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Qual è lo “stato di salute” degli oceani, tra inquinamento ed effetti del cambiamento climatico

L’intervista di Interris.it a Vinko Bandelj, ricercatore dell’Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica sperimentale di Trieste

Se ci guardassimo intorno, o osservassimo meglio un mappamondo, ci accorgeremmo che quello che chiamiamo pianeta Terra dovremmo invece chiamarlo “pianeta mare”, “pianeta acqua” o “pianeta Oceano”. Oltre il settanta percento infatti del globo che abitiamo è infatti ricoperto dagli oceani, che sono anche indispensabili anche  per la vita sulla terraferma. Una risorsa tanto vasta e preziosa che però è minacciata dalle attività umane, dall’inquinamento e dagli effetti dei cambiamenti climatici, come l’aumento delle temperature e l’acidificazione dell’acqua. La Giornata mondiale degli oceani, che si celebra oggi, è nata nel 1992 per ricordarci l’importanza di questo ambiente di cui, oltretutto, conosciamo solo una piccola parte, e dell’urgenza di agire per proteggerlo e salvaguardarlo.

L’intervista

In occasione della Giornata mondiale degli oceani, Interris.it ha intervistato il ricercatore dell’Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica sperimentale di Trieste Vinko Badelj.

Perché si dice che gli oceani sono il “polmone blu” del nostro pianeta?

“Gli oceani ricoprono il 71% della superficie terrestre, tanto che forse il nostro pianeta dovremo chiamarlo ‘pianeta oceano’ o ‘pianeta acqua’, e sono responsabili della vita sulla pianeta. Negli oceani c’è una forte produzione primaria, anche se non ci sono le ‘piante’ come siamo abituato a pensarle sulla terraferma – tolte le seagrasses, le alghe costiere e le fanerogame marine. La produzione primaria è la conversione di energia solare, acqua e CO2 in composti organici a base di carbonio e ossigeno tramite la fotosintesi, cioè è la produzione della materia di cui sono fatte tutte le forme di vita. Gli organismi fotosintetizzanti sono poi ‘mangiati’ da altri organismi che da essi traggono energia e materia. Il principale produttore primario negli oceani, soprattutto mare aperto, è il fitoplancton, che fa ciò che fanno le foreste sulla terra. Inoltre gli oceani assorbono circa il 90% del calore in eccesso dovuto agli effetti del cambiamento climatico, quindi stanno tenendo effetto serra sotto controllo”

Qual è lo stato di salute degli oceani?

“Complessivamente è preoccupante a causa degli impatti che hanno sugli oceani diversi fenomeni che agiscono insieme e contemporaneamente. I cambiamenti climatici influenzano gli oceani sotto punti di vista fisico, chimico e biologico, la sovrapesca sfrutta in eccesso le risorse e altre attività umane, come il turismo, il traffico navale o l’acquacultura hanno a loro volta i rispettivi impatti negativi”.

Quali sono gli effetti dei cambiamenti climatici sugli oceani?

“Gli oceani e l’atmosfera sono un sistema unico, per cui gli effetti negativi si ripercuotono sia sugli oceani che sulle condizioni climatiche e meteo climatiche. Basti pensare alla corrente del Golfo, quelle che fa sì che il clima dei Paesi del Nord Europa sia più mite rispetto a quello di altri posti che si trovano alla stessa latitudine: si sta rallentando, a causa cambiamenti climatici. Questo può avere conseguenze sulla vita in altri parti del mondo, per esempio potrebbero cambiare i regimi di pioggia e piovosità, con difficoltà per quei paesi che hanno poca possibilità di far fronte a un mutamento del genere. Comunque tra i principali effetti dei cambiamenti climatici sugli oceani ci sono l’aumento della temperatura e l’acidificazione dell’acqua, con conseguenze su quegli organismi con strutture carbonatiche, quali coralli con scheletri fatti di carbonato di calcio. All’alzarsi della temperatura gli organismi migrano, alcune specie si spostano verso nord o verso l’estremo sud dell’emisfero meridionale perché cercano le temperatura loro necessarie. Con la tropicalizzazione dei mari si diffondono le specie dei tropici che vanno a interferire con le specie autoctone, anche nel Mediterraneo. Nel secondo caso, la dissoluzione del diossido di carbonio in mare altera gli equilibri chimici con sali presenti in mare, al suo aumentare diminuisce il Ph dell’acqua che diventa più acida. Questo può avere conseguenze sui molluschi, sulle alghe coralligene, sugli stessi coralli, perché questi organismi avranno maggior difficoltà a formare i propri scheletri e a mantenerli nel tempo”.

Quali tipi di inquinamento arrecano danno agli oceani?

“Soprattutto nelle zone costiere ci sono gli scarichi della terraferma, dove possiamo trovare un inquinamento da arricchimento di nutrienti, come l’azoto, che va a creare quello che si definisce uno stato trofico elevato, cioè l’abnorme crescita di alghe. In Europa questo fenomeno è stato molto ridotto negli ultimi anni, grazie ai recenti regolamenti sui fosfati nei detersivi e sul controllo dello sversamento dei concimi inorganici in agricoltura. Ci sono poi l’inquinamento da metalli pesanti o quello da sversamento di petrolio, che rappresenta un elevato rischio per gli ecosistemi marini. Il petrolio infatti ricopre i fondali, le superfici e gli organismi viventi”.

Uno dei principali allarmi è sulla presenza di microplastiche nei nostri oceani. Quanta microplastica è presente oggi?

“Secondo alcune stime, ogni anno circa il 10% di tutta la plastica prodotta entra in mare, e in certi mari il detrito plastico, che si degrada molto lentamente in natura, può rappresentare il 60% del totale detriti presenti. L’allarme è stato lanciato negli ultimi dieci-15, quando sono stati trovati rifiuti plastici anche nella fossa della Marianne, a circa 11mila metri di profondità. Risalendo in superficie, ci sono gli aggregati di rifiuti di plastica che flottano negli oceani e che rappresentano anche un problema paesaggistico. Il problema più subdolo delle microplastiche è che non si vedono ma sono presenti ormai dappertutto, trasportate da venti e correnti. Si sta studiando possono entrare i danni che provocano agli organismi, anche delle persone che poi se ne nutrono, perché non dobbiamo dimenticare che la plastica può contenere sostanze nocive e può assorbire inquinanti dall’ambiente”.

Negli ultimi due anni si è posto l’accento sull’economia green. A che punto siamo con l’implementazione della blue economy e in cosa consiste?

“L’economia blu sono tutte quelle attività che in modo diretto o a volte anche indiretto sono supportate da mare e da oceani. Il problema che ci si sta ponendo oggi è come di assicurare una certa crescita e un certo sviluppo in modo sostenibile, preservando cioè le risorse naturali. Ad esempio con l’utilizzo di reti da pesca che non distruggono fondale o prendono solo certe specie e non altre. E’ importante sottolineare infatti che non può esistere blue economy senza i servizi ecosistemici, cioè quei servizi che gli ecosistemi marini rendono possibile attività all’uomo. Se non c’è pesce in mare, non si pesca”.

Quali sono le azioni più urgenti in materia di salvaguardia degli oceani?

“Ritengo sia urgente continuare con quelle attività che putano a rallentare i cambiamenti climatici e mirano a invertire la rotta. Un’altra cosa assolutamente importante è continuare a studiare questi ambienti. circa Solo il 7% dei mari è oggi protetto, serve però conoscere quell’80% che ci è ancora ignoto per capire come attuare questa protezione”.

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