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Russo (Acli): “Le persone vanno poste al centro di ogni politica”

L'intervista di Interris.it a Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli e portavoce nazionale dell’Alleanza contro la Povertà

La Giornata Mondiale del Rifugiato, indetta dalle Nazioni Unite, viene celebrata il 20 giugno per commemorare l’approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati da parte dell’Assemblea generale dell’Onu. È stata celebrata per la prima volta il 20 giugno 2001, nel cinquantesimo anniversario della suddetta Convenzione. Ogni anno l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) seleziona un tema comune per coordinare gli eventi celebrativi in tutto il mondo.

La situazione attuale

Nel mondo sono 110 milioni i rifugiati, i richiedenti asilo e gli sfollati interni costretti a lasciare i Paesi di origine a causa di persecuzioni, conflitti, violazioni dei diritti umani, eventi climatici estremi. Di questi, secondo le stime dell’Unhcr, ben due milioni di persone sono fuggite fra gennaio e maggio. Interris.it, sul significato di questa giornata e alle prospettive di inclusione dei profughi, ha intervistato Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli, membro del Comitato Esecutivo e Portavoce nazionale dell’Alleanza contro la Povertà.

Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli (© Acli)

L’intervista

Ricorre oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato. Che significato ha per voi?

“Significa che l’auspicata disponibilità e capacità di accogliere popoli in fuga da guerre, tirannie e catastrofi naturali, evocata molte volte nel corso di questi anni di fronte alle tragedie come quella avvenuta l’altra sera a largo della Grecia, continua a retrocedere. Si stanno facendo passi indietro nell’accoglienza di chi fugge dalle sofferenze a seguito di errori nelle politiche internazionali in materia, sulle quali ci sono delle responsabilità. Piuttosto che farsi carico delle persone e ricordarsi del fatto che, la stessa l’Europa, fondata sulla civiltà del diritto che mette al primo posto l’umanità con le donne e gli uomini, ogni volta che si verifica una tragedia del mare e delle persone perdono la vita, retrocede. Il Mar Mediterraneo, per secoli, è stato un luogo di scambi culturali e commerciali, oggi è diventato un luogo di morte. Ciò sta a significare che, in questa giornata, la nostra voce, si deve alzare ancora più forte. Dobbiamo ricordare ancora una volta che, bambini, donne e uomini, non fuggono dalle loro case per il piacere di farlo ma perché sognano di avere una vita migliore. Oggi questa possibilità viene loro negata”.

Come si è contraddistinta, in questi anni, l’azione delle Acli in materia di inclusione dei migranti?

