Il ponte su cui far viaggiare le relazioni tra l’Italia e l’Africa, da rilanciare, rinnovare e rinsaldare con un approccio che il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha definito come “cooperazione da pari a pari”, “lontana da qualsiasi tentazione predatoria” e da un'”impostazione caritatevole”, per essere solido e stabile meglio se viene realizzato nel “cantiere” europeo. Data l’entità delle necessità del continente africano e dell’elevato peso economico che la Cina ha acquisito lì (è il secondo partner dell’Africa dopo l’Unione europea, il primo se inteso come singolo Paese), per la credibilità e la possibilità della proposta italiana è importante muoversi in “sinergia con le altre iniziative europee all’interno di una cornice più ampia”, spiega a Interris.it Lucia Ragazzi, ricercatrice del Programma Africa presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi).
I “pilastri” del Piano
Il nuovo piano strategico per riscrivere la cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo redatto dal governo italiano è sostenuto da una dote di 5,5 miliardi di euro e ha una durata quadriennale. Il 10 gennaio la Camera dei deputati ha approvato, dopo il Senato, il decreto legge “Disposizioni urgenti per il «Piano Mattei» per lo sviluppo in Stati del Continente africano”, che istituisce la cabina di regia, presieduta dal Presidente del Consiglio, i cui compiti sono il coordinamento delle attività di collaborazione tra Italia e Stati africani, la promozione degli incontri tra rappresentanti della società civile, imprese e associazioni italiane e africane, il monitoraggio sull’attuazione del Piano e l’approvazione della relazione annuale che va presentata al Parlamento entro il 30 giugno di ciascun anno. I cinque “pilastri” del Piano Mattei, le linee prioritarie d’intervento, sono istruzione e formazione, che prevede tra l’altro l’avvio di corsi professionali e di formazione che rispondano ai fabbisogni del mercato del lavoro e la collaborazione con le imprese, seguendo il modello delle pmi italiane, agricoltura, per contrastare la malnutrizione e favorire lo sviluppo delle filiere agroalimentari e dei bio-carburanti non fossili, sostenendo l’agricoltura familiare e la salvaguardia del patrimonio forestale, salute, migliorando l’accesso ai servizi sanitari e la loro qualità, energia, con produzione di elettricità da fonti rinnovabili in un Paese dove quasi la metà della popolazione è in condizioni di povertà energetica nonostante l’abbondanza di risorse, e acqua, con la realizzazione di pozzi, investimenti sulle reti di distribuzione e sensibilizzazione sull’uso dell’acqua pulita e potabile. Attualmente ci sono nove Paesi africani coinvolti in progetti pilota: Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Repubblica del Congo e Mozambico.
L’intervista
Quale nuovo paradigma di relazioni si propone col Piano Mattei?
“L’impostazione è di rilanciare le relazioni in un’ottica di concretezza per creare nuove iniziative da mettere in campo. A lungo ci si è chiesti se il Piano Mattei volesse muoversi come una singola iniziativa italiana o all’interno di una cornice più ampia. La presenza al summit dei vertici Ue dà maggiore solidità a questo progetto che, oltre a mettere in campo risorse, può inserirsi nel flusso delle iniziative europee, come il pacchetto di investimenti strategici Global Gateway, e acquistare forza da questa sinergia. Questo può essere il punto di forza per realizzare rapporti tra Italia e Africa più saldi”.
Quali sono prospettive e i vantaggi per l’Italia?
“L’iniziativa, sia nell’ambito del summit Italia-Africa che in generale, è stata presentata in un’ottica win-win. Cioè portare avanti uno sforzo che vada incontro alle necessità di entrambe e che tutti e due possano trarne utilità. L’Italia è presente in Africa, gli scambi esistono ma ci sono spazi di miglioramento soprattutto con i Paesi subsahariani, dato che oggi il commercio italiano coinvolge di più il Nord Africa che la fascia sottostante. Oltre agli scambi economici, importanti per le imprese, l’Italia si vuole inoltre posizionare come ponte tra nord e sud del Mediterraneo e come hub energetico per sé e per l’Europa. In senso indiretto poi lo sviluppo e la stabilità possono portare, sul lungo periodo, anche a risposte sul fronte dei flussi migratori”.
Con quali Stati africani l’Italia ha già rapporti e relazioni?
“Sono stati presentati a Roma progetti-pilota in Tunisia, Mozambico, che è il primo a ricevere gli aiuti allo sviluppo italiani nell’area subsahariana, Repubblica del Congo, Etiopia, Costa d’Avorio, Egitto, Algeria Marocco e Kenya. Con alcuni di questi paesi Roma ha dei rapporti abbastanza consolidati, e in alcuni il Presidente del Consiglio ha fatto visite ufficiali. A Roma poi Meloni ha spiegato che idealmente, questo modello potrebbe aprirsi ad altri Paesi interessati. In generale, l’Italia guarda al cosiddetto ‘Mediterraneo allargato’, dal Nordafrica e dall’Africa occidentale fino al Corno d’Africa a est. Si tratta di moltissimi Paesi con contesti molto diversi, e non sempre la stabilità delle relazioni è scontata, anzi, l’area del Sahel ha conosciuto stravolgimenti politici importanti di recente”.
E’ nota da tempo la presenza in Africa di altre potenze, Cina e Stati Uniti su tutte, ma non solo visto il crescente interesse dei Paesi del Golfo a investirci. Come l’Italia può competere con questa concorrenza?
“Le relazioni internazionali, economiche e politiche, dell’Africa sono sempre più affollate. Prima i partner privilegiati erano gli occidentali, poi è arrivata la Cina – oggi secondo compartecipante commerciale dell’Africa dopo l’Unione europea. Ci sono anche i Paesi del Golfo, l’India, la Turchia, la Russia, che ha un minore peso economico ma una forte risonanza politica. Non si possono paragonare le capacità di un singolo Paese Ue di mettere in campo risorse rispetto alla Cina, per cui è importante proporsi come un partner che si muove in sinergia con gli altri Stati europei e può offrire proposte che possano andare incontro alle necessità africane”.
Di cosa ha bisogno l’Africa?
“Il continente africano necessita sicuramente di risorse economiche: occorrono maggiori investimenti per andare incontro ai bisogni di sviluppo. La grande sfida di questa iniziativa è, come hanno detto i leader africani, far seguire alle dichiarazioni i fatti concreti. Così come vogliono che la loro voce sia ascoltata a livello mondiale. Da tempo infatti i capi di Stato e di governo dei Paesi del continente africano chiedono di riformare le istituzioni internazionali per venire incontro alle loro istanze, per esempio sul tema del debito. Ancora, la stabilità. I conflitti aumentano e ci sono crisi umanitarie anche di lungo corso, ma non ci può essere sviluppo duraturo in un contesto incerto”.
L’Africa è un continente ricco di risorse e insieme molto povero. Come evitare un “colonialismo 2.0”?
“Il continente africano è al centro di un paradosso, ha circa un quinto dei metalli pesanti utili per la transizione ecologica e il 60% delle aree idonee per gli impianti fotovoltaici, ma con circa metà della popolazione senza accesso all’energia. L’Africa cui ha bisogno di uno sviluppo che vada a favore dei suoi abitanti, è quindi essenziale che chi propone un piano per estrarre queste risorse e usarle per la crescita agisca con responsabilità”.