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Sos carceri. Una testimonianza di umanità dietro le sbarre

Logo Interris - Carceri, il 7 dicembre i protestanti celebrano la domenica delle “catene spezzate”

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Emergenza carceri. Esce in libreria “Verso Ninive. Conversazione su pena, speranza e giustizia riparativa” (Rubbettino). Il libro è una conversazione tra il cardinale Matteo Maria Zuppi e Paola Ziccone. Ex direttrice del carcere minorile di Bologna. Oggi direttrice dell’Area esecuzione dei provvedimenti del giudice minorile del Centro giustizia minorile di Emilia e Marche. Il libro è poi arricchito dalla postfazione di Adolfo Ceretti, una delle voci più importanti in Italia sui temi carcerari. Il professor Ceretti insegna Criminologia all’Università di Milano-Bicocca. Ed è coordinatore scientifico dell’Ufficio di mediazione penale di Milano

Carceri e giudizio

“Molte volte il detenuto non riesce a responsabilizzarsi rispetto al male compiuto- osserva l’arcivescovo di Bologna-. Semplicemente perché, in una logica meramente retributiva, viene immediatamente identificato con il proprio errore. E di conseguenza, non riesce ad acquisire una percezione oggettiva del male compiuto“. È il grande tema del giudizio e del giudicare l’altro. Di cui parla Gesù nel Vangelo: “Non giudicare, per non essere giudicato”. L’emettere un giudizio, aggiunge il cardinale, “equivale a condannare“. E “nella giustizia meramente retributiva, equivale a formulare un assioma”. Quello per cui “il colpevole è la sua colpa“. E, di conseguenza, va solo condannato e punito. “Questa era l’ossessione dei farisei di cui spesso ci parla il Vangelo– sostiene monsignor Matteo Maria Zuppi-. Essi dovevano giudicare per riuscire a mettere tutto in chiaro. Col problema che non c’era nulla di chiaro. Perché essi non sapevano giudicare se stessi“.

Pagliuzza invece della trave

A tale proposito il cardinale definisce “bellissima” la domanda che Gesù pone nel Vangelo: “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi
della trave che hai nel tuo occhio?”. La risposta, secondo l’arcivescovo di Bologna, è legata “alla paura di scoprirsi uguali agli altri. Giudico l’altro per poter dire: ‘io non sono come lui‘”. Inoltre “è fondamentale per un carcerato riuscire a coltivare un po’ di speranza. E avere l’idea che si può avere ancora un futuro. Purtroppo la mentalità prevalente ci porta a identificare il carcere con il luogo in cui deve essere negata ogni speranza. Le espressioni semantiche con cui si descrive il carcere vanno chiaramente in questa direzione. La classica espressione ‘marcire in prigione‘, non significa altro se non questo. Il carcerato non deve avere futuro. Né poter sperare in un futuro“.

Cambiamento

Un’espressione del genere, secondo il porporato, è “rassicurante”. Perché “accarezza la mentalità giustizialista e retributiva. Che sembra essere l’unica capace di
dare vera sicurezza”. Al contrario, in Italia, “il sistema penitenziario dovrebbe garantire la speranza di cambiamento e di rieducazione”. Sarebbe questo il dettato Costituzionale. puntualizza il cardinale Zuppi. Ed è questo “uno dei motivi per cui papa Francesco si è pronunciato spesso contro l’ergastolo. Che altro non è se non una morte bianca”. Nell’ergastolo c’è, appunto, un’idea”. Quella che “chi ha commesso un reato, non deve avere più speranza”. L’assenza di speranza e, quindi, la nascita della disperazione fanno sì che prevalga solo la “percezione vendicativa del carcere“. La disperazione diventa “la vendetta a cui io condanno chi non è più visto come un uomo. Ma solo come un colpevole”, sostiene monsignor Zuppi. “Dare speranza, ovviamente, non significa disconoscere la colpa. Né chiudere gli occhi o far finta di non vedere il male commesso“, chiarisce il porporato.

Sovraesposizione e carceri

Secondo l’arcivescovo di Bologna, quando il dare speranza viene presentato come “buonismo”, si fa una sovrapposizione “molto pericolosa”. Perché il buonismo, in realtà, è un’operazione sbagliata. Non accettabile eticamente. “E aggiungerei, anche stupida e ignorante”, precisa il cardinale. “Identificare le cose buone, come la cultura o la concezione alta della vita, con il buonismo, vuol dire non tollerare la complessità. E liquidare superficialmente il sistema penitenziario e rieducativo esistente in Italia. Sistema che, indubbiamente, presenta maggiori complessità di un sistema meramente punitivo e vendicativo. È necessario fare la fatica di mettere insieme alcuni termini chiaramente opposti. Come ingiustizia e speranza. Punizione e redenzione“, evidenzia monsignor Zuppi.

Giacomo Galeazzi: