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Santa Sofia, la seconda caduta di Costantinopoli

“E il mare mi porta un po’ lontano col pensiero: a Istanbul. Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato”, così Papa Francesco, ieri, dopo la preghiera mariana dell’Angelus in Piazza San Pietro, pone i riflettori sulla decisione della Turchia di riconvertire in moschea la Basilica di Santa Sofia. Francesco esprime senza mezzi termini il suo disappunto per una decisione simbolicamente epocale, che riporta indietro le lancette dell’orologio a quella Turchia ottomana, antagonista dell’Occidente e che imponeva il suo dominio su tutto il complicato scacchiere del Medio Oriente.

In fumo un secolo di dialogo?

L’opera di re-islamizzazione della società turca impartita dal presidente “sultano” Recep Tayyip Erdogan è iniziata da almeno un decennio ma la decisione di riportare il culto islamico a Santa Sofia sembra aver rotto definitivamente almeno un secolo di dialogo interreligioso, di riconoscimento reciproco e di apertura all’Europa che avevano fatto della Turchia il Paese più laico e pluralista del mondo islamico.

La riforma dopo l’Impero Ottomano

Atatürk fu il presidente che riformò la Turchia dopo la fine dell’Impero Ottomano e nel 1934 trasformò Santa Sofia in un museo aperto a tutti che è diventato il simbolo di Istanbul. Dopo oltre 80 anni, venerdì scorso Erdoğan ha firmato un decreto che ordina la riconversione della basilica in una moschea, una misura che arriva subito dopo la decisione del Consiglio di Stato di annullare la decisione di Ataturk, accogliendo la richiesta di un piccolo gruppo islamista locale. Di fatto il sito bizantino, patrimonio dell’Unesco, passa dalla gestione dal Ministero della Cultura alla Presidenza degli Affari Religiosi. Lo stesso Erdogan, con un discorso alla nazione, ha annunciato che il 24 luglio si terrà la prima preghiera a Santa Sofia.

L’ultima messa a Santa Sofia

L’ultima messa a Santa Sofia risale invece alla notte del 28 maggio del 1453, alla celebrazione assistettero sia i fedeli di rito greco che quelli di rito latino. Secondo le fonti dell’epoca, gli abitanti di Bisanzio erano disperati, e si abbandonarono alle lacrime, la mattina seguente infatti gli ottomani entrarono in città dopo due mesi di assedio, uccidendo, stuprando, razziando e ponendo fine a oltre 1000 anni di Impero Romano d’Oriente.

Centro di vita che abbraccia Oriente e Occidente

La cattedrale bizantina dedicata alla Sophia  (Sapienza Divina) è stata dunque cristiana per circa un millennio. Inaugurato nel 537 sotto l’imperatore cristiano Giustiniano l’edificio fu cattedrale greco-cattolica e poi ortodossa e sede del Patriarcato di Costantinopoli. Non è un caso che le Chiese ortodosse abbiano espresso le critiche più forti. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, nei giorni scorsi, aveva denunciato i rischi di questa decisione in tal senso: “Spingerà milioni di cristiani in tutto il mondo contro l’islam”. In virtù della sua sacralità, Santa Sofia, aveva rimarcato il Patriarca, è un centro di vita “nel quale si abbracciano Oriente e Occidente”, e la sua riconversione in luogo di culto islamico “sarà causa di rottura tra questi due mondi”.

Una provocazione?

Il patriarca di Mosca Kirill, figura religiosa più importante di tutta la Russia, ha parlato di tentativo di “calpestare l’eredità spirituale millenaria della Chiesa di Costantinopoli, accolta dal popolo russo, allora come oggi, con indignazione e amarezza”. Duro anche il governo della Grecia, il Paese più legato al patriarcato di Costantinopoli, che ha descritto l’atto di Erdogan come “provocazione al mondo civile”, mentre il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), che conta 350 chiese e rappresenta 500 milioni di cristiani, ha chiesto di rivedere la decisione.

Erdogan invoca la sovranità nazionale

Dal canto suo Erdogan ha difeso la decisione invocando la “sovranità nazionale” e assicurando che le porte di Santa Sofia continueranno a essere aperte a tutti e che i mosaici cristiani saranno salvaguardati. Certo è che la reazione sprezzante alle proteste manifesta la volontà di Erdogan di mostrare i muscoli sia davanti ai ceti popolari della Turchia, dove ha sempre attinto per il suo consenso, sia difronte i sui rivali regionali. Ovvero Erdogan si manifesta come il vincitore contro i cristiani e l’Occidente  davanti ad Egitto, Arabia Saudita ed Emerita Arabi. Il protagonismo della Turchia nel Mediterraneo è già visibile con le sue interferenze in Siria e Libia, un nazionalismo che si tinge sempre più di venature religiose per legittimare la leadership di Erdogan, con buona pace delle minoranze.

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