“Si è svolta in tre modi: culturale, politico e sociale. Dal punto di vista culturale, già quindici anni fa, abbiamo lanciato una campagna contro il razzismo perché, nel momento in cui ci eravamo resi conto che l’Italia era diventata un paese di immigrazione e non solo di emigrazione, andava fatta un’azione di tipo culturale per aiutare le persone a capire ciò che stava avvenendo. All’epoca cominciava ad affermarsi una strisciante cultura del respingimento e un’idea dell’immigrazione vista come un problema, che faceva e ancora fa del migrante l’intruso che arriva nelle nostre città e modifica storia e tradizioni. Noi ci siamo resi conto di ciò che stava succedendo e che bisognava ricominciare dalle scuole e parlare ai bambini, spiegando loro che i sentimenti di xenofobia e di razzismo sono sempre dietro l’angolo e bisogna quindi provare a scongiurare tale deriva. La campagna si chiamava ‘Non aver paura, apriti agli altri’ perché stavamo diventando un paese nel quale avrebbero vissuto qualche milione di giovani stranieri e, ad oggi, vi sono cinque milioni di cittadini regolari di origine straniera, che lavorano e contribuiscono a migliorare l’Italia. Abbiamo poi collimato il lavoro culturale con quello politico. Nel nostro paese, c’è un quadro normativo in materia, assolutamente bloccato. Nonostante il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ci informi tutti gli anni del fatto che servono 200/300 mila lavoratori in più, se una lavoratrice straniera volesse entrare nel nostro paese regolarmente, il nostro ordinamento non offre questa possibilità. Quindi, come Acli, abbiamo sempre ritenuto che, l’azione politica, insieme a quella culturale, fosse la leva che sarebbe servita per cambiare il quadro normativo e rendere il paese più simile alle altre democrazie europee nelle quali l’immigrazione è stata gestita prima, penso ad esempio a Francia, Olanda, Germania e Belgio. Pertanto, attraverso il sostegno a leggi di iniziativa popolare, abbiamo posto un problema in ordine agli accessi, alla regolarizzazione di lavoratrici e lavoratori e ai permessi di soggiorno. Abbiamo raccolto migliaia di firme e, ai vari governi che si sono succeduti in questi anni, consigliato delle modifiche al Testo Unico sull’immigrazione che è ancora fermo a qualche tempo fa. Su questo versante, si sono raccolte trecentomila firme per la campagna ‘L’Italia sono anch’io’, la quale sosteneva il fatto che un milione di bambini di origine straniera ma nati in Italia potessero, mediante lo ‘ius soli’, acquisire la cittadinanza. L’iniziativa è stata promossa e sostenuta da oltre cinquanta organizzazioni e c’è stata una grande spinta ma questi ragazzi, ormai diventati grandi, sono ancora stranieri nel loro paese. Abbiamo sempre dichiarato che questo avrebbe fatto crescere un’immigrazione rancorosa perché non capiscono il motivo per il quale non vengono riconosciuti cittadini italiani per diritto. Senza la modifica del quadro normativo attuale, sarà difficile che queste persone possano sentirsi parte di una comunità che contribuisce a migliorare l’Italia. Il terzo versante di azione delle Acli è costituito dalla seconda accoglienza ossia la tutela e la promozione dei diritti dei cittadini stranieri. Svolgiamo questo compito attraverso l’associazione e i nostri servizi. Agevoliamo poi i processi di inclusione sociale nelle comunità, in collaborazione altre realtà, mediante l’accompagnamento delle persone in un processo che le faccia sentire e poi diventare cittadini di questo paese. Queste azioni accompagnano da un trentennio le Acli nel campo dell’immigrazione e sono distintive del nostro modo di operare in Italia e nel mondo.

Voi vi occupate di accompagnare anhe gli emigranti italiani all’estero…

“Le Acli nascono nel 1945, si occupano della costruzione post-bellica di un paese distrutto, ma hanno anche un compito importante all’estero, ossia di accompagnare gli emigranti italiani all’estero. Oggi discutiamo di immigrazione ma, ciò che i nostri connazionali ci raccontano dicono che le storie di immigrazione sono tutte uguali. Forse, per il fatto di aver accompagnato i nostri concittadini all’estero, essere un’associazione internazionale, presente in Europa, America, Africa e sulla rotta balcanica dove ci facciamo carico di altri migranti che vengono respinti, ci consente di vedere con occhi diversi le persone che provano ad avere una vita dignitosa in un paese che ha fondato sul diritto la sua storia. Questo è il punto di partenza sul quale, le Acli, hanno gettato le basi della loro esperienza associativa”.

Quest’anno, la Giornata Mondiale del Rifugiato, si celebra a pochi giorni dalla naufragio avvenuto a largo delle coste greche. In che modo le istituzioni europee dovrebbero intervenire per evitare queste tragedie?

