“Alla fine della mia indagine sull’attentato a Giovanni Paolo II, ho riscontrato una certezza: quel giorno il Papa doveva morire. Agca era un killer professionista, ha sparato da tre metri con un’arma da guerra potentissima, e voleva uccidere. Ma il colpo non riuscì”. Cosa successe quel 13 maggio 1981 in un’affollatissima piazza san Pietro? Miracolo o semplice fortuna? Ne parliamo, a pochi giorni dal 30esimo anniversario dell’attentato, con un’esperto, il noto giornalista Rai Antonio Preziosi.
Una breve biografia
Antonio Ciro Patrizio Preziosi (Taranto, 16 marzo 1967) è giornalista, scrittore ed esperto di comunicazione. Attualmente dirige Rai Parlamento. Ha diretto il Giornale Radio, Radio1 e Gr Parlamento. E’ stato editorialista del Tg2 e corrispondente del servizio pubblico da Bruxelles. Ha tenuto corsi di giornalismo in diverse università italiane ed è apprezzato scrittore di libri e saggi. Ha vinto il premio Amalfi di giornalismo per la radiofonia. Il presidente della repubblica Napolitano lo ha nominato Commendatore della Repubblica Italiana. Papa Benedetto XVI lo ha nominato consultore del pontificio consiglio delle Comunicazioni Sociali. Lo scorso marzo ha pubblicato il suo nuovo libro, “Il Papa doveva morire. La storia dell’attentato a Giovanni Paolo II”, per l’editore San Paolo.
L’attentato al Papa
Il 13 maggio 1981, in piazza San Pietro a Roma, alle ore 17.17 si consuma uno degli attentati più gravi e conosciuti della nostra storia recente: un sicario, forse incaricato da mandanti ancora oggi non identificati, spara a distanza ravvicinata a papa Giovanni Paolo II per ucciderlo.
L’attentatore era Mehmet Ali Agca, un killer professionista turco, che gli sparò quattro colpi di pistola ferendolo gravemente. Giovanni Paolo II fu colpito due volte, perdendo molto sangue. Il sicario fu arrestato immediatamente e poi condannato all’ergastolo dalla magistratura italiana. Mesi dopo, il Papa perdonò il terrorista; ricevette successivamente anche il perdono del Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, e fu infine estradato in Turchia nel giugno del 2000.
Un libro che fa riflettere
A quarant’anni da quel tragico avvenimento, Antonio Preziosi ricostruisce quel giorno con dettagli poco conosciuti o addirittura inediti, analizza le ragioni e le conseguenze del gesto, evidenziando tutte le implicazioni di cronaca, storiche e spirituali dell’attentato. L’Autore racconta alcune testimonianze dirette (come quelle di suor Letizia Giudici che “arrestò” il terrorista Ali Agca o del professor Renato Buzzonetti, il medico del Papa) e tantissimi dettagli ricordati dal cardinale Stanislao Dziwisz – già segretario personale del Papa – e da tanti altri testimoni. Il racconto coinvolge il lettore come in un “film” che ha una duplice regia: una umana (i mandanti ancora oscuri dell’attentato) e una soprannaturale (la mano che deviò il proiettile salvando la vita a quel Papa che quel giorno “doveva morire”).
L’intervista al direttore Antonio Preziosi
Direttore Preziosi, prima di parlare del suo ultimo libro, partiamo dall’inizio. Come è nata la sua passione per il giornalismo?
“E’ stata una vocazione precocissima. Alle scuole elementari il maestro ci faceva realizzare, con un vecchio ciclostile, un giornalino di classe che si chiamava “Il Campanello”. Ho iniziato a scrivere i miei primi articoli su quel giornalino e mi sono appassionato. Poi, sempre giovanissimo, ho iniziato a collaborare con una radio privata: erano gli anni 70, quelli delle “radio libere”. La mia passione per il giornalismo è nata presto e non mi ha più lasciato”.
