Non sembrano procedere parallelamente la ripresa del leader anti-Putin, Aleksej Navalny, e il disgelo fra i due attori principali coinvolti nella vicenda della sua quasi fatale intossicazione da Novichok. Germania e Russia giocano il match su fronti opposti, con Berlino a chiedere (come anche altri Paesi, europei e non) chiarezza sull’agente nervino e su come sia finito in circolazione nell’oppositore del presidente russo, e Mosca a ribadire la propria estraneità alla vicenda. Continuando a garantire che i primi test su Navalny, effettuati proprio in Russia subito dopo il malore, non abbiano riscontrato tracce di sostanze tossiche. Una partita giocata su blocchi opposti, con divergenze di vedute ma con qualcosa di ben più materiale che unisce le due capitali, forse mai così distanti. Un filo rosso che non si chiama solo relazione bilaterale ma che risponde a un nome proprio: Nord Stream 2.
Nord Stream 2, un risiko internazionale
Il caso Navalny piove in una fase storica complessa. In ballo c’è il progetto, quasi ultimato, del gasdotto che, da Vyborg, avrà il compito di attraversare il Baltico recapitando alla tedesca Greifswald circa 55 milioni di metri cubi di gas l’anno. Una misura sufficiente a elevare la Germania al ruolo di hub energetico europeo e, in qualche modo, a catapultarla al centro di un delicato equilibrio geopolitico, di cui Mosca e Berlino sono solo gli estremi.
In mezzo, in bilico sul filo, c’è chi preme per far sì che del progetto se ne faccia nulla, come gli Stati Uniti, e chi protesta per il ridimensionamento del proprio ruolo come Paese di transito, come l’Ucraina. Finora, al netto delle rimostranze sia interne che esterne, la questione era piuttosto semplice. Il gasdotto è completato quasi al 90% e anche il suo apporto al settore energetico tedesco (e indirettamente dell’Europa centrale) non è più un orizzonte lontano. Praticamente, il cancello per Putin sul cuore europeo, posti i 60 miliardi di metri cubi di gas già immessi a Berlino (sui 200 totali) e il contributo di Nord Stream 1, già attivo dal 2012.
Lo spettro sul gasdotto
Dopo Navalny, però, di semplice non c’è più nulla. L’elemento di destabilizzazione mai arrivato finora potrebbe rispondere ai connotati del ricovero del principale oppositore di Putin. Per il momento, lo stallo fra Mosca e Berlino ha portato il quadro occidentale all’ipotesi più scontata, quella delle sanzioni. A ogni modo, niente che possa creare più tensioni di quante già non ve ne siano. Diverso il discorso se il rischio diventasse quello di veder saltare il Nord Stream 2, ipotesi che diversi attori, primi fra tutti gli Stati Uniti, riterrebbero la misura ideale contro il Cremlino.
“Siamo nella fase in cui le decisioni non sono state prese – ha spiegato a Interris.it Nona Mikhelidze, Responsabile del programma ‘Europa orientale e Eurasia’ dell’Istituto affari internazionali -. Sappiamo che prima dell’incidente Navalny, Merkel aveva escluso la possibilità di fermare il Nord Stream 2, perché la politica estera tedesca ambisce a essere distaccata dalle questioni di business”.
Interessi e disillusione
Finora, gli oppositori del progetto avevano posto la questione in termini diversi. “Ne parlavano in relazione alla situazione in Ucraina. Sappiamo che la costruzione del gasdotto metterebbe in difficoltà Kiev che perderebbe la possibilità di essere il Paese di transito. Su Nord Stream, però, gli interessi economici sono stati talmente rilevanti che, nonostante le critiche, il governo tedesco è stato sempre fermo nell’andare avanti”.
Posizione che, vista la rilevanza internazionale assunta dal caso Navalny, e come di mezzo vi sia nientemeno che il Novichok, potrebbe subire per la prima volta qualche incrinatura. “Non si può dire se sarà fermato o meno ma è chiaro che la vicenda segna la fine della cosiddetta ostpolitik. Si sono accumulati tanti casi che hanno portato a una completa sfiducia da parte tedesca verso la Russia. Questo nonostante i tedeschi siano sempre stati il motore del dialogo fra Occidente e Mosca, anche nei momenti più critici”.
Un’escalation di sfiducia
Se fin qui le relazioni Berlino-Mosca erano state sostanzialmente incentrate su uno spirito di dialogo, la vicenda che ha visto coinvolto l’oppositore politico di Putin potrebbe costituire l’apice di un’escalation di sfiducia. Che, al netto degli equilibri mantenuti, parte da lontano: “A cominciare dal 2007, dal discorso di Putin alla Conferenza di Monaco – ha proseguito Mikhelidze -. Poi nel 2008 la guerra in Georgia, e i diversi tipi di interferenze del Cremlino negli affari interni dei Paesi occidentali notate dalla Germania”.
