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Ritiro sociale: origini e cause del fenomeno

Un fenomeno in crescita nel mondo, accentuato dalla pandemia. Una prigionia dalla quale è difficile scappare

Il “ritiro sociale” (in inglese “social withdrawal”), fenomeno in crescita nel momento e nel mondo attuale, consiste nel deliberato isolamento, nella sottrazione da ogni gruppo e comunità, per rinchiudersi, soli, nella propria stanza. Ne sono affetti soprattutto gli adolescenti, nella loro età critica di costruzione della personalità. La problematica colpisce maggiormente i giovani, maschi, figli unici, di età fra i 14 e i 30 anni, di ceto sociale medio/alto.

La pandemia ha accelerato tale patologia e ha indotto anche a forme estreme. In precedenza, infatti, si verificava il caso del ragazzo al “chiuso” ma attivo nei social e in rete. Alcuni bloccano, ora, qualsiasi forma di contatto, anche nel web, chiudendosi nelle loro fragilità e debolezze.

La prigionia che si infligge il giovane è davvero tale: uscite rarissime, ritmi circadiani sfalsati, in casa spesso al buio, finestre chiuse e, nei casi più gravi, anche il rifiuto di rapportarsi con i familiari. La parola d’ordine diviene l’evitamento di tutto e di tutti. Le quattro mura divengono una sicura protezione, dal mondo, dall’altro, dal prossimo, nella solitudine più assoluta ma perseguita con forza.

Il ritiro sociale, equivalente italiano del noto “hikikomori” (che riguarda tanti ragazzi giapponesi), conduce all’isolamento del giovane, convinto della sua inadeguatezza dinanzi alla società e ai coetanei, prigioniero di un corpo da non mostrare. Le conseguenze sono disastrose e interessano sia l’aspetto psicofisico sia quello pratico: assenza a scuola, al lavoro, fine dei rapporti sociali e affettivi.

www.hikikomoriitalia.it/ è il sito italiano che affronta l’argomento attraverso un percorso di informazione e di supporto. Uno degli ultimi argomenti riguarda l’homeschooling o “educazione parentale” (la scuola a casa, attraverso il genitore o gli insegnanti privati). Tale (presunta) soluzione, tuttavia, potrebbe concorrere ad alimentare il disagio provocato dal ritiro sociale. Si legge La pandemia e la questione vaccini hanno solo accelerato un trend che era già in crescita da tempo, e non solo in Italia. Negli Stati Uniti, in particolare, l’homeschooling è una pratica molto diffusa che coinvolgerebbe addirittura quasi il 20% di tutti gli studenti (prima della pandemia la percentuale era comunque elevata, pari al 3,3%). Nel nostro Paese la percentuale sembra essere nettamente più bassa, ma i numeri sono comunque rilevanti e con la pandemia sono più che raddoppiati, passando da circa 5 mila a oltre 15 mila nell’arco di tre anni, dal 2019 al 2021”. Al link https://www.hikikomoriitalia.it/p/the-yomiuri-shimbun.html, lo stesso sito riporta “Marco Crepaldi, fondatore di ‘Hikikomori Italia’ (associazione che nasce proprio per aiutare i soggetti con problemi di isolamento sociale) basandosi sulle stime fatte dagli psicologi, afferma che in Italia ci siano circa 100 mila hikikomori. Eppure, il fenomeno non è molto conosciuto e le organizzazioni che se ne occupano sono poche. Molti genitori soffrono in solitudine […] ha fondato anche l’Associazioneha aperto una chat dedicata a ragazzi isolati con oltre 300 iscritti e ha progettato uno spazio di confronto per i genitori di ragazzi hikikomori, con più di 400 utenti registrati”.

L’origine del fenomeno è giapponese e mostra gli “effetti collaterali” di quella società, molto competitiva, concorrenziale, dove l’ansia da prestazione regna in ogni ambito e lascia sul campo i più deboli o coloro che si ritengono tali, con conseguente rifugio nel ritiro sociale. L’Italia non è ancora ai livelli del Giappone ma l’arrivismo e il correlato egoismo sono, comunque, in crescita. Il problema è poco conosciuto nel Belpaese e sta venendo fuori ora.

Il lockdown è stato una sorta di palestra, di prova del nove, in cui la “sperimentazione” della chiusura ha offerto ai soggetti la possibilità concreta di estraniarsi dalla società.

La reclusione volontaria comporta una disaffezione dal mondo, conduce alla depressione, all’ansia e, lentamente, a un abbandono di se stessi, ormai non posti più a confronto, dialettico e fisico, con il prossimo. In tali circostanze, è facile scadere in situazioni di scarsa cura a livello di pulizia della stanza e dell’igiene personale.

Il bullismo contribuisce a spaventare i ragazzi e a farli chiudere nelle loro paure e nelle esasperazioni di mancata accettazione del proprio corpo, in una grave disistima e calo di personalità.

Il prossimo 22 febbraio uscirà il volume dal titolo “Gli adolescenti e il Covid-19” (sottotitolo “L’impatto della pandemia sul benessere mentale dei ragazzi”), edito da LSWR, scritto da Stefano Vicari (Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile) e Maria Pontillo (Dirigente psicologo).