Lei ha seguito i principali eventi politici istituzionali del nostro Paese: formazione e cambio di governi, il lavoro delle istituzioni europee e importanti vertici internazionali. Quali sono le regole fondamentali per fare un buon giornalismo?
Il giornalista è un testimone. Racconta i fatti che vede ed è chiamato a farlo con onestà, verificando le fonti, nel rispetto della verità sostanziale dei fatti, rappresentando con rigore la posizione di tutti. Tra le “regole fondamentali” aggiungerei anche l’umiltà. Ripeto, siamo testimoni e non protagonisti dei fatti. Se ci si avvicina ai fatti senza superbia, con il desiderio di conoscerli ed approfondirli, poi si riesce a raccontarli con chiarezza a chi ci legge o a chi ci ascolta.
C’è un ricordo più forte di altri nella sua vita professionale?
“In trent’anni di giornalismo i ricordi sono tanti….in generale mi ha molto emozionato la radiocronaca con la quale ho raccontato l’elezione di Papa Francesco nel 2013. Ed ho un ricordo molto forte di alcuni episodi di cronaca, come quando a Gerusalemme, al termine di una visita di Stato, mi sono trovato a raccontare un attentato kamikaze su un autobus di linea accaduto pochi minuti prima, praticamente quasi sotto ai miei occhi”.
Il giornalismo è una missione, quello politico-istituzionale ancora di più. Perché?
“Più che una missione, il giornalismo è una professione con regole precise e precisi doveri da rispettare. Nel giornalismo politico-istituzionale è richiesta, a mio modesto avviso, una dose di rigore in più. Raccontiamo ai cittadini le decisioni della politica e delle istituzioni. E per farlo dobbiamo metterci dalla parte dei cittadini. E’ a loro che dobbiamo parlare con l’obiettivo di aiutare ogni lettore a capire i fatti e a costruirsi la propria libera opinione”.
Direttore di Radio1 e del Giornale Radio Rai, corrispondente per la Rai da Bruxelles, direttore di Rai Parlamento. Docente di giornalismo, scrittore. Consultore per le comunicazioni sociali per Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. C’è una sfida professionale che ancora insegue?
“Lei è gentile a ricordarmi le cose che ho fatto. Ma tutte queste attività professionali si riconducono ad un unico denominatore che è una autentica passione: quella per il giornalismo. Mi sento un testimone che racconta dei fatti. Ed è quello che mi piacerebbe continuare a fare nel futuro”.
Accanto al racconto della politica, c’è la sua attività di scrittore ed esperto di questioni Vaticane. Anche in questo caso ha raccontato e commentato i più importanti avvenimenti della storia recente della Chiesa. In questi giorni è uscito il suo ultimo libro “Il papa doveva morire. La storia dell’attentato a Giovanni Paolo II” (ed. San Paolo). Perché ha deciso di scrivere questo libro?
“Intanto perché mi interessava l’idea di raccontare un fatto di cronaca che è entrato nella storia. Poi perché sono passati quarant’anni ed ho voluto ricordare un avvenimento che nel 1981 ha colpito tantissimo l’opinione pubblica di tutto il mondo. Avevo quattordici anni e ricordo ancora la signora che da una finestra di una strada del mio paese urlava incredula: “hanno sparato al Papa in piazza san Pietro!”. Dalla rigorosa indagine giornalistica di quell’avvenimento sono emersi tanti fatti nuovi, tanti dettagli, tanti misteri ancora da chiarire su ciò che avvenne quel giorno. A mio avviso, l’attentato al Papa Giovanni Paolo II rimane uno dei più conosciuti fatti di cronaca del XX secolo”.
“Una mano ha sparato e un’altra ha guidato la pallottola” disse lo stesso Giovanni Paolo II. Nel suo libro si ripropone questa doppia regia umana e mistica: la cronaca, l’indagine minuziosa dei fatti, che si intreccia con il soprannaturale. E’ stato difficile intraprendere questa narrazione?
