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Self-serving: origini e cause del fenomeno

Il “self-serving” è una distorsione tipica del mondo attuale, in cui l’individuo, in un contesto sociale, è pronto a prendersi tutto il merito dei propri successi e a imputare, alla sfortuna e agli altri, gli insuccessi. In psicologia è un bias, una valutazione soggettiva distante dalla realtà e non oggettiva, in base al quale, elementi non collegati e privi di razionalità, tendono a esser considerati come oggettivi.

Si verifica in famiglia, a scuola, al lavoro e in tutti gli altri ambienti sociali. In alcuni casi, viene vissuta in forma indiretta: per esempio, quando la sconfitta della squadra del cuore si attribuisce a un pessimo arbitraggio anziché, con una disamina più attenta, ai demeriti dei propri beniamini.

La tendenza varia a seconda della persona in considerazione, del contesto in cui si trova e anche dell’età. Nella società occidentale, tendente all’individualismo, la distorsione è più evidente e diffusa; in società orientali, collettiviste, i meriti e i demeriti sono, generalmente, più distribuiti nell’ambito della comunità. Gli anziani, meno interessati ad apparire vincenti nel gruppo in cui si trovano e fruendo di una saggezza maturata nel tempo, sono, in genere, più inclini a una valutazione equilibrata del proprio operato. Ogni forma di presunzione, fondata su premesse egoistiche e distanti dal corretto approccio sociale con il prossimo, conduce alla sovrastima di sé, all’incapacità di crescere e di imparare dai propri errori. Santa Bernadette ricordò “La Santa Vergine mi ha scelta perché ero la più ignorante. Se avesse trovato una più ignorante di me, l’avrebbe scelta”.

I risvolti della patologia si hanno anche in ambito scolastico, in cui i successi, i voti alti o il superamento di un esame sono attribuiti esclusivamente a se stessi mentre l’eventuale fallimento è addossato, senza alcun dubbio, a fattori esterni, ad altre persone (quali gli insegnanti) o, addirittura a oggetti portafortuna che non hanno assolto al proprio dovere o a pratiche scaramantiche non più redditizie. La superstizione gioca un suo ruolo. Di fortuna propria non si ha traccia poiché si destina tutto a una questione di meriti personali; alla sfortuna si fa ricorso a piene mani nel momento in cui si dovessero verificare situazioni negative.

La tendenza a considerarsi una vittima, in ogni ambiente sociale, nel caso in cui non si raggiunga il risultato sperato, non permette un’obiettiva valutazione della realtà. Attribuire sistematicamente, a esempio, il proprio disagio lavorativo ai colleghi e ai superiori, poiché individuo incompreso, non consente un sano e critico esame di coscienza; sfocia, al contrario, nel trionfo dell’autocompiacimento e dell’esaltazione di se stessi.

In tale contesto, mancando la disponibilità a riconoscere i propri errori, si piomba in un vortice che rischia di alimentare il bias. Il soggetto, infatti, alterando meriti e demeriti, finisce per rimanere in un piattume sterile, senza possibilità di migliorare; rimane sempre più prigioniero dei suoi pregiudizi e, non crescendo, è sempre più preda di distorsioni della realtà. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. Lc 14,11.

La tracotanza esteriore nasconde grande fragilità interiore e difficoltà di valutazione, in un’infantile gestione di capacità, mezzi e risultati, nell’arrendevolezza apparentemente salva grazie ad acrobazie di circostanza. La difficoltà è nell’incapacità di riconoscere questo proprio bias, per cui tale atteggiamento di assunzione “comoda” di responsabilità procede come naturale e automatico. La tendenza umana all’autocompiacimento è evidente, poiché, in un primo momento è piacevole considerarsi come il reale discrimine positivo di un evento o di una situazione salvo, poi, valutare, con obiettività, la reale incidenza e il bilancio del proprio operato.

Può essere d’aiuto leggere il libro dal titolo emblematico “Non credere a tutto quello che ti frulla in testa” (sottotitolo “Smascherare le trappole mentali”) di Alexandra Reinwarth, pubblicato da Feltrinelli lo scorso 8 aprile. Il volume aiuta a capire quali possano essere gli errori e le distorsioni mentali: quando si procede per abitudine, per fissità concettuale e funzionale. In gioco vi è l’intero “pacchetto motivazionale” di un team. In un gruppo, infatti, in cui si assiste a un’equa e reale attribuzione di colpe e meriti, senza affossare nel primo caso né esaltare nel secondo, i partecipanti sono maggiormente indotti a collaborare e a offrire un miglior contributo.

I risultati e la produttività risentirebbero di tale beneficio, permettendo alle risorse di concentrarsi esclusivamente sulla definizione e sulla risoluzione dei problemi anziché sprecare tempo ed energie nella perversa attività di incolpare qualcuno e di trovare il capro espiatorio. La salute mentale dei lavoratori è fondamentale poiché, in considerazione anche di bias come il self-serving, determina dei rapporti squilibrati fra i colleghi e causa un calo della produttività.

