La “Sindrome di Waterloo” consiste nella rassegnazione e nella certezza del fallimento, un’ansia immotivata e diffusa in tutto il mondo moderno, che finisce per inibire l’individuo, annientandolo e proiettandolo alla resa finale. La patologia si insinua in molti settori della vita: quello scolastico, lavorativo, sociale, affettivo, sino a esasperare ogni piccolo decadimento fisico o mentale. Crolla qualunque speranza, qualsiasi vitalità nonché la fiducia nella Fede. Si è convinti di essere dei falliti e degli ultimi nella società, ai margini, prossimi alla sconfitta irreversibile.
Fenomeni simili
La patologia si lega con altre simili, come a esempio quella definita “Sindrome del fallimento”. Quest’ultima, tuttavia, pur avendo una caratterizzazione adattabile a qualsiasi situazione, si preferisce riferirla a un ambito preciso, quello scolastico, per delineare le frustrazioni, la scarsa stima, la sfiducia e la paura di fallire che caratterizzano molti studenti.
La sindrome può riguardare anche la salute, esasperando qualsiasi lieve segno legato all’età che avanza o qualche acciacco che viene enfatizzato come una sorta di anticamera della fine, di un declino inesorabile.
Un nome e un… programma
La Sindrome di Waterloo, per la specificità del nome che la accompagna, la sconfitta decisiva di Napoleone dopo alterne vicende, non è solo l’atteggiamento al fallimento, allo scacco contingente. Il riferimento, infatti, alla disfatta militare più grave per antonomasia, della svolta finale e definitiva, senza appelli, lascia intendere il livello e la gravità della tensione e della paura che attanaglia ogni giorno della vita. Tornano in mente le parole del filosofo Seneca: “Verso la morte sei spinto dal momento della nascita. Su questo e su pensieri del genere dobbiamo meditare, se vogliamo attendere serenamente quest’ultima ora che ci spaventa e ci rende inquiete tutte le altre”.
Fondamentale anche l’insegnamento di Santa Teresa di Calcutta, attraverso un suo deciso invito “Non permettere a te stesso di essere scoraggiato da qualsiasi fallimento fintanto che hai fatto del tuo meglio”.
Sindrome di Waterloo, il sondaggio Doxa
Molto interessante, con risultati meno catastrofici del previsto, è l’ultimo sondaggio (il consueto report annuale giunto alla 44° edizione) della Doxa sulle prospettive economiche per il 2021 e il livello di felicità, pubblicato lo scorso 7 gennaio. Sul sito della Bva-doxa, l’azienda italiana leader dal 1946 nelle ricerche di mercato, si legge “Il 43% della popolazione mondiale crede che il prossimo anno sarà migliore di quello passato, il 24% che sarà peggiore e il 26% uguale.
Questo è ciò che emerge dal consueto sondaggio di Fine Anno che viene condotto dal 1979 dagli istituti di ricerca appartenenti al network Gallup International, di cui BVA Doxa è parte ed è responsabile della raccolta dati in Italia. Realizzata in più di 40 Paesi e basata su oltre 38.000 interviste, la ricerca rivela che nonostante il generale ottimismo condiviso dalla popolazione mondiale per il prossimo anno, questo non riguarderà la situazione economica. Più della metà della popolazione mondiale, però, si considera felice.
Solo il 24% della popolazione mondiale ritiene che il prossimo anno sarà peggiore di quello passato. […] Diversi sono i dati che riguardano le prospettive economiche: la dura crisi mondiale causata dal coronavirus ha fatto sì che coloro che si aspettano un anno economicamente difficile rappresentino il 46% della popolazione. Rimane comunque un quarto della popolazione (25%) che crede in una prosperità economica e un altro 24% che pensa che, economicamente parlando, il 2021 sarà uguale all’anno che ci lasciamo alle spalle.
L’Europa e l’Italia
Se si guarda all’Europa, i dati sono in linea con quelli condivisi a livello mondiale: il 57% non si dice ottimista riguardo alla situazione economica futura, una quota che in Italia è ancora maggiore. Nonostante questo, il 17% della popolazione in Europa ritiene che il 2021 sarà caratterizzato da una prosperità economica. E l’Italia? Anche se la maggior parte degli Italiani non è ottimista riguardo al prossimo anno in generale, il 28% si limita a dire che il 2021 sarà simile all’anno passato e il 21% dice lo stesso per quanto riguarda la situazione economica.
La felicità non ne risente
Nonostante il pessimismo economico, da riferire soprattutto alla crisi vissuta quest’anno a causa del coronavirus, un altro dato, quello sulla felicità, sembra ribilanciare i toni: più della metà della popolazione mondiale si considera felice (54%), e solo il 14% si ritiene infelice. Anche la popolazione europea condivide la stessa posizione: il 49% si ritiene felice e solo il 13% infelice. In Italia, la quota degli ‘infelici’ scende ancora di più rispetto alla popolazione mondiale ed europea, arrivando al 7%, con il 40% di coloro che si considerano felici”.
È importante un breve raffronto con la tendenza di soli due anni fa, nel 42° report, dove gli ottimisti erano i Paesi più poveri del mondo “A sorpresa le previsioni di un migliore 2019 sono in crescita per la maggior parte delle persone intervistate nel continente Africano, tipicamente ottimista nonostante le condizioni di vita spesso difficili. Nel dettaglio: è il Ghana il Paese africano più ottimista. Tra i continenti bene anche l’America Latina dove coloro che si dichiarano ottimisti o molto ottimisti sono risultati in superiorità rispetto ai pessimisti. Anche se la palma degli ottimisti nelle Americhe spetta al Messico. Tra i Paesi più ottimisti del mondo spiccano anche l’India, gli Stati europei extra-UE con in testa l’Albania e gli USA. ITALIA, FANALINO DI CODA – L’Italia è tra i Paesi più pessimisti al mondo. Accanto a Giordania, Libano, Corea del Sud e Hong Kong”.
Distanze aumentate
La pandemia, com’è comprensibile, ha acuito l’insicurezza, la paura e l’incertezza del futuro e tutte le caratteristiche tipiche della sindrome. Il Coronavirus, tuttavia, dovrebbe essere proprio lo stimolo per reagire e ripartire con fiducia sovvertendo tutte le ansie da fallimento. È necessario battere proprio la peculiarità di questa sindrome: la sconfitta senza appelli e rivincite. Si rende opportuno comprendere come non esista tale disfatta irrevocabile, sia nella mente sia nel fisico. La società dell’immagine e del successo deve implodere e far maturare la convinzione di quanto sia falsa, portando all’accettazione di qualche imprevisto o cedimento legato all’età, senza il patema di perseguire l’eterna giovinezza o l’infinita bellezza.
L’esempio della resilienza e della soluzione alla patologia si legga nelle nazioni e le aree che più avevano dimostrato ottimismo nel report del 2019: le più povere al mondo (Africa, India, America Latina, Messico, Albania). Seppur nelle condizioni più difficili e disperate, i poveri, i semplici (loro sì i veri ultimi del mondo), hanno sempre più fiducia e fede nel cambiamento, nella crescita umana ed economica. Si tratta dell’insegnamento supremo, basta coglierlo.