“L’Europa dovrebbe smettere di dire che queste tragedie non sono prevedibili e che quelle vite non si potevano salvare. Di fronte a 600 morti bisogna smetterla con la retorica delle responsabilità che non si individuano mai. I migranti stanno arrivando in Europa attraverso i canali che conosciamo. La crisi può essere risolta se gli stati che compongono l’Europa si dicono disponibili all’accoglienza e a una redistribuzione delle persone che provano a raggiungere il continente europeo. Nessuno è invaso: le persone che giungono qui sono disperate, come lo erano gli italiani che si recavano nelle Americhe qualche secolo fa. Non si può fermare la disperazione di chi vede la guerra e morire i propri figli. Evidentemente occorre un quadro normativo, gli Stati che compongono l’Unione Europea devono farsi carico in misura eguale, in base alle capacità che hanno, di accogliere senza se e senza ma. Il governo polacco però ha già chiarito che non accoglierà nessuno; a tal proposito, vorrei che la Polonia ricordasse come anni fa il suo popolo è stato costretto ad emigrare e quali sono state le disponibilità in Europa. I paesi di Visegrad continuano a sostenere che queste persone vanno respinte. Fino a quando alcuni paesi, soprattutto quelli di frontiera, saranno investiti da tale problematica, la situazione sarà complicata. La seconda questione, di politica internazionale, di cui l’Europa è stata capace nel corso di questi anni, è stata l’esternalizzazione delle frontiere, ovvero di spostare il confine dell’Europa sempre più indietro verso l’Africa. Si fanno trattative con governi improbabili, ad esempio i due governi libici e la Turchia, che usano i migranti come arma impropria per ricattare, avere vantaggi e chiedere risorse all’Europa, tenendo in condizioni disumane queste persone. L’unica cosa che si è saputa fare in questi anni è stato criminalizzare la solidarietà, come se le vite umane non avessero nessun diritto. Il Mar Mediterraneo e le coste di fronte all’Europa sono le più pattugliate del mondo per via della guerra in Ucraina ma continuano a morire le persone. La storia scriverà dell’indifferenza con cui sono state trattate milioni di persone”.

Papa Francesco ha esortato più volte a vedere i migranti come compagni di viaggio speciali che si devono amare e curare come fratelli. Alla luce di questo insegnamento, come si può favorire la partecipazione dei migranti nella società?

Roma 26/03/2019 – Papa Francesco visita in Campidoglio / foto Samantha Zucchi/Insidefoto/Image
nella foto: Papa Francesco

“Papa Francesco è straordinario. Dal primo momento del suo pontificato ci ha ricordato le responsabilità che abbiamo nei confronti dei migranti, l’importanza della fratellanza e l’idea di incontro tra diversi popoli e civiltà. Spero che, il Santo Padre, possa continuare a parlare, come fa in ogni occasione, al cuore dei capi di Stato e di governo. Fino a questo momento, nonostante la Chiesa Cattolica non abbia mai perso occasione per ribadire che le persone vanno poste al centro di ogni politica, accadono ancora tragedie come quella a largo delle coste greche. Papa Francesco ci esorta a muoverci e non solo a commuoverci. Molte volte, il giorno dopo una tragedia, ho visto persone commuoversi, ma poi quando si è chiamati a gesti di solidarietà concreta, la realtà cambia. Il Santo Padre, attraverso la sua azione incessante, spiega che un’umanità che non riconosce l’umano è destinata a non avere più chiare le priorità e a finire. Inoltre, c’è una richiesta di un maggiore impegno che il Papa rivolge alle associazioni cattoliche che, negli ultimi anni, si sono fatte carico di buona parte del processo di accoglienza nel nostro Paese. La partecipazione dei migranti nella società si favorisce riconoscendoli come soggetti di diritto. Anche il quadro normativo, deve farli sentire a tutti gli effetti cittadini portatori di diritti e contribuire a migliorare la società e le comunità nelle quali vivono: è fondamentale per incentivare il loro essere parte della comunità. Ciò lo si fa attraverso la legge, in particolare, ratificando dei trattati europei per i quali un lungo soggiornante nel nostro paese, dopo cinque anni di permanenza, potrebbe votare alle amministrative. Bisogna agire dal punto di vista culturale, dando il via a dei processi di intercultura in cui è più facile conoscere chi arriva nel nostro paese, la loro cultura e le loro storie, facendo in modo che anche loro conoscano le nostre. L’incontro tra le culture rafforza tutti. Le identità non sono mai statiche ma, al contrario, dinamiche, basta guardare alla storia. Dobbiamo fare attenzione a non commettere gli errori che, nel corso degli anni, hanno fatto gli altri paesi europei. Bisogna incontrare gli altri e riconoscerne la ricchezza e la povertà. Quando si emigra lo si fa per intero, si portano il genio, la grandezza ed anche qualche difetto. Ciò non deve spaventarci, anche nel nostro caso, non sono emigrati solo i nuovi sindaci di New York, ma anche persone che non hanno dato lustro alla nostra storia. È necessario capire che, solo nell’incontro tra le persone, può nascere qualcosa di nuovo che può far germogliare le società del futuro”.

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