Il quotidiano online www.assinews.it offre notizie, annunci professionali e news di eventi assicurativi del settore. Al link https://www.assinews.it/01/2022/risk-outlook-2022-international-sos-salute-mentale-principali-rischi-la-produttivita/660092980/?cli_action=1643548509.102, lo scorso 28 gennaio, ha pubblicato i risultati dell’indagine promossa da “International SOS” (società inglese “Leader nella gestione internazionale dei rischi per la salute e la sicurezza”). Si legge “L’indagine, che ha coinvolto circa 1.000 decisori senior in materia di salute, sicurezza e mitigazione del rischio dei dipendenti, indica quelli che potrebbero essere i principali fattori di rischio per le aziende e le organizzazioni nel 2022 e le potenziali cause della diminuzione di produttività dei dipendenti. Ciò che innanzitutto emerge con chiarezza è che le organizzazioni nel 2022 si aspettano di dover affrontare un aumento dei rischi. Più dei due terzi degli intervistati, infatti, prevede che i rischi per la forza lavoro aumenteranno o rimarranno gli stessi del 2021. Il secondo focus dell’indagine riguarda le principali cause previste per il calo della produttività dei dipendenti nel 2022. Se comprensibilmente COVID-19 rimane in cima alla lista (67%), ben il 36% dei professionisti intervistati indica i problemi legati alla salute mentale come principale ostacolo alla produttività. Come evidenziato da Francesca Viliani, Director Public Health di International SOS, si tratta di un dato molto significativo ‘La salute mentale è entrata per la prima volta nella top 3 e la percentuale degli intervistati che la considera una causa del calo della produttività è in aumento di quattro volte rispetto all’anno scorso. Sottolineo come questo non si applichi solo al benessere dei dipendenti, infatti la salute mentale della comunità è altrettanto importante per garantire benessere e stabilità sociale. […] L’aumento della preoccupazione per il tema della salute mentale si ripercuote anche sulle sfide operative avvertite dalle aziende come maggiormente impegnative. Affrontare i problemi legati alla salute mentale, infatti, si dimostra per il 21% degli intervistati come una delle principali sfide a livello organizzativo per il 2022’”.

Il fulcro del problema è nella gestione della responsabilità, di un discernimento sano e libero, nella capacità di non attribuirsi solo i meriti nel caso di successo e non scaricare su altri le presunte colpe dei fallimenti. L’insuccesso e l’errore sono delle fattispecie da saper gestire, da considerare come “patrimonio personale”, per costruire la propria responsabilità e un’equilibrata autostima senza sottovalutazioni o sopravalutazioni. Una personalità narcisistica è portata a ostentare le proprie capacità, a dimostrare superiorità e infallibilità, a esprimere ed essere sempre sinonimo di successo, pienamente integrata in una società ammiccante all’esteriore e all’immagine.

La politica del “pescecane” rischia di far precipitare il prossimo nella convinzione di aver fallito, sistematicamente. Le ripercussioni mentali, in tal caso, sono pesanti e chi getta l’altro in tale condizione non si rende conto della gravità dell’atto commesso. Il “gioco di squadra”, così importante nel lavoro e nella scuola per raggiungere gli obiettivi, perde le sue caratteristiche isolando i vari attori. L’essersi sottratti alle responsabilità produce una convenienza personale solo momentanea, non recherà beneficio al singolo né al gruppo.

Il culto del paragone, del giudizio degli altri e l’incapacità di accettare una critica, queste sono note dolenti del mondo attuale. Il clima competitivo che è celebrato come culto e perno della società moderna, determina un atteggiamento in bilico fra il soggetto responsabile e quello “scaricabarile”; l’obiettivo relativistico e personalistico deve prevalere in ogni caso in quest’arena del “tutti contro tutti” e del “si salvi chi può”, in una sofistica concezione della realtà e dell’opinione. Tale abbrutimento, oltretutto, trova applicazione anche nei rapporti affettivi e sentimentali, in cui bluffare porta a conseguenze davvero gravi e irreparabili, egoistiche e mai solidali.

Un individuo che si contorna esclusivamente di meriti, si pone in questa sua corazza, in un perimetro inespugnabile di (presunte) certezze e si chiude al confronto, al mondo esterno, al prossimo. Si autoesclude e si pone un gradino sopra gli altri, in un trionfo di presunzione. Tale atteggiamento circospetto è sempre di chiusura e non di apertura, non consente di esporsi, liberamente e piacevolmente, all’altro, in una condizione reciproca di aiuto e di collaborazione. Solo in un progetto inclusivo, di collaborazione, si sperimenta il giusto equilibrio dell’operato proprio e altrui, nella consapevolezza del contributo che si può offrire.

Marco Managò: