In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, i bambini e ragazzi fino a 14 anni sono quasi 8,5 milioni (il 14,1 della popolazione) e i giovani tra i 15 e i 34 anni 13,8 milioni (22,9 per cento). In particolare, nell’epoca che stiamo vivendo, i giovani devono affrontare più difficoltà per rendersi economicamente autonomi, raggiungere la piena maturità sociale e condizioni di vita soddisfacenti. Interris.it, in merito alle possibili strategie per rendere i giovani maggiormente protagonisti del futuro, ha intervistato Simone Romagnoli, coordinatore nazionale dei Giovani delle Acli e referente nazionale per il servizio civile.
L’intervista
In che modo, secondo lei, si dovrebbero coinvolgere i giovani nei processi decisionali che riguardano il futuro del paese?
“I giovani, per quanto riguarda i processi decisionali sul futuro del paese, vanno coinvolti partendo dalle realtà locali. Credo che, ad esempio dentro le associazioni, ci sia bisogno, oltreché del ricambio generazionale, anche di provare a svecchiare il pensiero. Una cosa che vedo spesso all’interno del mondo politico è il fatto che si parla spesso di giovani, ma si parla pochissimo con i giovani. Credo che, per coinvolgere questi ultimi nei processi decisionali, ci deve essere un cambio di mentalità e smettere di pensare che i giovani sono sempre quelli che non vogliono fare. Siamo, lo dicono anche i dati, una generazione molto istruita, colta e capace di adattarsi. Ciò che penso sempre è che non bisogna far scappare i giovani, neanche dai processi decisionali e, coloro che ci sono devono essere il presente perché, ogni volta, si perde la possibilità di dialogare con loro. Per coinvolgerli si deve partire dalle realtà locali e dalle scuole con l’obiettivo di cambiare il sistema scolastico e favorire la transizione scuola/lavoro, provando a coinvolgere i giovani nella creazione delle politiche che riguardano il loro futuro perché, tutto il debito che si va a fare lo pagheremo noi. Quindi, almeno sulle politiche più importanti, è essenziale avere l’opinione dei giovani”.
In Italia, secondo i dati in merito, ci sono una elevata disoccupazione giovanile e un alto numero di Neet. Cosa bisognerebbe fare, secondo Lei, per incentivare l’inclusione dei giovani nel mondo del lavoro?
“Credo che, oltre al dato disarmante della disoccupazione giovanile che si attesta attorno al 16,9%, abbiamo anche il dato riguardante i Neet che superano il 23% e, in riguardo a questo, siamo di dieci punti percentuali sopra la media europea e abbiamo uno skills mismatch che, quest’anno, ha superato il 40%. Ciò sicuramente non aiuterà il nostro paese e ci fa riflettere sull’importanza della transizione scuola – lavoro. Quest’ultima vede la grande problematica dei Neet e delle aziende che, in Italia, non trovano persone formate per determinate tipologie di lavoro. Bisogna mettere in contatto le aziende con le scuole, soprattutto per quanto riguarda quelle professionali e tutti gli enti a contatto con i giovani. Dal punto di vista culturale, il nostro paese vede diversi tipi di giovani, di serie A, di serie B e di serie C per quanto riguarda, ad esempio, coloro che frequentano le scuole professionali. Ciò è sbagliato, i giovani sono giovani, senza distinzione, esistono solo scelte differenti e ognuna di queste, allo stesso modo, è degna di essere portata avanti, senza discriminazione da parte delle persone adulte. A tal proposito, penso che, il primo modo per infrangere questa campana di vetro attorno ai Neet, sia quello di dialogare con loro partendo dalle comunità locali perché, in una piccola città, è più facile intercettare i giovani che non studiano e non lavorano e costruire, insieme alle comunità locali, degli specifici percorsi per loro. Il tema dei Neet deve essere attenzionato sempre di più perché, in esso, c’è anche il sommerso. I neet non sono un problema ma una mancanza di capacità nell’utilizzo delle risorse che il nostro paese ha. I giovani sono una ricchezza ed è sciocco buttarla. L’Italia sta buttando via la propria ricchezza e sta facendo perdere i sogni ai più giovani. Un giovane che ha smesso di sognare è una sconfitta, non solo per la classe politica, ma per il paese intero”.
Quali sono gli auspici dei Giovani delle Acli in riguardo al futuro dei giovani in Italia?
“Spero che ci sia, da parte di tutte le associazioni giovanili, la capacità sempre più profonda di mettersi in rete e provare a costruire politiche insieme. È arrivato il momento in cui, i giovani, si devono accorgere che non si può cambiare da soli. Le grandi sfide globali, la complessità della politica e del momento storico che stiamo vivendo ce lo chiedono. L’auspicio più grande a cui penso è la costruzione di una rete che possa coinvolgere tutti, non solo le grandi associazioni nazionali, ma anche le realtà locali, ripartendo dai territori perché, da essi, si possono risolvere i grandi problemi. I grandi cambiamenti arriveranno tutti dal basso e politica, associazioni e territori devono saperli costruire insieme, sognando e pensando al futuro dei giovani”.