La bellezza. Un concetto astratto, ma che in molti cercano e considerano la meta della loro vita. Ma dove possiamo cercare la bellezza? Negli stereotipi che ci impone la società? In un corpo scolpito alla perfezione? Per molti la bellezza è rispecchiarsi e uniformarsi a dei canoni, rischiando di perdere l’originalità che ci contraddistingue.
Quanta bellezza
Forse è proprio questa la domanda che molto spesso ci poniamo: cos’è davvero la bellezza? Lo spiega a In Terris Luca Russo, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII e papà di una casa famiglia, scelta di vita che condivide con la moglie Laura ad Assisi, terra di San Francesco. Luca e Laura, oltre ad avere due figlie naturali, sono genitori di altre nove persone, alcune di loro affette da disabilità gravi. Inoltre, nella loro casa, vivono anche gli anziani genitori di Luca.
“In una realtà come la nostra, una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, quando si accoglie qualcuno – in particolare un minore o chiunque venga a bussare alla nostra porta – porta con sé una domanda“.
“A volte si tratta di una domanda di morte, il desiderio cioè di voler mettere fine alle sofferenze, alle fatiche, alla disperazione e ai fallimenti vissuti fino a quel momento. Chi accoglie ha dunque due possibilità – sottolinea Luca .- La prima è quella di essere il ‘passacarte dell’umanità’ cioè: prendo ‘questa pratica’, registro questo grido di disperazione e accompagno alla morte questa persona, così me ne lavo le mani e posso in un certo modo dire di aver assolto al mio impegno”.
Poi c’è la seconda possibilità: il grido delle persone che bussano alla porta delle case famiglia, infatti, è un grido manipolato dal dolore che stanno vivendo. “Quel grido chiede, pretende e spera un’appartenenza che a quella persona è stata negata. Chiede di far parte di un contesto, di una famiglia, chiede di stare dentro l’abbraccio di un papà e di una mamma. In realtà, quella domanda di morte è una copertura per nascondere il vero bisogno della persona. E quando ho scoperto che mettendo a letto i nostri figli li vedo rasserenarsi nella loro vita, nonostante la loro storia tragica o il loro corpo deforme, penso: ‘Quanta bellezza‘!”.
Un libro che elogia i corpi fragili
Luca, oltre ad essere un papà è anche uno scrittore. Il suo ultimo libro si intitola “Quanta bellezza. Elogio dei corpi fragili e cultura della cura” (Sempre Editore, 2021) e spiega come spesso rischiamo di non vedere la bellezza che passa tra le nostre braccia e davanti ai nostri occhi. “La fragilità e la cultura della cura, sempre promossa da tutta la Chiesa ma in particolar modo da Papa Francesco, quando si incrociano non possono portare ad altro se non a questa espressione: quanta bellezza!”.
Uno “scarto” da restituire alla società
Nella nostra società molto spesso le persone disabili e i malati vengono lasciati un po’ ai margini della vita. Luca spiega come spesso non sia facile agire sulle generazioni che hanno il compito di tramandare le buone prassi, quindi anche un pensiero e uno stile di vita sempre più inclusivo.
“Spesso ci propongono di accogliere coloro che vengono considerati come uno scarto della società. Con una relazione di un tribunale viene segnalata una situazione problematica – racconta Luca -. Il nostro compito è far sì che, una volta attraversata la soglia di casa, quella situazione problematica, quella relazione di un tribunale, si incarni e diventi un figlio a priori. Diventa una relazione autentica e significativa, perché al di là della sua storia, che nessuno potrà mai cancellare, quella persona arriva con il desiderio di sentirsi amata”.
“Il nostro compito è dunque quello accogliere la persona che all’inizio viene segnalata come una situazione problematica e di restituirla alla società come una risorsa“.
Un generatore di riflessioni
“Il libro – sottolinea – può essere un generatore di riflessioni. E’ questo il bello della lettura: può creare in chi lo legge pensieri personali diversi da quelli dell’autore. I libri non danno necessariamente delle risposte, ma sono dei buoni libri quando generano degli interrogativi”.
Lo scopo del libro
Luca, che ha deciso di devolvere tutti gli introiti derivati dalla vendita del libro a favore delle case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha spiegato che lo scopo del libro è quello di “fare cultura, ha la speranza di andare a contribuire, con la goccia che gli appartiene, a questo mare di riflessioni che si stanno sempre più diffondendo per generare una cultura inclusiva“.
Come creare una cultura davvero inclusiva?
Ma come creare una cultura davvero inclusiva? “Per fare questo bisogna sempre avere una relazione frontale con la persona – spiega il papà di casa famiglia -. E’ necessario passare dalla cultura dello scarto a quella della cura. Il passaggio avviene attraverso l’incontro con la persona. Questo permette di non fermarsi alla disabilità, o in altri casi all’errore commesso dalla persona. Andare a guardare il volto della persona, amare il suo cuore, è un passaggio fondamentale per essere inclusivi, altrimenti – conclude Luca Russo – mi fermerò sempre di fronte a chi è malato o ha un handicap”.