E’ un anno speciale per Silvia Salemi, cantautrice, conduttrice televisiva e radiofonica nata nella bella Siracusa, precisamente a Palazzolo Acreide. Il 2022 non segna solo il suo genetliaco, che quest’anno fa cifra tonda, ma due eventi particolarmente significativi.
Silvia celebra infatti i venticinque anni del brano “A casa di Luca”, canzone che presentò al Festival di Sanremo nel 1997 e grazie al quale vinse il Premio per il miglior testo.
Lo scorso 8 luglio ha inoltre presentato il suo nuovo pezzo, intitolato significativamente “Noi contro di noi”, scritto con Matteo Faustini (giovane cantautore protagonista della 70ª edizione del Festival di Sanremo nella sezione Nuove Proposte) e Marco Rettani, coautore anche degli ultimi brani “Chagall” e “I Sogni nelle tasche”. La canzone, dal ritmo leggero, invita a riflettere su temi profondi, come il forte bisogno di fraternità, di pace, di rispetto dell’ambiente quale “casa comune”.
“Noi contro di noi” non nasconde importanti richiami alle recenti encicliche di Papa Francesco, dalla Laudato si’ per i temi ambientali, alla Fratelli tutti per quel che riguarda la pace e la fraternità universale.
Temi, quello della pace e della cura dell’ambiente, particolarmente sentiti dalle giovani generazioni, comprese le figlie della cantautrice che sono state per lei sia ispirazione, sia confronto.
L’artista siciliana si è raccontata a Interris per parlarci della sua nuova canzone “Noi contro di noi” senza tralasciare il 25esimo di “A casa di Luca”, che la consacrò al grande pubblico.
L’intervista a Silvia Salemi
Questo 2022 segna un bellissimo ritorno: il tuo!
“Grazie! Dopo un periodo di forte stop, di stallo totale dovuto al Covid, noi artisti siamo tornati a lavorare: le idee vanno avanti e il cuore pure. Forse quel periodo ce lo siamo lasciati alle spalle. Ora è il momento di raccontare le tante emozioni vissute in questi due anni. Purtroppo, il mondo non ha fatto in tempo a uscire dalla pandemia che un’altra tragedia si è abbattuta sull’umanità: la guerra! Una nuova infelicità per tutti noi trasmessa, tra l’altro, in mondo visione”.
Cosa può fare la musica in un contesto tanto cupo come quello attuale?
“Una canzone forse non può fermare una guerra. Ma anche se è ‘solo’ una goccia in un mare, è pur sempre meglio del silenzio, del nulla. Baruch Spinoza [filosofo olandese del XVII secolo, ndr] diceva che ‘La pace non è assenza di guerra: è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia’. Una canzone può dunque ispirare al bene, ridare speranza, divertire e, al contempo, far riflettere”.
E’ esattamente quanto accade con la tua ultima canzone, “Noi contro di noi”: un titolo importante. Cosa significa?
“Significa che il genere umano è sempre sul piede di guerra: siamo sempre arrabbiati con gli altri. Non ci sono solo le ‘guerre mondiali a pezzi’, come dice Papa Francesco, ma anche le ‘guerriglie’ quotidiane, fatte di parole cattive e sguardi di antipatia. Questa canzone vuole dunque essere un campanello d’allarme. Abbiamo scelto di presentare questa canzone in una forma leggerissima, orecchiabile dal punto di vista musicale, al fine di arrivare a più persone possibili. Ciò nonostante, i contenuti hanno un peso specifico perché richiamano l’attenzione su un’umanità che – procedendo di questo passo – si auto distruggerà. ‘Noi contro di noi’ significa che alla fine, a perdere, siamo sempre noi! Ma se l’uomo fosse in pace con se stesso, non farebbe le guerre”.
Homo hominis lupus, diceva un altro filosofo, Thomas Hobbes. Perché facciamo guerra a noi stessi?
