Le vite di almeno dieci milioni di cittadini ucraini sono state travolte e stravolte dalla guerra che da più di un mese sconvolge il loro paese. I bombardamenti e i combattimenti hanno costretto dieci milioni di persone, uomini, donne, bambini, persone anziane, soggetti fragili e vulnerabili, a lasciare le proprie case per salvarsi, secondo quanto detto dalla rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) in Ucraina Karolina Lindholm Biling lo scorso 25 marzo al Palazzo delle Nazioni a Ginevra. Gli sfollati interni, cioè coloro che sono fuggiti dalla propria abitazione ma non hanno attraversato il confine, sono 6,5 milioni, mentre 3,9 milioni di persone hanno deciso di cercare salvezza e sicurezza al di là della frontiera. Un esodo che “non ha precedenti dalla Seconda guerra mondiale in Europa, certamente in termini di velocità e portata degli sfollati”, ha detto sempre a Ginevra il portavoce dell’Unhcr Matthew Saltmarsh. Polonia (la meta di sei rifugiati su dieci), Romania e Moldavia sono i primi paesi dove queste persone in fuga – soprattutto donne, bambini e ultrasessantenni, perché chi ha tra i 18 e i 60 anni non può lasciare l’Ucraina – hanno trovato accoglienza, riparo, protezione e soccorso grazie alla solidarietà di organizzazioni umanitarie, associazioni del terzo settore e religiose, che hanno cercato di provvedere nel modo migliore alle loro esigenze e ai loro bisogni.
Perché nella grande maggioranza dei casi queste donne, questi figli e questi anziani hanno lasciato l’Ucraina riuscendo a portare con sé appena l’indispensabile. Mentre è ben più pesante e ingombrante il carico del trauma della guerra che si sono ritrovati in casa, della paura delle sirene antiaeree, delle ore cariche d’ansia trascorse nei bunker, della scarsità del cibo, della separazione dolorosa da parenti, amici e conoscenti rimasti. Di questi 3,9 milioni di profughi, al 29 marzo sono giunte finora in Italia 75.115 persone, rende noto il Ministero dell’Interno. 72.175 alla frontiera, specifica il Viminale, e 2.940 controllate dal compartimento Polizia ferroviaria del Friuli-Venezia Giulia. La maggior parte sono donne, 38.735, e minori, 29.222, tra cui 475 non accompagnati, e solo una minima parte uomini, 7.158. Le destinazioni che queste persone dichiarano, al loro ingresso in Italia, sono tra le principali città della penisola: Milano; Roma; Napoli; Bologna.
L’accoglienza
Di questi 75mila, circa 270 hanno trovato accoglienza e ospitalità in un piccolo comune del bolognese, San Lazzaro di Sàvena. Dove le istituzioni locali si sono attivate non solo per trovar loro una sistemazione, grazie anche alle realtà del territorio, ma anche per far tornare il prima possibile i più piccoli sui banchi di scuola e far inserire i più grandi nel mondo del lavoro. “In tante mi chiedevano di lavorare per poter spedire qualcosa a casa”, racconta a Interris.it la sindaca di San Lazzaro Isabella Conti, prima cittadina dal 2014, “e di poter mandare i loro figli a scuola, per non fargli perdere istruzione e per timore che si potessero alienare”, senza amici e compagni in un Paese straniero, con parte della famiglia – padri, fratelli maggiori – rimasti in Ucraina. I primi arrivi nella notte tra il 2 e il 3 marzo, a poco più di una settimana dall’inizio della guerra. Le persone, soprattutto donne e bambini, venivano alloggiate all’Uanaway Hotel, una struttura che, per via di una convenzione tra la proprietà e l’Ausl di Bologna, in precedenza ospitava chi aveva contratto il Covid ma non poteva trascorrere il periodo di isolamento a casa. Grazie a un nuovo accordo raggiunto tra l’azienda sanitaria e la Prefettura, i primi 66 arrivi hanno trovato ospitalità in quelle stanze. Il resto della città non ha mancato di far sentire presto la propria solidarietà, racconta ancora la sindaca: “Altre 25 persone si trovano in una struttura dei salesiani, mentre per il resto si tratta accoglienza diffusa, nelle case”. Un’iniziativa lodevole, quest’ultima, che però necessita comunque di monitoraggio da parte delle istituzioni. Conti spiega: “L’accoglienza diffusa è questione non banale, perché non si tratta di una situazione temporanea e, dato che ci sono anche dei bambini che hanno visto la guerra, credo servirebbe una squadra di assistenti sociali e psicologi che monitori la situazione”.
