Ci vogliono scienza e coscienza, il pensiero e l’azione, la spinta interiore e la possibilità tecnica, unite insieme, per portare assistenza, cura e guarigione a quegli “invisibili” che vivono in quelle parti del mondo a cui prestiamo attenzione troppo di rado, nonostante le loro condizioni richiedano invece un tipo di intervento più impegnativo e strutturale. Anche perché, e la recente pandemia di Coronavirus ce l’ha insegnato, nel mondo globale sono globali anche la salute e la malattia. “La coscienza scientifica mi dice che se io non intervengo sulle cause delle malattie, nessuno può sentirsi al sicuro”, spiega a Interris.it il professor Aldo Morrone, direttore scientifico dell’Istituto di ricerca “San Gallicano” di Roma, esperto di patologie tropicali e di malattie della povertà, che da trent’anni si fa prossimo agli ultimi del mondo andando a intervenire nei loro stessi Paesi. Morrone, che si è occupato anche di medicina transculturale, focalizzando la sua attenzione sulla salute dei migranti e delle fasce a rischio di emarginazione sociale, ha infatti svolto missioni internazionali in India, a Sheraro in Etiopia, e in Libano per promuovere il miglioramento delle condizioni socio-sanitarie della popolazione rifugiata dalla Siria e delle comunità libanesi ospitanti. Interris.it lo ha intervistato sulla sua esperienza al fianco di quelle che chiama le “persone dimenticate” e sulle priorità sanitarie dell’Africa.
Cuore, scienza ed etica
L’impegno di dedicarsi agli altri, alla loro salute e alle loro malattie, è presente in Morrone fin dalla gioventù, grazie a tre figure molto speciali: “Ho scelto di voler diventare medico quando, da ragazzo, ho sentito parlare di Albert Schweitzer, uno dei più grandi di questa professione, che oltre alla scienza ha saputo avere cuore ed etica verso i malati. Oltre a lui anche il presbitero francese Abbé Pierre, che aveva a cuore le persone povere, e il filantropo Raul Foullereau, che si è dedicato alla causa dei malati di lebbra.” La cura delle persone fragili, spiega il direttore scientifico del San Gallicano, dai senza dimora delle metropoli occidentali agli abitanti delle aree rurali dell’Africa, è fondamentale per la salute di tutti gli esseri umani, per cui è a loro che per primi occorre riportare dignità e salute, utilizzando le terapie più aggiornate ed efficaci. Una lezione sempre valida, riattualizzata dalla pandemia, che il professore ha appreso alla fine degli anni Ottanta, quando è andato per la prima volta in Etiopia e in Africa orientale per dare un aiuto a chi soffriva del morbo di Hansen, una malattia purtroppo a lungo, e ancora oggi, “aggravata” dai pregiudizi e dallo stigma sociale. E’ infatti più comunemente nota come lebbra.
Le malattie delle persone dimenticate
Il morbo di Hansen rientra in quelle che oggi l’Organizzazione mondiale della Sanità chiama malattie tropicali neglette, un gruppo eterogeneo di 20 patologie diffuse principalmente nelle aree tropicali e quasi assente dall’agenda sanitaria globale. Causate da una varietà di agenti patogeni tra batteri, parassiti, virus, tossine e funghi, queste colpiscono oltre un miliardo di persone che vivono in comunità povere. “Io le chiamo le malattie tropicali delle persone dimenticate”, sottolinea Morrone, “e vanno dalle malattie infettive alla scabbia, dall’oncocercosi al morso di serpente. La lebbra è una malattia dimenticata perché colpisce gente dimenticata, ma per chi vive nei Paesi occidentali dove sono meno diffuse il rischio di infettarsi con queste malattie in caso di viaggio è alto”. I microrganismi non si fermano ai confini, continua, “e se non studiamo e salviamo le persone rappresentano un rischio per tutti, come abbiamo visto con il Covid”.
One health
A proposito della pandemia che è entrata nelle nostre vite nel 2020, il professore indica quale lezione tutto il mondo, medico-scientifico ma non solo, dovrebbe aver appreso. Il principio one health, cioè che la salute del pianeta, delle piante, degli animali e degli uomini sono unite tra loro. “La maggior parte delle pandemie è dovuta agli animali, per cui se non rispetteremo la natura seguendo la logica del profitto non potremmo evitare quei salti di specie da cui prendono il via le zoonosi”, illustra il medico. “Il rispetto per gli esseri umani non può prescindere dal rispetto per gli animali e la natura. Abbiamo lo stesso codice genetico, siamo tutti fratelli e sorelle, come diceva san Francesco d’Assisi”, aggiunge.
Le priorità sanitarie dell’Africa
Rievocando il programma politico-economico statunitense per la ricostruzione dell’Europa che era uscita dalla Seconda guerra mondiale, Morrone dichiara che per intervenire sulle priorità sanitarie dell’Africa ci sarebbe bisogno di un piano Marshall “sanitario” per l’Africa. “Occorre investire nel miglioramento delle scuole universitarie e delle tecnologie, sui salari dei medici, facilitare lo scambio di conoscenza e buone pratiche non solo a livello di piattaforme informatiche ma facendoli venire a studiare in Occidente e andando noi da loro per osservare la vicino le cause delle malattie, serve continuare le attività con un impegno sistematico che diventi strutturale e sia autosostenibile”, spiega il direttore scientifico del San Gallicano. “Oggi in Africa possiamo diagnosticare il cancro, le malattie dismetaboliche, le gastropatie, cosa che prima era più difficile, ma i Paesi sub-sahariani sono molto poveri e i farmaci di nuova generazione hanno prezzi proibitivi per l’Africa”, prosegue, “così non possiamo curare quelle malattie che in Occidente curiamo facilmente”. “La salute deve restare fuori dalla logica del profitto”, aggiunge.
Povertà e conflitti
Il professore riconosce che in diverse parti dell’Africa le condizioni di vita sono decisamente migliorate sotto i profili abitativi, scolastici, sanitari e tecnologici, ma osserva che in parallelo si è allargata la forbice delle diseguaglianze tra “la minoranza che gode di condizioni economiche avanzate e la maggioranza che è precipitata in condizione di forte impoverimento negli ultimi 10-15 anni, con l’aumento del fenomeno migratorio e le guerre”. Un conflitto dimenticato, quasi invisibile agli occhi occidentali è la guerra civile nella regione del Tigray, in Etiopia, scoppiata nel novembre 2020, dove lo scorso mese sono cessate le ostilità e si sarebbe avviato un processo di pace. “In due anni cinque milioni di persone sfollate e 100mila vittime nell’indifferenza quasi totale dell’Occidente”, dice Morrone, “mentre dopo i massacri in Ruanda e le segregazioni razziali in Sud Africa, che hanno lasciato segni indelebili e gravano anche sulle nostre coscienze, dovremmo avere uno sguardo più ampio su tutto il mondo – grazie anche alla tecnologia che oggi ce lo permette”.