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San Francesco d’Assisi, un uomo del Vangelo dentro il suo tempo

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San Francesco d’Assisi è il patrono d’Italia ma anche dei commercianti e dei lupetti dell’Agesci. È stato canonizzato il 16 luglio del 1228 da Papa Gregorio IX a soli due anni dalla sua morte. Il suo processo di canonizzazione è stato uno dei più rapidi della storia della Chiesa cattolica. Il 18 giugno 1939 Papa Pio XII lo ha proclamato patrono principale d’Italia come il “più italiano dei Santi e più Santo degli italiani”.  Egli si è dedicato al rinnovamento della Chiesa e dei suoi membri, deponendo ogni suo bene materiale, camminando a piedi scalzi e vivendo in assoluta povertà, tanto da essere definito il Poverello di Assisi, predicando con il suo esempio il Vangelo come i primi apostoli e fondando l’Ordine dei Frati minori. In questa giornata, in cui si festeggia San Francesco d’Assisi, In Terris ha intervistato, riguardo all’attualità del messaggio del Santo, il Professor Agostino Giovagnoli, docente ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed autore di molteplici pubblicazioni.

L’intervista

Qual è per lei l’aspetto centrale della figura di San Francesco?

“L’aspetto centrale della sua figura è la testimonianza che il Vangelo si può seguire anche senza uscire dal mondo cioè, in altre parole, condividendo la vita di tutti. Prima di lui la santità si viveva nei monasteri fuori dalla città, dove i monaci vivono la preghiera, il lavoro e lo studio costituendo una comunità alternativa alla confusione e alle contraddizioni della città. Invece San Francesco non è uscito dal mondo, non è uscito dalla città, ma ha inventato una strada per seguire il Vangelo nella vita di tutti i giorni, dentro la vita comune, nelle strade della città del suo tempo, come Assisi. È questo il senso profondamente innovatore della sua proposta, secondo cui il Vangelo può essere vissuto e seguito da tutti senza bisogno della separazione – che peraltro ha un suo profondo valore – propria della vita monastica.”

Come si pone San Francesco di fronte ai cambiamenti che avvenivano nel suo tempo?

“San Francesco è profondamente dentro i cambiamenti del suo tempo. È un figlio della nuova borghesia che si viene affermando in quel periodo; suo padre era un commerciante importante che aveva traffici anche con la Francia. Inizialmente, anche Francesco è attratto da questa vita, dal commercio e dagli affari, ma anche dal combattimento e dalle armi. Dentro il suo tempo però, Francesco vede che la Chiesa sta declinando, è in crisi. Il suo intento, quando ricostruisce San Damiano, è quello di esprimere l’esigenza di ricostruire la Chiesa tutta dentro il periodo in cui viveva, un’epoca di borghesi, soldati e commercianti. San Francesco è un uomo del Vangelo dentro il suo tempo.”

Cosa insegna alle giovani generazioni la scelta di San Francesco di rinunciare ai beni paterni per affidarsi al Padre Nostro?

“La sua è una scelta di libertà perché, rifiutando l’eredità del padre, rifiuta anche il ruolo sociale che è già stato preparato per lui. Suo padre sognava per lui una carriera brillante, l’affermazione negli affari e la continuazione della ditta paterna. Quindi, l’eredità, il benessere e i privilegi ma con un prezzo alto da pagare, ossia inserirsi in un solco già tracciato da qualcun altro. Quando San Francesco dice “nessuno mi ha detto quello che dovevo fare, il Signore, l’Altissimo, me lo ha rivelato” mostra che lui segue la sua Vocazione, che è la chiamata di Dio nella sua vita, e per fare questo si libera da tutti gli impegni sociali. C’è un grande amore per la libertà, c’è la volontà di seguire la propria strada e vocazione”.

San Francesco fa della povertà il suo valore spirituale supremo, come si concilia questo con la società attuale?

“Io credo che questa scelta sia l’altra faccia della libertà. C’è una libertà che dobbiamo conquistare rispetto agli altri, uscendo fuori dal conformismo e seguendo la strada che crediamo giusta. Ma poi c’è anche una libertà interiore che è più difficile, quella di dire no anche a sé stessi quando è necessario oppure sfuggire ai condizionamenti impercettibili della vita quotidiana. Oggi siamo – innanzitutto e soprattutto – consumatori, c’è sempre qualcuno che ci vuole vendere qualcosa anzi, che ce lo ha già venduto prima ancora che noi ce ne accorgiamo. Questo è qualcosa di molto più insidioso perché impone una lotta interiore per conquistare la libertà. La povertà è il modo in cui San Francesco ieri – ma anche noi oggi – possiamo sfuggire dai condizionamenti, anche da quelli inconsapevoli, di un mondo iper-consumista in cui tutto ha un prezzo, magari è piacevole, ma ci costringe senza che noi ce ne accorgiamo. Quando diciamo “io voglio essere me stesso”, in realtà diciamo qualcosa che non è vero, perché poi, chi siamo ce lo dicono i vestiti che portiamo, ciò che compriamo e le vacanze che facciamo. La povertà vuol dire invece ritrovare un Io più grande, uno spazio interiore ed un colloquio con Dio più vero che altrimenti non ci sarebbe”.

Christian Cabello: