“Io sono in Moldavia dal 2000, ma avevo già vissuto l’esodo degli albanesi, dei curdi, dei kossovari, ho un’esperienza pregressa, so cosa significa accogliere i profughi. Mi sono ritrovato in Moldavia a svolgere la stessa azione di carità in cui credo fermamente, però mi rendo conto della diversità delle situazioni. Questa è una migrazione che ha delle fragilità e che desta molte preoccupazioni per il futuro: parliamo di transito di esseri umani, c’è il rischio che questa popolazione in cammino finisca nel traffico di esseri umani, ci sono già situazioni che emergono. Ci sono molti minori non accompagnati ed esiste la possibilità concreta che donne singole o bambini vengano deviati da falsi uomini di buona volontà, cosa che in alcuni casi sta già accadendo. Questa accoglienza richiede una massima attenzione, una chiara informazione e una prevenzione da tutti questi rischi e dobbiamo essere molto attenti”. A parlare è don Cesare Lodeserto, vicario della diocesi di Chisinau e presidente della Fondazione Regina Pacis, ente che si dedica all’accoglienza dei più bisognosi e, in questo momento, grazie al Rinnovamento nello Spirito che ha messo a disposizione una struttura, accoglie anche una ventina di profughi provenienti dall’Ucraina.
La Fondazione Regina Pacis
La Fondazione Regina Pacis è nata dal legame di due chiese gemelle, Lecce e Chisinau. Oltre venti di anni di presenza accanto agli ultimi in Moldavia, dai ragazzi di strada alle vittime della tratta, dagli anziani ai giovani carcerati, dai migranti alle famiglie povere.
L’esodo di persone che non ha più parole, ma solo silenzi e paure
Don Cesare, intervistato da Interris.it, spiega che quest’esodo è fatto di donne e bambini, gli uomini vengono fermati alla frontiera e rimandati a combattere. “Non hanno più parole, solo silenzio, paura e preoccupazione – spiega -. Queste persone portano in sé ancora il rumore di una guerra, inquietudine per il distacco dai propri cari alla frontiera. La moglie saluta il marito che torna a combattere e non sanno se si rivedranno in futuro. E’ un aspetto drammatico: l’accoglienza diventa subito la necessità di contattare la persona amata, e molte volte non ci si riesce. Non ci sono parole, ma emozioni che valgono più delle parole. E’ un’accoglienza che fa riflettere, fa capire come la negazione del diritto a vivere serenamente distrugge le famiglie, toglie la serenità e la capacità di pensare al futuro”.
L’attività della Regina Pacis a Chisinau
“La nostra attività si svolge sia a Chisinau, sia al di fuori del territorio della capitale moldava – racconta -. La nostra capacità di accoglienza è di 390 posti in aumento, di cui 20 sono esuli ucraini e sono accolti nella struttura che il Rinnovamento nello Spirito ha messo a disposizione. Eroghiamo circa 500 pasti al giorno, sia per gli esuli ucraini che si avvicinano a noi, sia per i nostri poveri ‘tradizionali’ e ai quali non possiamo negare un pasto”. Don Cesare racconta la situazione di emergenza che il Paese sta vivendo: sia perché la guerra è pochi chilometri dal Paese, sia perché c’è il timore che il conflitto possa dilagare anche in Moldavia a motivo del territorio separatista della Transnistria, occupato dai russi. A questo si aggiunge il costante flusso dei profughi provenienti dall’Ucraina che vedono nella Moldavia – ma anche nella Slovacchia, nella Romani e nella Polonia – un punto di riferimento per raggiungere l’Europa e fuggire così dalla guerra.
I dati Onu sull’esodo “più rapido del secolo”
Quello dall’Ucraina è stato definito l’esodo “più rapido del secolo”. Secondo i conteggi dell’Agenzia dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr) – riferito a mercoledì 2 marzo – sono più di un milione le persone che sono fuggite dall’Ucraina in seguito all’invasione della Russia. In meno di una settimana, più del 2% della popolazione è stata costretta a lasciare l’Ucraina. Ma i rifugiati potrebbero essere molti di più: le stesse Nazioni Unite ipotizzano una cifra attorno ai sette milioni.
Accoglienza sì, ma attenzione al rischio di compiere discriminazioni
In questi giorni ha colpito in maniera molto positiva la disponibilità dei vari Stati confinanti con l’Ucraina – ma non solo – ad accogliere i gli esuli ucraini. Alcuni dubbi però li crea il fatto che siano proprio quegli stessi Stati che fino a pochi mesi fa alzavano muri e schieravano i militari al confine per non far entrare nel loro territorio i profughi che arrivano dalla rotta balcanica. “Esiste un rischio concreto di discriminazione – spiega don Cesare -. Siamo sempre pronti a cogliere le differenze dell’altro. Il popolo ucraino ci impegna in quanto sappiamo coinvolto in un conflitto, ma credo di non aver mai trovato la stessa disponibilità di accoglienza verso altri popoli che a loro volta fuggono da guerre o difficoltà economiche. La Sacra Scrittura ci dice che per incontrare Dio dobbiamo dare accoglienza al migrante, al povero e alla vedova. Ma, in fondo, siamo credenti che scelgono l’opera di carità che più ci fa comodo. Dobbiamo veramente essere capaci di fare una scelta che non sia discriminatoria e cogliere l’importanza della persona e non pensare solo alla ricaduta che potrebbe avere su di noi – sottolinea -. Dobbiamo aprire il cuore ed amare chiunque e, come direbbe Papa Francesco, amare a partire dall’’odore delle pecore’. Le discriminazioni poi le giustifichiamo, siamo capaci di fare un uso della religione che vada a nostro vantaggio. Ma in ogni migrante di questo mondo siamo capaci di riconoscere il Dio dell’amore e non della diversità?”.
Due aspetti di questo conflitto da non ignorare
Don Cesare, inoltre, accende un faro su due aspetti importanti di questo conflitto che non si possono ignorare. Le badanti, in Italia, sono anche ucraine. “Come Chiesa abbiamo l’occasione di attivare una maggiore attenzione su queste donne – sottolinea -. Pensiamole mentre si prendono cura dei nostri anziani, fisicamente accanto a loro, ma con il pensiero a un marito o a un figlio che stanno combattendo. La Chiesa, le comunità, i parroci, i catechisti, insomma tutti, devono avere il coraggio si mettersi accanto a loro e non vederle solo come le ‘serve dei nostri anziani'”. Don Cesare, inoltre, rivolge un pensiero agli orfani e alle vedove che il conflitto ha generato e continuerà a generare. “‘Consolate il mio popolo’ ci dice la Sacra Scrittura – spiega -. Mettiamoci al fianco di queste persone, attiviamo quell’assistenza della consolazione che abbiamo saputo esprimere in questi due anni di pandemia. La consolazione deve diventare un cammino pastorale: saremo così parte viva di questa sofferenza umana. Impariamo a piangere con chi piange. Questa è la più bella e più vera accoglienza dell’altro“.