Due tipi di arrivi
Il fenomeno degli “arrivi” presenta al suo interno caratteristiche differenti, continua la prima cittadina. C’è infatti chi giunge avendo già contatti con persone del territorio, anche connazionali, a cui appoggiarsi. E chi invece al suo arrivo non dispone di una sistemazione autonoma, per cui si segnala alle autorità di pubblica sicurezza locali. In questo caso, dopo aver effettuato un tampone per verificare la positività o meno al Covid, la persona viene indirizzata dalla prefettura in un Centro di accoglienza straordinaria o ad un albergo di prima accoglienza. La differenza sostanziale però è, forse, un’altra: la diversa esperienza della guerra di chi arriva nei giorni successivi. “Rispetto ai primi arrivi, le altre persone sono più segnate dall’esser stati sotto i bombardamenti e dall’aver visto le vittime del conflitto”, illustra Conti. I bambini, racconta la sindaca, passano molto tempo attaccati al cellulare in attesa di ricevere notizie dei papà e degli altri parenti ancora in Ucraina.
La fibra straordinaria di Liliana e di Oleksander
Conti era lì quando Liliana e le altre sono arrivate a San Lazzaro. “Ho voluto conoscere le loro storie e capire quali erano le loro esigenze”, racconta. “Sono persone partite in macchina, in treno o con un mezzo di fortuna, portandosi lo stretto indispensabile. Così abbiamo fornito diverse cose, per esempio i pannolini per i bambini”. Liliana è la “prima” arrivata, prosegue la sindaca, spiegando cosa, in quel primo incontro, quel contatto iniziale, l’ha colpita. “E’ arrivata qui con tre figlie e sua madre. In Ucraina, a Leopoli, aveva una pasticceria, ma mi ha detto che la guerra rende tutti poveri e siccome non c’è più niente, vuole cercare di mandare del denaro a casa. Mi ha colpita accorgermi di quanto abbiano bisogno di avere le istituzioni al loro fianco, anche dal punto di vista umano”. Conti riporta di aver incontrato “gente con fibra umana straordinaria”. Come una donna di 68 anni che per due decenni aveva lavorato in Italia come badante e appena a gennaio scorso era tornata nel suo paese, per stare insieme ai nipoti. Con lo scoppio della guerra, la figlia, un medico di 47 anni, l’ha convinta a rientrare in Italia affidandole, oltre che il proprio figlio minore, la moglie del fratello. Mentre lei rimaneva insieme al marito e al figlio, cercando di prodigarsi per curare le persone sfollate. O come Oleksander, un ragazzo di 17 anni, arrivato con la sorella e la zia che ha con portato sé i suoi figli più piccoli, che vorrebbe trovare un lavoro per potere mandare del denaro alla sua famiglia. Ancora, come le due sorelle, una di nata nel 1988 e l’altra nel 1993, rispettivamente neurologa e dermatologa, che si sono dette disposte a fare qualsiasi lavoro.
Lavoro, impegno, autonomia
“Abbiamo bisogno di far lavorare queste donne”, spiega Conti, “perché per loro è un modo per tenersi occupate, per far sì che abbiano un ruolo nella comunità ospitante e per renderle autonome permettendo loro di pagarsi un affitto, anche calmierato, per condurre una vita il più possibile normale”. E come recita il famoso adagio, chi ha tempo non aspetti tempo. La stessa sindaca se è ne interessata a più livelli. In prima persona, infatti, ha dato una mano a molte di loro – che avevano portato con sé i propri diplomi e i certificati di laurea – a redigere il curriculum vitae. E come istituzione, ha raggiunto l’intesa e appone la firma su un accordo quadro con Assohotel Bologna, il sindacato degli albergatori di Confesercenti, per promuovere opportunità occupazionali nella provincia di Bologna. “Noi, come comune, ci incarichiamo del censimento delle competenze e delle quelle qualifiche, dello screening Covid e vaccinale, e della segnalazione del profilo, mentre loro si impegnano ad assumere”, illustra la prima cittadina. “Abbiamo già raccolto l’interesse di almeno venti aziende turistiche ad assumere una o due persone in mansioni dirette con il pubblico nei bar o alla reception di un albergo, in cucina come in sala. C’è qualcuno che ci ha chiesto anche delle sarte o è disposto a prendere un’intera famiglia”, ha affermato in occasione dell’accordo il presidente di Assohotel Bologna Paolo Mazza.
In classe…e a Mirabilandia
La sindaca di San Lazzaro è riuscita, insieme ai dirigenti scolastici, a dare una veloce risposta all’altra grande e sentita domanda di quelle madri preoccupate per i loro piccoli. Farli andare a scuola, per lenire il trauma della guerra e lo strappo dell’addio al proprio padre, alla propria casa. “I primi 12 bambini sono entrati in classe il 7 marzo scorso”, lei stessa si incaricata di accompagnarli, “e adesso abbiamo in tutto 50 minori che vanno a scuola con l’ausilio di mediatrici culturali”, racconta la prima cittadina, che ringrazia “lo straordinario lavoro dei dirigenti scolastici e i genitori degli altri bambini”. Vederli e sentirli tornare a ridere è il primo segnale di un progressive superamento della paura. Ma non solo i banchi di scuola aspettano i piccoli arrivati dall’Ucraina, “i gruppi scout e alcune società sportive si sono offerte di fargli fare attività”. E per non far smettere i bambini di ridere, divertirsi e giocare, Conti ha avuto ancora un’idea: “Il 2 aprile li portiamo tutti a Mirabilandia”.