Sicurezza stradale: “La vita non è uno scherzo”

Ridurre la velocità significa avere "una mobilità più sicura per tutti, città più belle, spazi per la socialità e una migliore qualità della vita”

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La sicurezza stradale come priorità. Sette anni fa è morto il ciclista Michele Scarponi,  vittima di un tragico incidente. Il 37enne campione dell’Astana, vincitore del Giro d’Italia 2011, è stato investito in sella alla sua bicicletta. La Fondazione Michele Scarponi per la sicurezza di tutti sulla strada è un dono che la sua famiglia ha voluto fare alla società per ricordare che la “la vita non è uno scherzo“. Così “la memoria di Michele è custodita dentro un futuro migliore”. In Italia la sicurezza stradale è un tema affrontato dal terzo settore. Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile opera per far crescere la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per mobilitare la società italiana, i soggetti economici e sociali e le istituzioni allo scopo di realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. “Regole, educazione, tecnologia– spiega Flavia Belladonna (ASviS)-. Tre punti per ridurre i 454 incidenti stradali che si verificano ogni giorno in Italia. Il successo, richiesto anche dall’Agenda 2030, dipenderà dalle politiche, ma soprattutto dalla responsabilità di ognuno. Abbiamo fretta di andare in ufficio, a scuola, al supermercato, a un appuntamento, o anche semplicemente a trovare un amico. Più veloce vado, prima arrivo. Ma poi i giornali ti ricordano che è passato un anno dalla morte di Francesco Valdiserri, il giovane di 18 anni investito il 19 ottobre del 2022 da un’auto mentre camminava su un marciapiede, per molti simbolo della lotta per la sicurezza stradale“.

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Foto di Markus Spiske su Unsplash

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Oltre 165mila incidenti all’anno, secondo i dati Aci-Istat, con circa 3mila morti. Praticamente ogni giorno 454 incidenti, 8,7 morti e 612 feriti. “Per un drink di troppo, per una distrazione al cellulare, per arrivare presto- sottolinea Flavia Belladonna-. Un problema su cui l’Italia, insieme ad altri 192 Paesi dell’Onu, si è impegnata a intervenire con il Target 3.6 dell’Agenda 2030. Entro il 2030, dimezzare il numero di decessi a livello mondiale e le lesioni da incidenti stradali, un obiettivo inizialmente fissato al 2020 e quindi già mancato, come rilevato dall’ASviS nel Rapporto“. Secondo le statistiche, se un automobilista investe una persona a 30 km orari, nove volte su dieci i pedoni possono essere salvati“. E invece l’Italia è una nazione fatta a misura di automobilista e non a misura del cittadino pedone o ciclista. Il modello inglese di successo è basato su tre “E”: Engineering, Enforcement, Education. Oltre al limite dei 30 all’ora in città serve un vero e proprio ridisegno delle strade urbane, con maggiori controlli ed educazione. La misura dei 30 km/h può risultare facilmente impopolare, considerata la fretta contagiosa dello stile di vita moderno, anche se i risultati di questa buona pratica adottata già in altri Paesi europei parlano chiaro. A Londra, ad esempio, dopo l’abbassamento del limite di velocità, le morti in strada si sono ridotte del 25%. Mentre gli investimenti di pedoni si sono abbassati del 63%. A Bruxelles, dopo l’approvazione del limite a 30km/h nelle zone urbane, gli incidenti sono diminuiti del 28% e i morti e feriti gravi del 50%. L’eccesso di velocità su strade urbane è la prima causa degli incidenti mortali.

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Foto di Mircea – All in collections da Pixabay

Misure necessarie

Nel 2022 è stato approvato il Piano nazionale della sicurezza stradale 2030. un pacchetto di misure basato su una visione sistemica che prende in considerazione tutti gli elementi della sicurezza stradale (infrastrutture, utenti, veicoli), volto a ridurre del 50% entro il 2030 le vittime e i feriti gravi per incidenti stradali rispetto al 2019 e ad azzerarli entro il 2050. Il miglioramento richiesto dovrà avvenire attraverso azioni tese al monitoraggio e all’adeguamento della segnaletica stradale orizzontale e verticale. Alla riduzione della velocità. Alla messa in sicurezza dei percorsi per gli utenti deboli e vulnerabili (come pedoni e ciclisti). Alla diffusione di veicoli elettrici, alla formazione sui temi della sicurezza stradale, in coerenza con l’Agenda 2030. Riguardo all’educazione, prosegue Flavia Belladonna, servono iniziative educative per contrastare in primis “la voglia di correre per il gusto di correre” che può interessare diversi giovani. Ma questo non è l’unico punto che richiede un lavoro di sensibilizzazione. Al secondo posto delle cause degli incidenti urbani si trova infatti la guida distratta, al terzo la mancata precedenza sulle strisce pedonali. Le sempre maggiori capacità degli smartphone, usati non solo per chiamare e messaggiare ma anche per fotografare, fare videoriprese e condivisioni sui social, rappresentano una fonte di distrazione importante. Soprattutto per le giovani generazioni. E ciò va monitorato attentamente.  Garantire dunque spazi sicuri per i pedoni rappresenta una necessità. Il tema degli spazi sicuri va di pari passo, poi, con il problema di alcol e droga, da affrontare responsabilizzando gli utenti della strada. Anche la disinformazione sull’uso dei dispositivi di sicurezza genera vittime e richiede di istruire i giovani quanto gli adulti. In particolare i genitori, che dovrebbero ad esempio utilizzare sempre i seggiolini per i propri figli e assicurarli con la cintura, eppure secondo un’indagine due intervistati su 10 hanno riferito di avere difficoltà a far uso di questi dispositivi, di non utilizzarli affatto o perfino di non avere alcun dispositivo di sicurezza.