“Per Hobbes – tra l’altro contemporaneo di Spinoza – ‘ogni uomo è un lupo per un altro uomo’ perché non abbiamo la predisposizione alla pace. Siamo fatti così: ogni giorno non scegliamo di fare la pace, ma di farci la guerra nelle piccole come nelle grandi occasioni. Nonostante viviamo – come canto nella canzone – ‘sulla stessa palla blu’ [la Terra, ndr], viviamo su una palla infuocata… e non solo per i cambiamenti climatici. Ma perché siamo spesso l’uno contro l’altro. Eppure, per spezzare questa catena, basterebbe poco: rispondere al male con un sorriso”.
La canzone parla anche della corsa al consumismo sfrenato…
“Sì. Vogliamo sempre di più ma, alla fine, non siamo mai felici. E’ il nostro destino perché è un inseguimento perenne di beni materiali, che nulla hanno a che fare con le emozioni vere. Il conto, per chi come me è credente, lo paghiamo sempre alla fine del nostro viaggio terreno: ci presenteremo davanti a Dio con le mani vuote. Gli unici beni che ci portiamo nell’altra vita sono i nostri sentimenti: il bene o il male che abbiamo compiuto verso il fratello. Questa corsa sfrenata al possedere sempre di più, in definitiva, non serve a nulla”.
Cosa dunque può fermare questa corsa al superfluo?
“Il ritorno alla semplicità, all’autenticità dei rapporti umani. Non servono eroismi; è già una grande rivoluzione riuscire a sorridere a chi ti fa un torto, magari soffiandoti il posto sull’autobus, nell’ordinarietà della vita quotidiana. Siamo una razza in via d’estinzione, se non fermiamo la catena dell’odio”.
Nel testo ti richiami ai temi ambientali e alla pace. Quanto hai preso ispirazione da Papa Francesco, dal suo esempio di vita come dai suoi scritti e parole?
“Tantissimo! Prima della pandemia ho pubblicato un brano intitolato ‘Era digitale’. Presi ispirazione proprio dal discorso che fece Papa Francesco ai giovani alla GMG di Panama del 2019. In quella occasione, il Pontefice disse che ‘non basta stare tutto il giorno connessi per sentirsi riconosciuti e amati’. Oltre il virtuale, c’è il reale: l’incontro, l’abbraccio, lo scambio. Il Santo Padre invitava poi i giovani ad essere ‘influencer nello stile di Maria’. Papa Francesco mi è di grande ispirazione perché è un uomo di fede, ma anche un nonno, un pensatore, un pastore… Ha tante sfaccettature, è molto vicino alle persone della strada. Credo che anche una persona totalmente laica possa trovare in lui un uomo del dialogo, un’ispirazione. Non esclude nessuno, come Gesù. Inoltre, ha trattato il tema della cura del creato, della ‘casa comune’, per primo. Prima che diventasse una ‘moda’ o che ne parlassero tutti. Fu profetico. E’ ora che sui temi ambientali si faccia di più e si faccia ora, se non è già tardi”.
A luglio hai festeggiato i 25 anni della canzone “A casa di Luca” che recitava: “Questa è un’era subdola, che ti inchioda il cuore e la vita ad un televisore. Ma la sera a casa di Luca torniamo a parlare”. Nell’era dei social, è ancora un testo attuale?
“Assolutamente sì. Ma voglio specificare una cosa: se i nostri ragazzi non parlano tra loro, la colpa è nostra, di noi adulti e genitori a volte poco maturi. Noi siamo la generazione del benessere, dell’edonismo puro; ciò ha prodotto figli che, diventati adulti, non hanno saputo prendersi le proprie responsabilità, che non hanno imparato a dire o accettare un ‘No’. Adulti solo anagraficamente che fanno gli ‘amiconi’ dei propri figli. ‘A casa di Luca’ è diventato un manifesto generazionale perché cantava l’importanza di stare insieme nella semplicità, senza distrazioni tecnologiche e senza quel continuo cercare qualcosa di ‘altro’. Perché ognuno a casa di Luca ‘è nient’altro che sé’. Hic et nunc: ‘qui e adesso’. E’ proprio questo, dunque, il luogo e il momento per fare qualcosa di buono”.