Nel 2011, da quando il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza, il Paese ha vissuto una serie di crisi che hanno contribuito a una situazione di instabilità persistente. Le speranze iniziali di pace e prosperità sono state rapidamente offuscate da un conflitto civile scoppiato nel dicembre 2013 tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e quelle leali all’ex vicepresidente Riek Machar. Nonostante vari accordi di pace, le tensioni etniche e politiche continuano a dominare il panorama nazionale, rendendo difficile il raggiungimento di una stabilità duratura. Tale situazione, unita al recente conflitto divampato nel vicino Sudan, ha avuto e sta avendo un impatto devastante sulla popolazione civile, con milioni di persone costrette a lasciare le proprie case. La povertà è dilagante, aggravata da una crisi economica acuta e dalla mancanza di infrastrutture essenziali e corredata da una grave vulnerabilità sociale. Interris.it, in merito all’attuale situazione nel Paese e agli aiuti umanitari messi in campo, ha intervistato il dott. Massimo Maggio, direttore di CBM Italia.
L’intervista
Dottor Maggio, come si sta connotando l’attuale situazione in Sud Sudan?
“Vorrei ricordare le parole di Papa Francesco che, recentemente, durante l’Angelus, ha ricordato che il conflitto è in corso in Sudan sta causando una la più grave crisi umanitaria nel mondo, con conseguenze drammatiche anche in Sud Sudan. Il Santo Padre, quindi, ha posto l’attenzione sulle ‘guerre dimenticate’ che, anche in Sud Sudan, Unite ai disastri climatici come la siccità e l’insicurezza alimentare, stanno portando ad una crisi umanitaria in cui, il 75% della popolazione, corrispondente a circa 9 milioni di persone, vive in difficoltà economica e insicurezza alimentare. Tutto ciò si somma alle migliaia di migranti e rifugiati, pari a circa 1500 al giorno secondo l’Onu che, dal Sudan, valicano il confine per recarsi in Sud Sudan”.
Quali azioni sta mettendo in campo CBM Italia per supportare la popolazione civile in questo contesto?
“CBM Italia è presente in Sud Sudan con numerosi progetti, in particolare nelle zone più a rischio come il campo profughi di Gorom, alle porte della capitale Juba, dove sono stato di recente e in cui vivono 14 mila rifugiati provenienti dai Paesi limitrofi. Qui abbiamo lanciato due progetti, uno si chiama ‘Nutrire il futuro’ ed è dedicato alla promozione della sicurezza alimentare. L’altro invece si chiama ‘Acqua, Igiene, Speranza’ ed è focalizzato sulla costruzione di pozzi inclusivi con pompe manuali e la relativa formazione di meccanici per la loro manutenzione, e la creazione di un comitato di gestione di tutte le strutture idriche, oltre alla costruzione di latrine accessibili; e si completa con la fornitura di kit igienici specifici per le donne. La speranza, alla base dell’insegnamento del Giubileo che stiamo vivendo quest’anno, significa proprio impegnarsi per garantire loro un futuro”.
Quali sono i vostri auspici per il futuro riguardo allo sviluppo delle attività in Sud Sudan? In che modo, chi lo desidera, può aiutare la vostra azione?
“Desideriamo continuare a sviluppare questi progetti i quali, si sommano a quelli delle cliniche oculistiche mobili già attivate all’interno del campo profughi di Gorom. Le stesse vengono dalla vicina Giuba dove, nel 2015, abbiamo costruito il primo centro oculistico. Tutte le attività vengono svolte in una logica di localizzazione, ovvero operando insieme a partner locali, come l’associazione ‘Across’. Il nostro desiderio è di essere presenti in tutto il territorio del Sud Sudan. Chi desidera, può sostenerci attraverso un aiuto concreto visitando il nostro sito in cui sono indicate tutte le possibili modalità per farlo”.