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Sud Sudan e Congo: drammi che risultano fuori dai nostri orizzonti

Papa Francesco parte per il Congo e il Sud Sudan. La malattia non gli ha dunque impedito di compiere il viaggio che aveva annunciato e poi rinviato, per motivi di salute, dopo l’intervento chirurgico e l’acuirsi del problema al ginocchio. Dunque Francesco non cancella gli “altri” conflitti, le altre ferite nel corpo di una globalizzazione che non funziona e di imperialismi che funziona ancor meno. E’ in questa drammatica forchetta, evidenziata in tutta la sua drammaticità dal conflitto in Ucraina, che va collocato il senso di questo viaggio lontano dai riflettori, ma vicino al cuore del problema del mondo d’oggi: la globalizzazione non va, gli imperialismi vanno ancora di meno.

La prima tappa sarà in Congo, dove si confrontano 160 milizie forti di 20mila uomini in armi, che si contendono una delle terre più ricche del mondo. Le più forti di queste formazioni miliziane sono connesse ai “potenti vicini”, il Rwanda e l’Uganda, e che da vent’anni insanguinano il Congo e in particolare modo il Nord Kivu. Poi ci sono i gruppi della crescente, arrembante micro-criminalità, bande di giovani che si riuniscono in piccoli gruppi per predare, rubare.

Il disastro del Congo sta nella ricchezza del suo sottosuolo, che lo rende appetito da tutti. I diamanti hanno sostituito rame e cobalto come principale voce delle esportazioni. Il cobalto, di cui è ricco il Paese, finisce nelle mani dei cinesi. I diamanti, oltre 22 milioni di carati, sono nelle mani delle multinazionali. Il coltan – estratto praticamente solo in Congo – prezioso per l’industria della telefonia mobile, è gestito dal Rwanda. Nel Paese si trova di tutto: legno, rame, cobalto, coltan, diamanti, oro, zinco, uranio, stagno, argento, carbone, manganese, tungsteno, cadmio e petrolio.

Il cuore della visita in Congo, gigante disperato, sarà dunque nel confronto con questo incredibile contrasto: ricchezza sotto il suolo, miseria sopra. E’ evidente lo sfruttamento della disperazione da parte dei signori della guerra, ma anche la necessità di un accordo tra prospettiva locale e prospettiva globale. Il localismo da solo si è dimostrato incapace di risolvere i problemi, e la globalizzazione non ha offerto una soluzione, al contrario, ha aggravato i problemi, rimarcando l’importanza delle risorse materiali ma non offrendo alcun riconoscimento retributivo a chi vive su quelle terre.

La seconda tappa vedrà il papa in Sud Sudan, dove il viaggio diventerà un pellegrinaggio ecumenico, visto che il Papa lo visiterà insieme all’arcivescovo di Canterbury ed al moderatore delle Chiese di Scozia. E’ una presa d’atto del fatto che il Sud Sudan non è stato quel che si sperava, uno Stato capace di offrire riparo ai cristiani, e agli animisti, dalle violenze del regime di Khartoum, la capitale sudanese che per decenni ha ispirato a addirittura guidato la mano di milizie criminali che hanno devastato il Paese nel nome del fanatismo fondamentalista. L’ultimo caso, tragicamente noto, è stato quello degli efferati janjaweed, famosi per le razzie contro la popolazione del Darfur.

Anche il Sudan è un Paese ricchissimo, ma la storia golpista di Khartoum, dove i golpe militari hanno a lungo portato al potere i fondamentalisti islamici, lo ha reso un inferno per le altre popolazioni. E il Sud Sudan si è separato. Una scelta che però non ho prodotto i risultati sperati: milizie e tribalismi sono rimasti i nodi più gravi, capaci di armare un gruppo contro l’altro, un presidente contro un vice.

L’estenuante trattativa contro Khartoum ha stremato il Paese: il petrolio in gran parte è qui, ma è in Sudan la pipe-line che lo porta verso il Mediterraneo. La vita del giovanissimo Sud Sudan è stata subito in salita, e i leader sono presto finiti uno contro l’altro, creando una milizia contro un’altra milizia. Tra i protagonisti del conflitto emergono il Movimento di liberazione del popolo sudanese/esercito-in opposizione, vicino al vice-presidente Rieck Machar e le Forze di difesa del popolo sudsudanese, che si richiamano al presidente Salva Kiir. Neanche il Natale ha fermato i combattimenti in questo Paese a maggioranza cristiana. La guerra tra Machar e Kiiir è soprattutto etnica, o tribale, che può sembrare l’antica faida tra pastori e agricoltori, ma in gioco ci sono petrolio e ingenti risorse minerarie.

Ma questi drammi risultano fuori dai nostri orizzonti, nonostante che ci si contendano ricchezze che entrano quotidianamente nelle nostre politiche economiche. E’ la globalizzazione dell’indifferenza, di cui Francesco ha parlato in termini chiarissimi in Evangelii Gaudium: “Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo”. Il viaggio del papa ne constaterà la lontananza da noi, sebbene tutto ciò sia vicinissimo al cuore politico e culturale dei problemi che ci assillano.

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