Santo Versace: “Vi racconto mio fratello Gianni, un genio con l’anima di un bambino”

Dalla tragedia del 15 luglio 1997 ai progetti di solidarietà: Santo Versace racconta a Interris.it i suoi ricordi di fratello e i progetti per i fragili

Gianni e Santo Versace
Gianni e Santo Versace - Foto: per gentile concessione

Il 15 luglio 1997, una telefonata improvvisa sconvolse la vita della famiglia Versace e, insieme, scosse un Paese intero. Gianni Versace era stato ucciso a Miami, colpito a morte da due colpi d’arma da fuoco. Un dramma che, ancora oggi, resta impresso nella storia recente dell’Italia, segnata a fondo dalla genialità creativa di uno dei talenti artistici più puri dell’ultimo secolo. Una persona che suo fratello, Santo, ha raccontato ampiamente nel libro “Fratelli – Una famiglia italiana” (Ed. Rizzoli) e che, a ventisette anni dalla sua scomparsa, continua ad affascinare e ispirare. Perché, come ricordato a Interris.it dallo stesso Santo Versace, in Gianni c’era la scintilla del bambino, che apprende da ogni cosa che vede. E che percepisce meraviglia in ogni idea. Una forza ed energia propria anche di Santo che, assieme a sua moglie Francesca De Stefano, ha dato vita alla Fondazione “Santo Versace”, in prima linea nel sostegno degli ultimi e ai fragili.

Santo Versace
Santo Versace assieme a un’icona del servo di Dio don Oreste Benzi

Santo Versace, cosa facevi il 15 luglio di 27 anni fa?

“Avevo preso un aereo da Milano per venire a Roma, dov’era programmato ‘Donna sotto le stelle’, che si faceva ogni anno con i grandi stilisti italiani. Le modelle erano già lì, così come gli abiti e mia sorella Donatella… Io presi l’aereo, arrivai a Fiumicino e andai in albergo: lì mi arrivò la prima telefonata in cui mi avvisavano che avevano sparato a Gianni. Lì per lì pensai a un equivoco. Poi andai alle prove e mi arrivò la notizia che Gianni era morto. La notizia ci sconvolse e programmammo immediatamente un aereo per andare a Miami. Oggi – che ho scritto il libro e ho superato il trauma, anche se continua tuttavia a far parte di me – mi rendo conto di aver presente quella giornata che, in realtà, avevo dimenticato. Se mi concentro riesco a riviverla pienamente”.

Da quel giorno che cosa è cambiato nella tua vita?

“Per me è finita una vita. Io la moda l’ho fatta perché la faceva Gianni. A Reggio Calabria mi dicevo: ‘Dove vai? Hai il tuo studio da commercialista, bellissimo, col mare davanti. Cosa vai a fare a Milano?’. Mia madre invece diceva: ‘Non lasciare solo tuo fratello’. Alla fine andai perché mi piaceva realizzare i sogni di Gianni e perché credevo nel suo talento. Fino a quando c’è stato lui, per me la moda era una passione. Dopo la sua morte è diventata un lavoro. Difendere il patrimonio del suo lavoro e traghettarlo nel futuro ma non era più un amore. Era un lavoro difficile, la continuazione di qualcosa che non amavo più”.

Com’era Gianni?

“Un eterno bambino, rivoluzionario, creativo. Appunto, come i bambini, che sognano continuamente e apprendono da tutte le cose. La grande forza della sua creatività era nel suo sguardo, identico a quello dei bambini, che in ogni cosa vedono qualcosa di nuovo. Era stupendo in questo”.

Gianni e Santo Versace – Foto: per gentile concessione

Quali sono i ricordi più belli che conservi di tuo fratello?

“Sono tantissimi. Quando io torno a Reggio Calabria, dopo aver terminato l’impegno come ufficiale di Cavalleria, lo trovo elettrico. Lui, che aveva le boutique, gli chiedono di fare una collezione. Disse che era ciò che sognava. Fu il momento in cui gli organizzai il primo contratto e il primo lavoro. Poi la prima sfilata di Gianni Versace: lui, nei primi anni, era consulente di altri marchi, poi decidemmo di creare la nostra casa di moda. Poi l’acquisto di Via del Gesù, che significava consolidare nel cuore di Milano che la Versace era una maison straordinaria. E ancora, l’apertura dei grandi spazi… Tante cose bellissime, un’infinità di ricordi”.