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Foto di Nick Fewings su Unsplash

Cultura della sicurezza

“Occorre generare una cultura della sicurezza stradale, partendo con l’educazione stradale fin dalla primaria – avverte ASviS-. Seminare bene fin da piccoli, per proseguire con un percorso educativo soprattutto per gli adolescenti. In cui ad esempio insegnare a divertirsi anche in modo sano e responsabile, organizzandosi con un taxi o a turni per la guida. Sensibilizzare all’uso di cellulari e social in modo sicuro, per evitare incidenti causati da risposte in chat o video ripresi in movimento”. Abituare inoltre al rispetto degli spazi altrui (disabili, corsie dei mezzi pubblici, accesso libero ai marciapiedi per i passeggini, ecc.). Sviluppare la civiltà nel muoversi sulle strade come automobilisti e la prudenza negli attraversamenti come pedoni, ciclisti e conducenti di monopattini. Poi, per gli adulti, c’è bisogno di campagne di educazione, informazione e comunicazione rivolte a tutti gli utenti della strada per comportamenti responsabili. Per quanto riguarda l’ingegneria e la tecnologia bisogna progettare strade sicure,segnalare adeguatamente gli attraversamenti pedonali, prevedere dossi per limitare la velocità, ma anche manutenere adeguatamente il manto stradale.

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Credit: UFFICIO IMAGOECONOMICA

Progetti

Nel Rapporto ASviS, tra gli indicatori di particolare interesse per le infrastrutture stradali si segnala “quello degli incidenti mortali in rapporto alla popolazione, che riflette anche una peggiore qualità delle strade e un maggiore congestionamento, dovuto a una minore offerta rispetto alla domanda”. Nel documento viene ricordato anche che il tasso di mortalità stradale italiano è nettamente peggiore di quello medio europeo, rispettivamente pari a 5,4 e 4,6 morti ogni 100mila abitanti. E che l’andamento dell’Italia sul tema è “discordante tra il lungo e il breve periodo. Ciò vuol dire che il risultato finale dipenderà dall’orientamento prevalente nelle politiche dei prossimi anni”. Il calo dei morti per incidenti stradali è avvenuto nel tempo, soprattutto grazie all’obbligo di dispositivi di sicurezza, come le cinture, e alle tecnologie. Tuttavia, dopo un periodo di importanti progressi la curva inizia ad appiattirsi, rimanendo costante fino a prima della pandemia. Aggiunge Flavia Belladonna: “Le tecnologie possono svolgere un ruolo importante per continuare ad aumentare la sicurezza. Dall’alcolock, dispositivo per collegare il sistema di accensione dei veicoli al tasso alcolemico che nelle auto dal 2024 sarà predisposto obbligatoriamente, ai sistemi che leggono i segnali stradali impedendo di superare il limite. O ancora, Crosstop, l’invenzione italiana che segnala alle auto in arrivo che una persona sta attraversando la strada attraverso suoni, segnali luminosi o proiezioni stradali, per evitare soprattutto gli incidenti causati dal sorpasso di auto che si sono correttamente fermate al passaggio di un pedone”. Intanto la Fondazione Scarponi nel nome di Michele lavora creando e finanziando progetti che hanno come fine l’educazione al corretto comportamento stradale, a una cultura del rispetto delle regole e dell’altro. Ad iniziative che hanno al centro l’utente fragile della strada e della società.

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Foto di J W. da Pixabay

Obiettivi

La Fondazione Michele Scarponi collabora con il mondo dello sport, la scuola, le forze dell’ordine, con gli organi statali che hanno il compito di controllare, mettere in sicurezza ed educare alla sicurezza stradale e con tutte le organizzazioni che hanno gli stessi obiettivi. “La strada è di tutti, soprattutto dei più fragili ed il sorriso di Michele salverà molte vite- afferma Marco Scarponi, il fratello del campione di ciclismo-. La Fondazione lavora sul territorio per una mobilità giusta e sicura nel nome di Michele al fine di cambiare la nostra cultura stradale. Abbiamo promosso un progetto di educazione alla mobilità sostenibile e alla sicurezza stradale rivolto agli studenti, ma anche agli insegnanti e agli educatori perché pensiamo sia necessaria tanta formazione. A partire da alcune iniziative europee come le “città30” (il limite di 30 km su tutte le strade urbane), la redistribuzione dello spazio urbano partendo dai più fragili: il bambino, il disabile, l’anziano, il pedone, il ciclista. Ridurre la velocità significa avere “una mobilità più sicura per tutti, città più belle, spazi per la socialità e una migliore qualità della vita”. Perché “la vita non è uno scherzo”