Non restare indifferenti, ma fermarsi per proteggere e aiutare. Di fronte alla prima ondata di freddo di questo inverno la Comunità di Sant’Egidio lancia un appello alle istituzioni, ma anche a tutti i cittadini. Perché ognuno può fare qualcosa per mettere al riparo chi in questi giorni è a rischio, non solo per le temperature più rigide ma per la solitudine.
La Comunità promuove una raccolta straordinaria di coperte, sacchi a pelo e accessori di lana per i senza dimora, che vengono distribuiti durante le cene itineranti, realizzate durante tutto l’anno con bevande e pasti caldi. La mobilitazione è già attiva in tutte le città italiane dove è presente Sant’Egidio. Le informazioni su luoghi e orari per poter aiutare sono reperibili su www.santegidio.org.
Interris.it ha intervistato Massimiliano Signifredi, Coordinatore cene itineranti di Sant’Egidio per i senza dimora, su come aiutare queste persone non solo a difendersi dal gelo, ma anche ad uscire dalla strada e dalla povertà.
L’intervista a Massimiliano Signifredi della Comunità di Sant’Egidio
Quante persone senza dimora ci sono in Italia?
“Le ultime cifre Istat, che risalgono al 2021, parlano di poco più di 96mila persone in Italia, di cui oltre il 20 per cento a Roma (seguita da Milano, Napoli, Torino, Genova e Foggia), ma si tratta di cifre ricavate dagli elenchi delle residenze fittizie comunali (tipo via Modesta Valenti) che andrebbero verificate una per una (quanti ad esempio, dopo un periodo di vita per strada, sono tornati a vivere in una casa, altri in centri di accoglienza, quanti altri non sono censiti, ecc.). E’ ad ogni modo la fotografia di una precarietà abitativa che interessa un numero crescente di persone. In quel numero comunque una buona parte non è ‘tecnicamente’ senza tetto, ma ha un riparo notturno oppure vive in alloggi precari come baracche o palazzi occupati”.
Quante persone dormono effettivamente in strada a Roma?
“A Roma coloro che dormono di notte letteralmente per strada, senza un riparo, sono circa 3mila. Un dato interessante: il 62% dei senza dimora sono italiani e l’età media è di circa 41 anni. Si tratta comunque di numeri non elevati e si potrebbe fare molto di più per loro con una sinergia tra istituzioni e società civile, non rassegnandoci alla loro condizione ma proponendo alternative”.
Cosa fa per loro la Sant’Egidio?
“La Sant’Egidio ha l’accoglienza notturna nelle chiese di San Calisto e del Buon Pastore a Trastevere e in altri luoghi della capitale. Recentemente, abbiamo aperto a Palazzo Migliori grazie alla generosità di Papa Francesco che ha utilizzato una struttura inizialmente destinata ad albergo per fare un luogo d’accoglienza. Un luogo non solo dignitoso, ma bellissimo con vista sulla cupola di San Pietro! Lì accogliamo 50 persone”.
A quali pericoli vanno incontro i senza dimora?
“Per chi vive in strada il freddo è il nemico principale. Ma le nostre strutture di accoglienza sono aperte tutto l’anno perché chi non ha una casa sta al freddo d’inverno ma sta anche al caldo torrido d’estate. Non ha inoltre un luogo dove mettere al sicuro i propri oggetti personali ed è continuamente esposto al furto dei documenti, del telefono, delle scarpe, dei suoi pochi averi. Chi vive per strada, chi sta nella cosiddetta povertà estrema, ha diritto ad avere almeno un luogo dignitoso dove vivere tutto l’anno, non solo d’inverno. Per questo siamo sempre aperti”.
Chi sono i senza dimora che incontrate la notte?
“Sono persone che hanno perso la protezione principale per un uomo e per una donna: la propria casa. L’hanno persa insieme ai legami familiari per diversi motivi: in seguito a una separazione, a un lutto o alla perdita del lavoro; a volte l’hanno persa anche per problemi di salute. Spesso la condizione di essere senza dimora è accompagnata da gravi problemi psichici. Poi ci sono anche situazioni particolari. Penso alle numerose persone arrivate in Italia alla ricerca di un futuro migliore che si ritrovano in situazioni di estrema povertà perché non hanno legami, non hanno amici, non hanno parenti e che sono senza soldi e finiscono in strada. Ma dalla strada si può uscire”.
Hai un esempio in tal senso?
“Sì. Ricordo sempre con affetto una persona che ho incontrato una volta tanti anni fa alla stazione Termini. Era un giovane africano a cui avevo avevo portato, come tutti noi facciamo, un pasto caldo, una bevanda calda, una coperta: era una notte particolarmente fredda. Gli avevo anche lasciato i miei contatti. Lui, dopo alcuni anni, mi scrisse in un messaggio: ‘Ciao, ora sono in Canada, ho coronato il mio sogno: sono diventato un medico’. Era venuto in Europa con la prospettiva di continuare gli studi. E ci è riuscito anche con il nostro aiuto. Chi vive per la strada ha infatti solo bisogno che qualcuno gli tenda la mano, che gli offra quel sostentamento necessario a sopravvivere. L’appello che noi rinnoviamo alle persone – specie ora che è arrivato il freddo – è quello di donare coperte, accessori di lana come guanti, cappelli, sacchi a pelo. Sia per superare l’inverno, sia per aiutare chi è più povero a vivere in maniera più dignitosa”.
Come passare dalla situazione emergenziale a una risoluzione strutturale?
“Bisogna investire in progetti personalizzati, in amicizia personalizzata, perché a ciascuna persona va offerta una soluzione su misura. Le situazioni sono infatti diverse, le povertà sono diverse: non esiste una soluzione univoca che vada bene per tutti. Esistono delle offerte immediate di aiuto, come può essere un posto letto in una notte fredda. Bisogna però guardare alla condizione dei senza dimora in prospettiva. Io faccio l’esempio di un luogo che noi abbiamo aperto da alcuni anni, una sede nella periferia di Roma, al quartiere Tuscolano, un locale sottratto tra l’altro alla criminalità organizzata. Noi l’abbiamo trasformata in un’accoglienza notturna per una decina di persone. Le persone bisognose stanno per il tempo necessario e nel frattempo trovano delle sistemazioni migliori. Trovano la possibilità di stare in una casa, di dormire in un letto comodo, di usare il bagno e quindi di poter andare la mattina a cercare un lavoro, a fare i documenti; o a riconciliarsi con i familiari dopo aver fatto la barba e una bella doccia. In sintesi, a ritornare nella società in maniera adeguata. Tante persone che noi abbiamo accolto in questo modo poi sono tornate a vivere una vita normale”.
Quali altri progetti avete per i senza dimora?
“Abbiamo per esempio i co-housing: le convivenze tra due o tre persone che vengono da una storia difficile di emergenza abitativa. Magari hanno dormito per un periodo da un amico, da un parente o in macchina perché hanno perso il lavoro, o perché sono padri separati. Persone che non sono proprio finite a dormire alla stazione ma hanno rischiato di finire per la strada. Ecco, tutte queste persone possono tornare a vivere una vita normale perché la strada non è mai una condanna”.