“Ho consultato molte fonti e la tesi della “doppia regia” è ben presente in diverse testimonianze. Quella di chi ha indagato sull’attentato, come il giudice Ilario Martella, per il quale l’attentatore turco Alì Agca non era da solo, il 13 maggio 1981, in piazza San Pietro e sostiene che vi furono mandanti, coperture e complici che agirono nell’ombra con lui. L’altra regia è quella divina, di cui era fermamente convinto Giovanni Paolo II, sempre poco interessato al “garbuglio” umano che si muoveva dietro l’attentato, ma invece misticamente sicuro che la sua salvezza dall’attentato fosse dovuta all’intervento diretto della Vergine e alla realizzazione del famoso “terzo segreto di Fatima”. Alla fine dell’indagine, ho riscontrato una certezza: quel giorno il Papa doveva morire. Agca era un killer professionista, ha sparato da tre metri con un’arma da guerra potentissima, e voleva uccidere. Ma il colpo non riuscì. Il Papa si salvò dopo un intervento di oltre cinque ore in sala operatoria. Ognuno leggendo le testimonianze potrà farsi una propria idea”.
Cosa resta oggi di quell’attentato?
“Restano la forza di un fatto di cronaca che apparve subito incredibile e di grandissimo effetto emotivo in tutto il mondo, e la curiosità giornalistica di indagare, a distanza di quarant’anni, nelle pieghe di quell’avvenimento che conserva molti aspetti ancora misteriosi”.
E’ il suo secondo libro su Giovanni Paolo II. Il primo fu: “Immortale. Da Lolek a San Giovanni Paolo, la grande storia di un uomo ‘venuto da lontano’” (2015, Rai Libri). Che cosa l’affascina di questo Papa divenuto Santo?
“Di Giovanni Paolo II ho iniziato ad interessarmi da giovanissimo, collaborando a testi e pubblicazioni anche durante il suo pontificato. E’ stato certamente uno dei protagonisti del XX secolo, molto amato dai giovani, conosciuto in tutto il mondo da credenti e non credenti. Basti ricordare la marea umana di persone che arrivò a Roma nell’aprile del 2005 in occasione della sua morte e che poi partecipò ai suoi funerali”.
Giovanni Paolo II e non solo. Lei ha scritto su Jorge Bergoglio il libro “Il giubileo di Papa Francesco” (2015, Newton Compton Editori) e su Giovanni Paolo I “Indimenticabile. I 33 giorni di Papa Luciani” (2019, Cantagalli). Da dove nasce la passione per i papi e a chi sarà dedicato il prossimo libro?
“Non saprei come rispondere a questa sua domanda. Forse perché mi incuriosiscono le storie di persone che sono molto importanti e famose, cercando di entrare nella loro umanità. Non so a chi, o a che cosa, sarà dedicato il prossimo libro, sinceramente non ci ho ancora pensato. Scrivo libri per rispondere ad una mia curiosità giornalistica o ad una passione. Sarà certamente su qualcosa o qualcuno capace di soddisfare queste mie due necessità. Le idee ed i progetti sono tanti. Per iniziare a scrivere aspetto di seguire una intuizione”.
Lei è un giornalista ed un direttore. Il 3 maggio ricorre la giornata mondiale della libertà di stampa. E nei prossimi giorni si svolgerà la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Cosa l’ha colpita di più del messaggio di Papa Francesco?
“Papa Francesco riesce sempre a parlare a tutti, credenti e non credenti, con argomentazioni concrete e di straordinaria utilità. Quando scrive che “nulla sostituisce il vedere di persona” coglie l’essenza stessa del nostro lavoro e ci ricorda che la realtà non si racconta soltanto attraverso lo schermo di un pc o di uno smart phone. Inoltre quando esorta a “consumare la suola delle scarpe” usa una frase antica del nostro lavoro, ma incredibilmente attuale e concreta: il giornalismo non è un mestiere “sedentario”. Bisogna “andare a vedere” prima di raccontare i fatti che vediamo”.