Extra G7 Salute, la sfida della prevenzione

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) il numero di persone affette da demenza a livello globale dovrebbe raggiungere i 78 milioni entro il 2030

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Obiettivo prevenzione. Ad Ancona un convegno medico affronterà anche, con un intervento dell’Inps, il tema dei costi economici e sociali legati alla sanità. E di come la prevenzione può incidere positivamente in termini di risparmio. Extra G7 Salute: “La prevenzione è la sfida della medicina generale”. Sarà l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte. E per dare  un contributo alla progettazione concreta delle forme, tavoli e protocolli di collaborazione. Tenendo conto dei dati di partenza, che attribuiscono un indubbio ruolo centrale ai medici di medicina generale, e dei dati locali sull’incidenza delle malattie monitorate in termini di salute della popolazione, di supporto a famiglie e caregiver. Ma anche di spesa sanitaria e razionalizzazione e contenimento delle liste di attesa e degli accessi al pronto soccorso. La sfida della medicina generale è quella di rafforzare l’intersettorialità territorio-ospedale per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili (Mcnt) e delle patologie oncologiche. E’ il programma di lavori del convegno che si terrà nel capoluogo marchigiano sabato 5 ottobre al Museo Archeologico (dalle 9 alle 13, strutturato in due sessioni), all’interno del palinsesto Extra G7 Salute, organizzato dalla Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg).

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“Il lavoro dei medici di medicina generale è uno degli strumenti strategici, e, dati e studi alla mano, tra i più efficaci, per mettere in atto concrete politiche di prevenzione, – ricorda il comune di Ancona- sia per malattie oncologiche, sia per croniche non trasmissibili, come quelle cardiovascolari, quelle derivanti dal fumo, la broncopneumopatia cronica e ostruttiva, diabete, l’osteoporosi, disturbi cognitivi dell’anziano (Alzheimer e demenze) E di altre fasce anagrafiche di popolazione. Nel convegno si parlerà, in particolare, della necessità di strutturare sempre meglio e rafforzare sempre di più il contatto e la rete di collaborazione tra medici di medicina generale, specialisti e ospedale per la prevenzione; l’iniziativa è prevista nel palinsesto Extra G7 Salute, organizzato dalla Federazione italiana dei medici di medicina generale. Due le sessioni del convegno: la prima dedicata al “lavoro di prevenzione dei medici di medicina generale, la seconda sarà una tavola rotonda con un pool di specialisti nei campi della cardiologia, della diabetologia, pneumologia, endocrinologia e della prevenzione oncologica. Quanto ai dati, informa il comune, “la medicina generale muove una serie di contatti annuali con i pazienti pari a circa 22.500 unità per ogni medico. Ogni medico ha in carico in media circa 150 pazienti diabetici, 450 pazienti ipertesi /cardiopatici, 50-150 pazienti con storia di tumori (nuovi o con controlli periodici da eseguire), 50-100 pazienti con disturbi cognitivi e neurologici. Si tratta dunque di situazioni in cui la vicinanza alla famiglia è di particolare importanza. Senza dimenticare tutti i pazienti seguiti dai medici di medicina generale nelle strutture (Case di Riposo, Rsa, Hospice)”.

