E’ una celebrazione diversa dalle altre quella odierna per San Giuseppe. Rispetto agli altri anni, la festività liturgica del patrono della Chiesa universale coincide con due eventi epocali. Il primo è il lockdown che blocca molte attività produttive e condiziona anche la quotidiana condivisione di tempi e spazi. Il secondo è la storica decisione di Papa Francesco di consacrare un anno speciale alla figura dello sposo di Maria. San Giuseppe era un artigiano, nella sua bottega Gesù impara a conoscere il mondo e l’umanità.
Mai come oggi la consapevolezza che la crisi può essere superata solo unendo le nostre forze, deve orientare laicamente prima che religiosamente la collettività a pensarsi come un “noi”. E qui entra la testimonianza imperitura della costanza e della coerenza di San Giuseppe. Attualissimo è il suo ispirarsi alla volontà Divina invece di attenersi opportunisticamente alle convenzioni. Accoglie Maria invece di ripudiarla dopo la gravidanza, trova rifugio in Egitto per mettere al sicuro la sua famiglia, ascolta il cuore invece di calcolare i vantaggi personali. Insomma è il ritratto di come l’uomo di ogni tempo dovrebbe rapportarsi alle difficoltà ordinarie e straordinarie che l’esistenza gli pone davanti.
Il Pontefice ha messo la sua missione sotto la protezione della Sacra Famiglia. Alla Beata Vergine deve la vocazione materna che gli ha fatto più volte dire che la Chiesa è donna. Da San Giuseppe ha tratto l’operosità che ad un’età non più giovane lo spinge a non risparmiarsi mai nella nuova evangelizzazione che anima il suo apostolato della misericordia. San Giuseppe ci dice con il suo esempio che la paternità è molto più di un dato biologico e che accudire la prole richiede una credibilità e una dolcezza che trasformano l’autorità paterna in autorevolezza. Al tempo stesso il percorso terreno di questo uomo pio e perseverante ci insegna a non fermarci mai alle apparenze e a interpretare nelle circostanze il disegno di Dio. Lui non rispetta soltanto la legge di Dio ma la interiorizza al punto da diventare ponte tra cielo e terra. Una delle effigi più venerate da molti credenti raffigura Giuseppe dormiente, perché è in sogno che riceve l’orientamento interiore per le sue azioni. Non è il sonno della ragione, bensì l’apertura allo Spirito che faceva dire ai mistici medievali: “Lasciate le ultime pagine dei libri in bianco. La mano divina le completerà”.
Per questo siamo interpellati tutti dalla testimonianza di questo anno speciale proclamato da Papa Francesco. La necessità di ritrovarci padri, il bisogno profondo di riscoprirci parte della famiglia umana sono all’origine delle migliaia di iniziative che in tutto il mondo stanno fiorendo in risposta alla lettera papale “Patris Corde”. La più recente, tanto per citarne una, è quella in Perù dei pastori che rincuorano il gregge duramente provato dalla pandemia con una esortazione rivolta alla comunità e agli individui: “O ne usciamo tutti insieme o non ne usciamo affatto”. Dovremo ricordarcene quando ignoriamo come nel tempo buio della pandemia è la famiglia a sostenere la società e a illuminare la via di uscita dal tunnel.
Concludo con tre auspici che affido alla buona volontà degli uomini e delle donne. Chi ci governa a tutti i livelli istituzionali e in ogni ambito, si senta padre e non solo amministratore. I genitori avvertano il privilegio di potersi occupare personalmente dei loro figli. Accolgano il dono della paternità, spirituale e sociale, tutti coloro che oggi ne avvertono l’urgenza, testimoniando la missione indispensabile ad educare e instradare i piccoli che a loro sono affidati. Dire dei no è impopolare, ma una costante ricerca di approvazione spoglia di ogni riconoscibilità il ruolo di guida che entrambi i genitori sono chiamati ad assolvere. Non ha futuro una civiltà senza padri e madri.