E ancora: “La presunta influenza nelle elezioni americane e francesi, l’appoggio russo, anche attraverso risorse finanziarie, a volte concesso a partiti di estrema destra o estrema sinistra. Inoltre l’hackeraggio del 2015 in Germania, quando gli hacker aprirono i sistemi del Bundestag”. Fattori di crisi che, se sul momento non sono corrisposti a prese di posizione ufficiali, dall’altra hanno generato “una forte delusione, che Merkel non ha nascosto nel sapere che dietro quell’incidente ci fosse il Cremlino”.
Il caos bielorusso
Negli ultimi anni, un’importante variabile è stata il subentro della vicenda Skripal, avvelenato nel Regno Unito con un agente chimico proibito. Ma anche “il caso di Zelimkhan Khangoshvili, ucciso a Berlino. Queste cose si sono accumulate pian piano e aumentavano la sfiducia nei rapporti bilaterali fra Germania e Russia”. Un susseguirsi di eventi culminato con la questione della Guerra in Donbass e, da ultimo, con le vicende che hanno accompagnato il post-elezioni in Bielorussia: “L’Europa in qualche modo sperava di avviare un dialogo con la Russia, considerando la dipendenza economica di Minsk da Mosca. Inoltre, in Bielorussia si è verificato qualcosa mai accaduto, con una delegittimazione popolare contro Lukashenko. Per questo ci si augurava che Putin appoggiasse la popolazione, trovando un candidato tale da garantire il futuro rapporto economico, anche per i rapporti non esattamente idilliaci fra Putin e Lukashenko… Invece Putin ha preso la direzione opposta”.
Un dialogo irrealistico
Speranze di dialogo che, secondo l’analista, se il caos bielorusso non ha abbattuto, potrebbe riuscirci il caso Navalny: “Questa vicenda mette la fine a qualsiasi idea di strategic partnership con la Russia, non solo da parte tedesca. Anche per la posizione che ha preso la Russia, che ha rinunciato ad avviare l’inchiesta. Secondo me la Germania si trova in questa fase di disillusione, scoraggiamento. Ha avuto un’ulteriore conferma che finché c’è Putin al governo è irrealistico pensare a un dialogo costruttivo“.
Non è chiaro, visti gli investimenti cospicui e l’auspicio di sostanziali entrate, oltre che di una posizione strategica decisiva, se ad andarci di mezzo sarà il Nord Stream. “Le decisioni di questo genere non sono mai unilaterali. Merkel deve tenere conto di vari interessi nel Paese, anche se sappiamo che nel suo partito c’è un gruppo che incoraggia a fermare il progetto. Sono stati però spesi dei milioni e tutto il mondo del business vuole continuare“.
Il dibattito energetico
Ora come ora, il Nord Stream appare più vicino alla conclusione che a uno stop. Certo è che, a pesare sul progetto, non è solo il fronte esterno (Trump) ma anche chi, in Germania, ritiene la vicenda Navalny decisiva affinché Berlino si decida una volta per tutte a bloccare il progetto. “Alcuni pensano che la Germania era già a posto da un punto di vista energetico e che il futuro vada verso le fonti alternative. Secondo altri, invece, ci sono guadagni importanti. Ma il NordStream non ha solo un valore economico ma anche uno enorme a livello geopolitico”.
Una sanzione capitale
Il tema delle sanzioni, in questo senso, assume rilevanza qualora sia letto nell’ottica dell’agente ritenuto responsabile del pericolo corso da Navalny. “Il punto è l’agente nervino, fuori uso, e che la Russia era obbligata a distruggere. Questo ha a che fare con la sicurezza degli europei, va oltre la questione Navalny. Ci deve essere qualche risposta e quello che può fare la differenza è veramente fermare il Nord Stream”. Non altre sanzioni ma colpire dove farebbe più male.
Anzi, chiudere il cancello, ormai semiaperto, sul cuore pulsante dell’Europa centrale: “Bloccare il progetto può essere un messaggio forte, mentre qualsiasi altro tipo di sanzione non sarà credibile – ha concluso Mikhelidze -. Se consideriamo che Mosca non sta aprendo l’inchiesta, sarebbe come dire ai russi che possono fare come vogliono”. Un messaggio che l’Europa (non solo Trump) non sembra intenzionata a dare.