“Lo smart working dell’emergenza ha pregi e difetti. Sicuramente, da un lato, ha aumentato il potere retributivo, soprattutto di chi è tornato al Sud con un lavoro al nord (cd. south working) consentendo di uscire dall’isolamento seppur in via virtuale. Da un altro lato, invece, in una prospettiva di futura evoluzione, nel segno degli accordi tra impresa e sindacato, ha imposto scelte più incisive sulla sicurezza domestica e cittadina (il lavoro entra interamente nei centri urbani e nelle nostre abitazioni) ma anche – per la stessa ragione – sul welfare familiare e la costruzione di nuovi ecosistemi urbani con scelte nuove (i servizi nei quartieri dovranno riconvertirsi pensando il cittadino come, allo stesso tempo lavoratore ma dovranno riconvertirsi anche gli indotti nati attorno agli head quarters ora spopolati)”. Lo smart working che riorganizza vita ed economia, è questo il fulcro dell’intervista fatta da Interris al Professore Ciro Cafiero, Avvocato giuslavorista e docente di diritto del lavoro all’Università Luiss.
Cos’è cambiato per il mondo del lavoro durante la pandemia?
“Lo smart working è passato dai sette timidi e sparuti articoli della legge n° 81 del 2017 a fare capolino nei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 del 4 e dell’8 marzo nel Protocollo sulla Sicurezza sui luoghi di lavoro tra Governo e Parti Sociali del 14 marzo 2020, c.d. Decreto Rilancio, convertito in legge”.
Com’è stato inquadrato il lavoro da remoto a livello legislativo?
“Lo smart working è passato dai sette timidi e sparuti articoli della legge n° 81 del 2017 a fare capolino nei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 del 4 e dell’8 marzo nel Protocollo sulla Sicurezza sui luoghi di lavoro tra Governo e Parti Sociali del 14 marzo 2020, c.d. Decreto Rilancio, convertito in legge”.
É una versione emergenziale del classico smart working al quale eravamo abituati?
“Si, questo, inoltre, ha avuto degli aspetti inediti rispetto a quello previsto dalla legge 81 del 2017. Lo smart working ha la finalità di agevolare i tempi del lavoro e quindi di regolare i tempi di vita e lavoro perché consentiva, soprattutto alla donna lavoratrice, di essere più vicina agli affari domestici, cioè alla cura della prole e dei figli e nel contempo di lavorare sempre allo stesso modo. In questo senso il ministro per le pari opportunità e per la famiglia, Elena Bonetti con il family act ha portato avanti una grande riforma nell’equilibrio dei ruoli in famiglia, quasi parificando i ruoli della donna lavoratrice e dell’uomo lavoratore”.
Questa era la legge originaria, ma se volessimo definirla in modo tecnico?
“La legge sullo smart working con tutti i pro e i contra, è una sorta di subordinazione attenuata a metà strada tra un lavoro autonomo e un lavoro subordinato. Un po’ come quello che caratterizza i giornalisti che hanno un’autonomia concreta intorno alla gestione del loro lavoro. In questa situazione di emergenza lo smart working ha consentito di evitare l’isolamento. Immaginate se tutti i lavoratori non avessero potuto lavorare in remoto, cosa sarebbe successo? Lo smart working è stato un ponte tra le diverse realtà sociali in questo periodo”.
Quali sono gli altri benefici che ha presentato questa modalità di lavoro?
“Insieme a questi vantaggi troviamo quelli ambientali. C’è stata una produzione nettamente inferiore di Co2. L’ambiente ne ha positivamente risentito. Secondo le immagini dell’agenzia aereo spaziale l’Italia è apparsa quasi completamente pulita dalla nube nera dovuta all’inquinamento atmosferico che normalmente copre la nostra penisola. Immagini che rimarranno nella storia e che sono durate ben poco, perché mano mano che si è tornati alla vita di sempre l’inquinamento è nuovamente aumentato”.
Cosa ha significato per i genitori lavorare a casa con i bambini più o meno piccoli?
“Questo che stiamo vivendo non è uno smart working ordinario, proprio perché non serve a mettere in atto delle misure di welfare. Da questo punto di vista, purtroppo, ha creato dei disagi. Lavorare da casa, infatti, ha significato per molti uomini e donne, conciliare le esigenze dei figli con le proprie, ha significato dare prevalenza alla cura dei figli, piuttosto che alle esigenze del lavoro.
L’agenzia europea del lavoro poco tempo fa ha detto “attenzione a chi torna a lavoro dopo lo smart working perché i fenomeni possono essere due. Possono esserci fenomeni di isolamento e alienazione o un’eccessiva iperattività sul lavoro, perché un isolamento come questo per così tanto tempo in una situazione familiare non chiara ha potuto e potrebbe rendere piacevole questa modalità di lavoro e questo è uno dei primi difetti”.
Inoltre l’accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore ha dimostrato che si è trattato di uno smart working imposto dalla legge il che va bene per un periodo di tempo limitato, ma non va bene nel lungo periodo perché lo smart working è un viatico per l’attuazione per la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa (art 46 della cost)”.
Molti lavoratori però, tornando a casa, hanno ripreso a vivere centri cittadini in particolare del Sud, normalmente spopolati.
Questo fenomeno ha cambiato la cartina economica dell’Italia?
“Sicuramente lo smart working ha un effetto positivo, va guardato anche dal punto di vista dell’economia del sud. É un po’ il beneficio che il lavoro da remoto porta. Oggi anche i territori colpiti dalla crisi produttiva possono rinascere facendo lavorare queste persone o aziende dislocate su un altro territorio. Sicuramente significa ridare linfa vitale ai nostri territori, a quelli del sud italia. Dobbiamo pensare anche come recuperare però i posti spopolati per evitare che la desertificazione si trasferisca al Nord. Questi territori se si spopolano dovranno riconvertirsi. Se ci sono lavoratori in smart working al sud, ci saranno lavoratori anche al nord. Il punto centrale è riconvertire il servizio lavoratore cittadino e non solo del lavoratore. Bisogna ripensare le città per renderle a misura d’uomo e di famiglia”.