La Pasqua è il culmine dell’Anno liturgico e della vita di ogni cristiano. “La Risurrezione di Cristo non è una festa con tanti fiori, è il mistero della pietra scartata che finisce per essere il fondamento della nostra esistenza”, insegna Francesco. Con una “Lettera nella tempesta“, una parte significativa del mondo cattolico ha fatto proprio e ha rilanciato l’appello papale ad un cambiamento profondo nel modo di amministrare le risorse planetarie. Respiratori al posto delle armi, quindi. Un documento che nasce dall’omelia del Pontefice durante lo straordinario momento di preghiera con la benedizione Urbi et Orbi in una piazza San Pietro deserta e una riflessione che intende coinvolgere quanti vedono nella prova di questa grave epidemia un kairos (cioè un momento propizio) per un cambiamento. Il cambiamento e il miglioramento possibile includono, secondo Francesco, un cambio negli investimenti per tutelare il bene comune e la salute di tutti: più investimenti per la sanità pubblica che per le guerre.
Il pastore con l’odore delle pecore
La pastorale non è un’applicazione d’una “dottrina” gestita per i dottori della legge, che hanno le mani pure perché non toccano mai la gente, ma agiscono soltanto con le idee chiare e distinte di Cartesio, mentre i pastori se le sporcano. Francesco, soprattutto nella tragedia individuale e collettiva della pandemia, mostra come i vescovi devono essere esperti in umanità, cioè in conoscenza delle concrete situazioni esistenziali nelle quali vive oggi la gente. Qualcuno cerca di riproporre vecchie categorie per definire i pastori: “conservatori” e “progressisti”. Ma è “una distinzione inutile“, chiarisce il direttore della Civiltà Cattolica padre Antonio Spadaro, quanto lo è la distinzione tra “seguaci” della dottrina e “adattatori” della dottrina. L’incarnazione ci dice che la dottrina astratta, intesa come corpus di nozioni, non salva se non è rivolta a un popolo, a persone. La vera distinzione è tra “ideologi” e “pastori”. Essere pastore significa non solamente confermare nella dottrina, ma anche accompagnare le persone nel loro cammino, anche in cammini bui. “Consiste nel decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme”, puntualizza padre Spadaro. Il pastore deve stare, dunque, vicino alle pecore, avere l’odore delle pecore, come disse Francesco in uno dei
suoi primi interventi. Aprendo i lavori della 68° assemblea generale della Cei Francesco ha chiesto ai presuli di essere non “piloti”, ma veri “pastori”.
Vescovi, non prìncipi
Più volte il Pontefice ha fatto appello ad essere “vescovi pastori, non prìncipi”, usando immagini che erano già sue fin da quando reggeva la sua precedente diocesi, quella di Buenos Aires. Il volume scritto dal gesuita Diego Fares, Il profumo del pastore, che il Papa ha donato a tutti padri sinodali, intende entrare nel cuore dell’azione episcopale di Francesco e nella “mens” profonda del suo magistero sulla figura del vescovo. Padre Fares non è solo uno studioso, ma è persona che frequenta Jorge Mario Bergoglio da quarant’anni. Si è assunto il compito di spiegare al lettore chi sia il vescovo nella visione di Francesco. Ed è lui che, sul tema dei vescovi pastori ha ricordato un episodio illuminante. Jorge Mario Bergoglio, da rettore dello scolasticato dei gesuiti in formazione, stava aiutando una pecora a partorire. La pecora aveva rifiutato un agnellino dei tre che aveva partorito. Bergoglio chiese a uno studente di prendere l’agnello in camera sua per allattarlo e custodirlo. Questo giovane gesuita puzzava di odore di pecora e l’agnello lo seguiva per tutta la casa, fino in chiesa e nelle aule. “Se tu la custodisci, la pecora ti segue“, commentò padre Bergoglio.
Lettera nella tempesta
“Solo poco più di un anno fa Papa Francesco ha firmato un documento con il Grande Imam di Al-Azhar sulla fraternità universale che presuppone la fede in un unico Dio Padre e Creatore di tutti, e l’interconnessione degli esseri umani, che compongono un’unica famiglia, con la casa comune del creato. A partire da questo presupposto, il documento invita alla connessione solidale con tutti, soprattutto con i poveri, gli emarginati e i deboli”, afferma padre Pino Di Luccio, docente di Sacra Scrittura e decano della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, promotore lo scorso anno a Napoli della prima partecipazione di un Pontefice ad un convegno in una facoltà teologica. Così racconta l’origine della Lettera nella Tempesta: “Alcuni docenti di questa Facoltà sono stati promotori di una riflessione. La crisi in atto può diventare l’occasione straordinaria per una conversione e per maturare una coscienza sofferta della insostenibilità di un sistema economico che è causa di disuguaglianze profonde, sia a livello planetario che a livello locale, e che semina morte. Ci auguriamo che questa conversione riguardi anche i politici e gli uomini e le donne che governano gli Stati“.
Chiesa in prima linea contro il Covid-19
Tra i firmatari della lettera ci sono vescovi, religiosi e scienziati. “La Chiesa sta svolgendo un ruolo molto positivo in questa emergenza planetaria- evidenzia il gesuita-. Nel documento si propone di rendere disponibili altre risorse preziose dalle Chiese, che beneficiano annualmente dell’8×1000: esse potrebbero rinunciare alla parte del contributo di cui i cittadini italiani non hanno esplicitamente dichiarato la destinazione, e che attualmente viene invece ripartita in base alle indicazioni apertamente espresse in sede di dichiarazione dei redditi”. La Chiesa Cattolica sta già destinando molte risorse economiche dell’8×1000 all’emergenza del coronavirus. Un altro segno importante, secondo padre Di Luccio, potrebbe essere quello di mettere a disposizione come già sta avvenendo e in misura ancora maggiore immobili (o parti di immobili) che le diocesi, le parrocchie, le congregazioni religiose non utilizzano, per l’accoglienza di persone e famiglie, italiane e straniere, che sono sulla strada o che vivono un grande disagio abitativo.
Per uno stile di vita più solidale
“Medici, infermieri e volontari stanno dando a tutti un grande esempio di generosità e di alto senso di responsabilità in questa emergenza– sotolinea il decano della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale-.Da parte loro organizzazioni non governative, associazioni laicali e semplici cittadini sono impegnati in una vera e propria gara di solidarietà. Uno stile di vita più solidale è già in atto durante questa emergenza. La ripresa post-pandemia è già lanciata dalla generosità e dalla solidarietà di tanti”. Inoltre, “l’emergenza interroga la fede e la rende più personale: in questi giorni abbiamo tanto tempo per riflettere e per meditare, per pregare, per ascoltare meditazioni e suggerimenti spirituali che ci aiutano ad approfondire il nostro rapporto con Dio Padre”. Ma l’emergenza del coronavirus sta mettendo in evidenza come tutto sia connesso e sta rafforzando i legami comunitari, nazionali e internazionali e anche quelli ecclesiali. In questa emergenza potrebbe nascere una nuova fraternità universale sulla quale Papa Francesco insiste molto.