Dalle periferie più estreme a quelle più prossime. Perché, qualora non fossero le coordinate geografiche a definire la lontananza, sarebbero quelle del cuore. E, in fondo, è in un cuore che ha viaggiato Papa Francesco. Quello della vecchia Europa, dove le radici sono più antiche e profonde ma anche meno nutrite. Non è stata una catechesi, né un sermone. Il Santo Padre, attraversando Lussemburgo e Belgio, ha parlato a cuore aperto a quell’Europa che lui, da sudamericano, ha conosciuto condividendone i valori cristiani. Gli stessi che l’avvicendarsi dei decenni ha finito per distaccare dalle sfide quotidiane che il Vecchio continente si è ritrovato ad affrontare con sempre maggiore frequenza. Dal nucleo centrale dell’Europa, il Papa richiama all’attenzione sul mercato delle armi, alle responsabilità nell’edificazione della pace e nella messa in atto dell’accoglienza. Ma, soprattutto, chiede un ritorno ai valori fondanti dell’Unione, quelli cristiani.
Interris.it ne ha parlato con Andrea Gagliarducci, giornalista vaticanista e corrispondente per EWTN e Aci dal viaggio papale.
Il viaggio del Papa nei luoghi cardine dell’Europa si svolge subito dopo il pellegrinaggio in alcuni fra i più lontani a ospitare comunità cattoliche. Può essere considerata una volontà di richiamare l’Europa a quei valori cristiani che, se in Paesi lontani appaiono vivi e operanti, nel Vecchio Continente sembrano essere in qualche modo dimenticati nonostante le proprie radici cristiane?
“Il viaggio di Papa Francesco nasce prima di tutto dalla volontà di celebrare i 600 anni dell’Università di Lovanio, che fu stabilita da Martino V come Studio nel 1425. Il Papa ha poi utilizzato finora il viaggio anche per un monito all’Europa a tornare ai suoi valori fondativi, in particolare al valore della pace. Questo non significa che ci fosse una sorta di correlazione o pianificazione tra i due viaggi. In fondo, il Papa sta comunque andando in una periferia andando al centro dell’Europa. Perché in Lussemburgo e in Belgio la società è secolarizzata, la religione è messa ai margini, e c’è necessità di richiamare ai valori cristiani”.
L’Europa è impegnata su fronti che richiamano fortemente i valori cristiani, come l’accoglienza e la gestione di emergenze umanitarie nei luoghi di conflitto: la presenza “fisica” del Papa a Bruxelles può avere un peso specifico rispetto a discorsi e appelli, oppure occorrono ulteriori passi da parte del Vaticano per la risoluzione (o quantomeno la gestione su una base cooperativa) di tali urgenze?
“La Santa Sede non è chiamata a gestire tali urgenze, perché non è un attore politico. La Santa Sede è – come ha detto il Papa sia alle autorità di Lussemburgo che a quelle del Belgio – esperta in umanità, e come tale può ispirare i politici, può indicare strade, può aiutare a trovare strade nuove, sempre mantenendo fermo l’obiettivo della Dottrina Sociale della Chiesa, che è il bene comune fondato sull’inerente dignità dell’essere umano. Si può dire, in fondo, che l’agenda internazionale della Santa Sede sia il bene comune. Non possiamo però aspettarci che la Santa Sede si sostituisca o affianchi agli Stati nel gestire le urgenze. È guardare la Santa Sede come un attore politico, cosa che non è. È pre-politico, teologico, è sociale, ma sicuramente non politico nel senso che noi diamo spesso a questo termine”.
C’è il rischio che i richiami a investire nella pace, piuttosto che in mercati paralleli alle tensioni geopolitiche, riduca definitivamente gli insegnamenti del Vangelo a guida teorica piuttosto che pratica?
“Il rischio che gli insegnamenti del Vangelo siano una guida retorica piuttosto che pratica c’è sempre, e non a causa delle dichiarazioni del Papa, ma piuttosto a causa del fatto che sempre meno, lo dicono le statistiche, si vive quello che si crede. La fede è diventata desacralizzata, si è perso anche il senso stesso dei sacramenti, persino il sacerdozio viene descritto come se fosse una semplice funzione”.
A questo proposito, Francesco ha nuovamente posto un monito sul business delle armi, che è in completa antitesi rispetto alla dottrina cristiana…
“Per quanto riguarda il business delle armi, io trovo la preoccupazione del Papa legittima, perché un business simile esiste ma si nutre anche di paura, di timore per il proprio popolo. È un business non solo nutrito dalla malafede, ma anche dalla buonafede di alcuni attori coinvolti. È ovvio che non si può pretendere che gli Stati rinuncino agli armamenti quando altri non lo fanno. Sarebbe come gettare questi Stati in pasto a possibili aggressioni. Ma se l’appello del Papa non viene considerato in un più ampio contesto di sensibilizzazione verso la pace, di costruzione verso la pace, di riconciliazione, allora anche questo appello diventa sterile. Tutti possono chiedere di ridurre gli armamenti e non dare così forza all’industria delle armi. Le conseguenze, però, sarebbero tutte da definire”.