“In guerra è molto pericoloso lasciare disarmate le sentinelle sul territorio, così si spiana la strada al nemico”, afferma a Interris.it Mario Falconi, presidente del Tribunale dei Diritti e dei Doveri del Medico (Tdme), già al vertice dell’Ordine dei medici di Roma e della Federazione italiana medici di famiglia.
Qual è il punto debole della strategia anti-pandemia?
“I medici di base, quelli cioè che si trovano ogni giorno in prima linea contro la pandemia, sono completamente privi delle indispensabili protezioni sanitarie (mascherine, camici monouso etc.). Senza queste basilari dotazioni è impossibile far fronte ad un’emergenza sanitaria di simili dimensioni”.
Chi deve fornirle?
“E’ sui medici di famiglia che si basa il fronte anti-contagio, quindi il servizio sanitario nazionale deve provvederli di dispositivi fondamentali per affrontare l’onda virale del coronavirus. E invece questo materiale non arriva malgrado non si possa farne a meno”.
Può farci un esempio?
“L’altro giorno sono dovuto andare a visitare a domicilio un paziente cardiopatico con sintomi compatibili con un un’infezione da Covid-19. Mi sono dovuto arrangiare con mezzi di fortuna, indossando una di quelle mascherine che utilizzano gli agricoltori nei campi. Tutto a mio rischio e pericolo, in assenza di qualunque strumento per tutelare la salute personale. E ciò nel tentativo “fai da te” di scongiurare il rischio di restare contagiato nello svolgimento del mio lavoro”.
Come deve comportarsi chi ritiene di aver contratto il Covid-19?
“Chi presenta sintomi non deve assolutamente andare né nello studio del medico né al pronto soccorso. Ritrovarsi seduti in sala d’aspetto, con altre persone che hanno questa sospetta patologia virale, aggravare la situazione moltiplicando i contagi. Contro il coronavirus non abbiamo il vaccino e non sappiamo come difenderci. Stiamo combattendo un nemico molto insidioso. Il nostro organismo non ha sviluppato anticorpi per questo nuovo virus. Il senso di responsabilità dei cittadini ha un’importanza vitale”.
Quali sono le conseguenze dei comportamenti individuali sulla tenuta del sistema?
“Neppure i sistemi sanitari più organizzati, le migliori reti di specialisti virologi e le più efficienti strutture di Protezione civile possono reggere l’onda d’urto di un contagio così esteso senza la collaborazione delle persone. Rispettare le misure di contenimento dell’epidemia è un dovere di ciascuno, altrimenti le carenze del sistema vengono aggravate proprio dalle condotte irresponsabili dei singoli. In generale i virus risentono delle alte temperature r dovrebbe essere così anche per il Covid-19, quindi l’impegno di tutti in questa fase rappresenta una resistenza imprescindibile. Preoccuparsi è doveroso e sano, fa vivere e concorre a combattere l’ulteriore dilagare dell’emergenza sanitaria”.
Oltre alla mancanza di protezioni, quali difficoltà quotidiane devono affrontare i medici di base?
“C’è stato bisogno di una riorganizzazione complessiva del lavoro. Per certificati, ricette ed altre necessità si provvede a scaglionare gli appuntamenti in modo che a nessuna ora del giorno ci siano assembramenti in ambulatorio. A dover obbligatoriamente restare a casa sono in primo luogo le persone anziane e chi ha patologie croniche. A non essere protetti e provvisti di strumentazioni non sono solo gli operatori sanitari ma anche gli ambienti nei quali si svolge la loro indispensabile attività”.
Quali sono i danni arrecati da questa situazione sull’argine complessivo predisposto dallo Stato per frenare l’epidemia?
“L’utilità principale del medico di famiglia è quella di conoscere già i pazienti e quindi di sapere quali sono i soggetti ansiosi, individuando così i casi di reale pericolo. I medici di base sono figure centrali per discriminare meglio le situazioni, quindi lasciarli privi di presidi protettivi è una falla ingiustificabile nel sistema di contrasto al coronavirus. Già dal triage telefonico (che i medici di famiglia sono in grado di effettuare, proprio per la loro conoscenza del paziente) esce una preziosa valutazione dei sintomi e un’indispensabile discriminazione dei casi”.
In prospettiva cosa la preoccupa maggiormente?
“Il mancato coordinamento delle politiche sanitarie anti-contagio a livello comunitario. Ci sono troppe differenze tra le strategie messe in campo con grave ritardo dai diversi Paesi contro il Covid-19. Procedere in questo modo significa che quando una nazione sarà uscita dalla fase acuta dell’emergenza si troverà ad affrontare, per effetto della mobilità delle persone, nuove ondate di contagi di ritorno”.