Come avete vissuto questa esplosione di successo, dall’anno zero a essere presenti in tutto il mondo?

“Come un fatto naturale. Si lavorava per il piacere di farlo e si prefiggevano traguardi sempre più importanti, incredibili. Una volta, scherzando, al presidente del Tribunale al quale stavo spiegando il funzionamento della comunicazione e delle case per la promozione del marchio, dissi che il Made in Italy, negli anni cruciali, fu fatto da gente che lavorava 25 ore al giorno, 8 giorni la settimana, 33 giorni al mese e 13 mesi l’anno, per dire quanto fosse straordinario l’impegno. Non esisteva nient’altro. Poi, con l’arrivo dei ‘tempi belli’, arrivò anche qualche miglioria. Ma i primi cinque o sei anni furono incredibili: era troppo bello ciò che si faceva. Avevamo già l’amore per il lavoro che ci avevano trasmesso i nostri genitori ma c’era passione per quello che si faceva. Una cosa tirava l’altra, non c’era mai tempo per nulla, se non per il lavoro”.

Siete cresciuti insieme… Qualche ricordo di quando eravate bambini?

“Gianni aveva due anni meno di me e io lo accompagnavo a scuola. Ricordo che, in seconda media, lui andava nello stesso fabbricato che frequentavo anche io che, all’epoca, ero iscritto a Ragioneria. Quando andavo a riprenderlo, spesso ero io a chiedere ai professori come andava mio fratello. E, una volta, a una riunione gli insegnanti mi dissero che da un mese non vedevano Gianni. Quando io lo accompagnavo all’ingresso, lui entrava e, poi, dopo che ero entrato anche io, se ne andava a giocare con gli amici in spiaggia. E, ancora, una volta convinse mia madre ad aprire il primo negozio, spiegandole bene la distinzione tra sartoria e prêt-à-porter. Lui vedeva tutto con gli occhi ridenti e gioiosi dei bambini, a qualunque età”.

Ritornando al 15 luglio 1997: quando lo hai raggiunto ti sei reso veramente conto che non c’era più tuo fratello… Poi cos’è successo?

“Quando arrivammo a Miami, in piena notte, pretendemmo di andare in ospedale. Riuscimmo a entrare, a vederlo e io toccai la testa di Gianni con una mano. Quando la ritrassi, vidi che era insanguinata. Lì ho capito che mio fratello non c’era più. Per i primi quattro anni, quando ero a Milano, nel fine settimana andavo a dormire nel suo letto nella sua casa di Como. Non so esattamente cosa cercassi.. Ci ho messo tanto ad accettare quella tragedia. Il libro mi è stato di grande aiuto: mi sono detto che volevo scrivere e, facendolo in modo compiuto, mi sono liberato. Ancora adesso ci sono cose che, man mano, mi vengono in mente”.

Su quanto accaduto sono state raccontate molte cose, anche da parte di chi non aveva voce in capitolo: puoi dirci qual è la verità?

“La realtà è stata dimostrata in tutti i tribunali del mondo. Quando accadono eventi simili, c’è sempre chi cerca di speculare sulle tragedie altrui. Ma nei tribunali è stato dimostrato che era semplicemente la morte di un personaggio famoso, ucciso da un serial killer che voleva restare nella storia, come accaduto altre volte. Una tragedia causata dalla follia di una persona già ricercata e con molti morti sulla coscienza”.

Santo Versace
Santo Versace e sua moglie Francesca assieme a don Aldo Buonaiuto

C’è un messaggio che, dalla persona di Gianni e dalla sua genialità, è possibile trasmettere ai giovani?

“Assolutamente sì. Il libro, come mi hanno suggerito amici e docenti, andrebbe destinato anche alle scuole. Perché l’insegnamento di Gianni è che, attraverso i propri talenti, la passione e l’amore per il lavoro, si può raggiungere qualunque risultato. Gianni era un genio, però questa genialità era legata a una passione straordinaria. Tuttavia, noi abbiamo avuto geni e talenti straordinari nella moda, che sono svaniti nel nulla perché non avevano accanto il muro di cemento armato al quale appoggiarsi. Gianni ha avuto la fortuna di avere chi, accanto a lui, gli trasmetteva serenità, tranquillità e organizzazione affinché i suoi sogni si realizzassero. La mia vita è sempre stata focalizzata sui disagiati, sui fragili, sul realizzare i sogni degli altri, riuscendo a dare dignità a chi non ce l’ha. Questo è anche l’obiettivo della fondazione che ho creato assieme a mia moglie”.

