L’unione fa la forza perché nessuno si salva da solo. La collaborazione intergenerazionale può evitare che i costi di una popolazione sempre più longeva e anziana diventino un vincolo per le giovani generazioni. Il rischio è che il Paese perda quella spinta propulsiva propria delle seconde, il cosiddetto degiovanimento, rendendo così difficile prendersi cura della prima. L’opportunità è quella di salvare dalla “cultura dello scarto” chi è in età matura, garantendogli la sua dignità e un suo ruolo nella società, compatibilmente con le sue condizioni, grazie anche alle nuove possibilità offerte dello sviluppo tecnologico. E’ questo il senso delle considerazioni espresse dall’esperto Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, interpellato da Interris.it riguardo l’invecchiamento degli italiani e le ripercussioni di questo fenomeno sulla società e sullo stato sociale.
Longevi e anziani
La speranza di vita aumenta, secondo l’Istat, e l’indagine 2024 di Italia Longeva prevede che nei prossimi tre anni gli ultranovantenni saranno un milione in più, mentre nei prossimi vent’anni gli anziani fragili saranno quasi 19 milioni, un terzo dei quali over65 soli o a rischio di isolamento. In ultimo, la vita lavorativa degli italiani si è allungata, pur restando fanalino di coda in Unione europea. Di fronte a questi dati, è lecito domandarsi se l’Italia sia anziana o longeva. “Entrambe le cose”, risponde il professore. “Più longeva perché si vive sempre più a lungo, al tempo stesso invecchia sia perché un numero maggiore di persone arriva all’età anziana e raggiunge l’età matura avanzata, sia perché si riduce la popolazione giovane”, spiega. “Il peso di chi è anziano cresce quindi in termini assoluti e in termini relativi”, sottolinea.
Impatto sul welfare
Con il passare degli anni spesso diminuiscono l’autonomia e l’autosufficienza, anche per l’insorgenza di malattie croniche legate all’età, tra cu le demenze – che oggi in Italia riguardano un milione di persone, secondo il Ministero della Salute. I numeri in crescita e diversi bisogni, dai più lievi a più impegnativi, a cui dare risposta impattano sul welfare. Oggi, sempre in base ai dati di Italia Longeva, un milione di anziani su sei con patologie gravi croniche è preso in carico dal Servizio sanitario nazionale con cure domiciliari, residenza assistita o strutture di lungodegenza, mentre da un decennio cresce la domanda di assistenza a domicilio, dai 250mila over65 di dieci anni fa ai 550mila del 2023. “Rispondere alla domanda crescente dei costi di cura e assistenza non sarà facile anche a causa di un alto debito pubblico e di una carenza di giovani in età lavorativa che possano finanziare e far funzionare lo stato sociale”, commenta Rosina. Il dubbio se la sanità pubblica, già in difficoltà per tagli e insufficienza di medici e infermieri, possa fare fronte a questo scenario, viene. “Se le cose restano così evidentemente no, perché a fronte di un aumento della domanda di assistenza avremo meno risorse finanziarie e meno personale di cura” – risponde il demografo – “occorrono quindi servizi più efficienti, maggior prevenzione e uso di nuove tecnologie assistive”.
Lavoro di cura
Attori fondamentali dell’assistenza delle persone anziane sono i componenti della famiglia, sia sotto il profilo economico che sotto quello del lavoro di cura. Nel 2023 le famiglie italiane, ha calcolato il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali nel suo documento “Silver Economy, la grande economia del prossimo decennio”, hanno speso 33,7 miliardi di euro – circa 23,1 miliardi al netto delle agevolazioni fiscali – per le cure e i ricoveri resi necessari dalla non autosufficienza, il 73,6% erogati a over65. Oltre ai costi, c’è tutta la fatica che richiede un accudimento del genere. “Il lavoro di cura è particolarmente gravoso perché in Italia tradizionalmente abbiamo sempre gestito e affrontato l’assistenza di parenti fragili con reti informali all’interno delle famiglie, mentre in altri Paesi hanno sviluppato per tempo servizi pubblici, presenti in maniera capillare, anche domiciliare, e formando personale qualificato”, argomenta Rosina, “e in questo scenario si rischia che di fronte a un maggior numeri anziani non autosufficienti diminuiscono i giovani membri della famiglia e la disponibilità della componente femminile, sempre più impegnata nel lavoro, si riduce”. A questo punto entrano in gioco colf e badanti, vere e proprie caregiver alternative ai parenti. Secondo un recente rapporto di Assindatcolf e Centro Studi e Ricerche Idos è emerso che nel 2025 il fabbisogno di queste figure salirà a 2,3 milioni, rispettivamente poco più di un milione e 1,2. “I collaboratori domestici hanno un ruolo nel lavoro di cura, ma spesso non hanno le competenze e i requisiti professionali”, prosegue l’accademico, “occorre migliorare il mercato privato del lavoro domestico e rafforzare sistema pubblico per migliorarne la capacità di dare risposte”.
Valore umano
Secondo Rosina, la possibile risposta a tante domande risiede nel ridare valore al ruolo della persona anziana nella società, uscendo dal perimetro di letture utilitariste e rimettendo al centro di tutto il capitale umano, senza per questo trascurare le nuove opportunità che permettono anche a chi è avanti con gli anni di essere attivo e avere una funzione. “C’è una visione economicista delle persone anziane, le si ritiene un costo oppure utili per via del loro portafoglio” – sempre lo studio di Itinerari previdenziali stima la “ricchezza” spendibile degli over65 pensionati circa 288 di euro – “mentre il valore umano dell’anziano è il patrimonio di esperienze, l’impegno sociale, culturale e spirituale, da non disperdere, affinché possa dare pieni frutti anche in età matura”. L’esperto afferma la necessità della collaborazione tra le generazioni “per costruire una società di tutte le età, dove tutti vivano bene e diano il proprio contributo all’interno dei contesti abitativi famigliari, sociali-relazionali e lavorativi”. “Il ruolo sociale di chi è più avanti negli anni va valorizzato, è una questione culturale ben evidenziata da papa Francesco”, conclude l’accademico.