Il testo ripercorre, dalle voci degli adolescenti, lo scontro con la pandemia che ha amplificato le situazioni di disagio e di stress che i giovani già vivevano; questi hanno risentito, meno delle altre fasce di età, le conseguenze fisiche, tuttavia, hanno subito, maggiormente, i contraccolpi a livello mentale e sociale.

L’agenzia di stampa cattolica Agensir, al link https://www.agensir.it/italia/2022/01/14/covid-19-e-bambini-pontillo-bambino-gesu-la-pandemia-ha-abbassato-leta-di-manifestazione-delle-difficolta-psicologiche/, riporta dei dati interessanti forniti dalla coautrice del volume. La dottoressa Pontillo afferma “Stiamo iniziando a registrare gli effetti a lungo termine del periodo di isolamento e di chiusura delle scuole. Continuiamo ad avere dei trend importanti per quanto riguarda la richiesta di visita neuropsichiatrica urgente e il tipo di disturbi manifestati. […] Il Covid è stato un agente detonatore di ciò che era sommerso. A volte in maniera drammatica, come dimostra l’aumento del 30 per cento dei casi che il Bambino Gesù ha registrato di autolesionismo, suicidio e tentativi di suicidio. È aumentato anche il ‘ritiro sociale’, cioè i ragazzi che avevano già una difficoltà nella relazione con l’altro hanno preferito rimanere a casa anche quando c’è stata una progressiva riapertura. Il trend del ritiro sociale nella fase pre-pandemia, nel 2019, era del 18% mentre nel 2021 è stato del 27%. Il trend di aumento dei disagi non si è attenuato con le riaperture delle scuole perché il continuo senso di incertezza nega ai ragazzi la progettualità e la pianificazione. […] Prima della pandemia vedevamo casi di ansia e adolescenza fra i 12 e i 18 anni. Ora la pandemia ha abbassato l’età in cui si manifestano le difficoltà psicologiche. Vediamo atti di autolesionismo anche in ragazzini di 10 e 11 anni”.

Alcuni genitori, fiaccati anch’essi dalla pandemia, faticano nel mantenere un rapporto con i figli e rimangono estranei ai loro ritmi di vita e alle loro angosce. I ragazzi, dal canto loro, trasformano la giusta richiesta di autonomia in un’anarchia totale di tempi, ruoli e doveri che li penalizza, nell’illusione di liberarli e che tarpa l’intervento dei genitori.

Il ragazzo che si chiude in casa rifiuta la società e, amplificando quelle mancanze e storture in cui non si identifica, cerca la “comfort zone” nella cellula più ristretta che gli possa garantire protezione. Non combatte quegli antivalori che nota ma evita di viverli. Il suo è un messaggio d’aiuto, seppure espresso in forma disagiata e non facilmente percepibile all’esterno. Egli non si chiude per capriccio, per evitare di studiare o di lavorare. Una società inclusiva dovrebbe saper ascoltare e comprendere la sua richiesta di aiuto, velata o palese, per evitare di perderlo.

È necessario intervenire ai primi sintomi, senza sottovalutare, rivolgendosi a un esperto per una diagnosi e una cura specifica. È possibile, con un trattamento effettuato in tempi molto brevi, risolvere l’insorgente malessere ed evitare che possa avere deflagrazioni successive molto importanti.

Il ritiro rappresenta la fuga verso il silenzio, diretto al pulsante magico che prevede l’alienazione dal mondo, da quella comunità che non sa ascoltare le voci dei suoi figli più deboli, con poca autostima, preda di vessazioni; vittime e ultimi, sono spesso dimenticati dal mondo circostante che li considera, erroneamente (e colpevolmente), irrecuperabili.

Il silenzio e la resa sono parenti lontani di quel vociare e testimoniare la propria presenza, con rivendicazioni plateali, di piazza, di partecipazione ribelle (seppure con motivazioni non sempre condivisibili e con degenerazioni violente non ammissibili) degli anni ‘70, delle contestazioni giovanili, delle rivoluzioni del ‘68 e del ‘77.

L’assenza ha sostituito la presenza: una delle cause è la frattura nei gruppi giovanili stessi, dove si nota minor condivisione di ideali comuni e meno senso di fratellanza; ora prevalgono divisione e competizione fra gli stessi ragazzi, sino a un’eliminazione fondata sul bullismo, che premia forza e violenza penalizzando gli animi più deboli.

L’ascolto è la prima medicina, la più efficace; si tratta dell’unica garanzia che possa salvare gli adulti dei prossimi anni e mantenere, ancora in piedi, quel filo sottile, limato e scheggiato dal lockdown, da un benessere economico schizofrenico e perverso, da una società competitiva e cinica che non raccoglie più i prigionieri e i feriti che lascia durante il cammino. Non si lasci credere ai giovani che nessuno sia in grado di ascoltarli. Avere fede non significa non avere momenti difficili ma avere la forza di affrontarli sapendo che non siamo soli” è l’esortazione di Papa Francesco. La sordità sociale è contagiosa ma si può guarire e l’unico vaccino è il dialogo.

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