Accanto a te è arrivata una donna straordinaria, Francesca…

“È un rapporto straordinario, che cresce ogni giorno. Francesca mi ha cambiato la vita. Se io ho fatto il matrimonio religioso è grazie a lei. Non avrei mai immaginato di riavvicinarmi così tanto alla religione. La cosa straordinaria è che lei è stata capace di accorgersi delle mie ferite e di aiutarmi a cicatrizzarle. Ora sono realtà con cui convivo e che accetto. Insieme, abbiamo il desiderio di realizzare noi stessi, di meritarci il paradiso aiutando chi soffre”.

Santo Versace e Francesca De Stefano
Santo Versace e Francesca De Stefano

Insieme avete dato vita a questa fondazione che porta il tuo nome…

“Porta solo il mio, anche se io volevo ci fosse anche il suo. Lei, invece, è stata irremovibile. Cercherò di fare qualcosa che ricordi lei in maniera straordinaria…”.

L’obiettivo della fondazione?

“Uno degli obiettivi è quello di aiutare altre fondazioni che riteniamo virtuose e che già fanno un lavoro straordinario a sostegno degli ultimi. Penso a Nuovi Orizzonti, all’Orchestra del mare, all’Associazione Pace In Terra, alla Papa Giovanni XXIII – che aiuta le vittime della tratta -, all’Oratorio Carlo Acutis di Fabriano… Insomma, progetti che ci fanno innamorare, perché capiamo che corrispondono ai nostri obiettivi solidali. E, soprattutto, che aiutano concretamente i fragili. Oltre che alla realizzazione dei progetti sviluppati da noi, quindi, lavoriamo affinché anche altri, avviati da realtà virtuose, possano anch’essi essere realizzati. E questo è un importante passo avanti per la fondazione”.

Sei stato deputato della Repubblica italiana. Che consiglio daresti a questo governo?

“Non solo al governo ma a chiunque faccia politica. Il concetto di noi, contribuenti e cittadini che manteniamo lo Stato pagando le tasse, è fare capire che paghiamo affinché chi fa politica lavori per i cittadini. E farlo insieme. Maggioranza e opposizione non possono farsi la guerra: se la prima propone, la seconda deve lavorare affinché quella proposta diventi la migliore possibile. Non è possibile insultarsi. È anche per questo che la gente non va a votare. Noi, come cittadini, paghiamo affinché si lavori per il bene comune e non per interessi personali”.

Un anno fa vi siete sposati in chiesa. Come sono trascorsi questi dodici mesi?

“È stato meraviglioso. Come dice mia moglie, che è avvocato, prima eravamo ‘contrattualizzati’. Ora, con il sacramento, siamo una persona sola e questo si sente nella quotidianità. Quello del matrimonio è stato un momento magico e, come ho avuto modo di dire, se l’avessi saputo l’avrei fatto prima. Tutto migliora ogni giorno”.

Francesca De Stefano e Santo Versace
Francesca De Stefano e Santo Versace in visita alla parrocchia di San Nicolò a Fabriano

Molti, oggi, rinunciano a sposarsi in chiesa. Cosa occorre, invece, per fare la scelta del matrimonio religioso?

“L’amore vero e credere, in Dio, in Gesù, nello Spirito Santo. Bisogna tornare al vero credo e ad amarsi profondamente. Invece, oggi come oggi, è come se si arrivasse al matrimonio con l’idea che sia ‘a scadenza’. Il matrimonio, invece, se si sceglie con cura dev’essere eterno.

Tuo fratello è sempre nel tuo cuore: cosa gli diresti adesso?

“Mi raccomando, continua a essere te stesso. Il bambino che si divertiva di tutto. E, se stai bene in paradiso, prega per noi e portaci su con te. Ma molto più in là nel tempo!”.