice. In questa cornice la vicinanza e l’ascolto restano infatti le armi più potenti per la prevenzione. Per questo motivo spalancare le porte all’eutanasia significa arrendersi alla deriva nichilista già imboccata dai Paesi del Nord Europa.

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