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Impatto

Per i costi costi, i dati Favo-Censis relativi ai costi sociali dei tumori (dicembre 2023) “evidenziano che il costo pro capite medio annuo in Italia, relativo a tutti i pazienti che hanno avuto una diagnosi da almeno cinque anni, è di 34.210 euro. La misurazione dell’impatto della malattia sul lavoro attesta che oltre il 20% dei pazienti ha dovuto lasciare l’attività, un ulteriore 10,2% si è dimesso, il 2,3% è stato licenziato. La sfida della prevenzione si gioca a diversi livelli. Nei quali Regione Marche, Ast e Medici di medicina generale sono gli attori principali”. Rispetto a una serie di patologie, come il tumore del colon retto e il tumore al seno, i cittadini interessati per fascia di età o per particolari condizioni, ricevono a casa l’invito a sottoporsi ai relativi screening. Attualmente il dato relativo “all’adesione all’invito a effettuare gli screening si attesta attorno al 33%“. “Dagli studi sperimentali emerge che, se l’adesione allo screening fosse promossa in modo strutturato dai medici di medicina generale, potrebbe attestarsi su valori attorno al 94%” spiega il dottor Aldo Tiberi, medico di medicina generale, consigliere dell’Ordine dei medici della provincia di Ancona, componente del gruppo di coordinamento regionale del progetto Screening Oncologici, della rete dei referenti per la Formazione AST 2 Provincia di Ancona e del gruppo di lavoro tematico Comunità attive-Piano regionale Prevenzione 2020, nonché vice segretario vicario Fimmg della provincia di Ancona e co-organizzatore dell’evento Extra G7 insieme con la dottoressa Paola Lodolini, segretario provinciale della Fimmg Ancona e con la dottoressa Annalisa Pini, medico di medicina generale. Il “plateau di dati su cui lavorare in sinergia fotografa una situazione locale, che i medici di medicina generale ritengono migliorabili attraverso percorsi e protocolli che rinsaldino sempre di più i legami all’interno della rete della sanità e dei servizi sanitari, integrando gli interventi. Con il fine di aumentare l’accessibilità e l’appropriatezza dei servizi sociosanitari e l’adesione a misure di prevenzione”.

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Foto di Drew Hays su Unsplash

Ricerca

Intanto procede la ricerca scientifica per combattere le demenze. Gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio-2 (SGLT-2) utilizzati per il trattamento del diabete di tipo 2 potrebbero prevenire la demenza, offrendo maggiori benefici con un trattamento più lungo. A suggerirlo un ampio studio coreano guidato da Eun Ha Kang, della Seoul National University College of Medicine, pubblicato da The BMJ. Poiché lo studio condotto è stato di tipo osservazionale, i ricercatori fanno notare che la dimensione dell’effetto potrebbe essere stata sovrastimata e ritengono che siano necessari studi randomizzati controllati per confermare i risultati. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) il numero di persone affette da demenza a livello globale dovrebbe raggiungere i 78 milioni entro il 2030. E il diabete di tipo 2 è associato a un rischio maggiore di sviluppare la demenza. Un recente studio, che ha coinvolto persone di età superiore ai 65 anni con diabete di tipo 2, ha rilevato una diminuzione del rischio di demenza associato agli inibitori SGLT-2 rispetto a un altro tipo di farmaco per il diabete, gli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4). Ma, gli effetti sulle persone più giovani e su specifici tipi di demenza, come ad esempio la malattia di Alzheimer o la demenza vascolare, non sono ancora chiari. Per risolvere questo problema, i ricercatori hanno utilizzato il database del Korea National Health Insurance Service per identificare 110.885 coppie di adulti con diabete di tipo 2 di età compresa tra 40 e 69 anni, privi di demenza, che hanno iniziato ad assumere un inibitore SGLT-2 o un inibitore DPP-4, tra il 2013 e il 2021. Tutti i partecipanti, con età media di 62 anni e nel 56% uomini, sono stati abbinati per età, sesso, uso del farmaco per il diabete metformina e rischio cardiovascolare di base e sono stati seguiti per una media di 670 giorni per vedere chi ha sviluppato la demenza.

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Foto: Ministero della Salute

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Un altro gruppo di ricerca ha reclutato 100 pazienti con sclerosi multipla che sono stati sottoposti all’esame PrecivityAD2, e 11 partecipanti hanno eseguito anche la scansione PET presso il Mallinckrodt Institute of Radiology della WashU Medicine. I dati sono stati poi confrontati con quelli di 300 individui senza SM simili al campione di studio per età, rischio genetico di Alzheimer e declino cognitivo. “Il rischio di patologia amiloide nei partecipanti con sclerosi multipla – riporta Brier – era del 50 per cento più basso rispetto al gruppo di controllo”. I risultati, commentano gli autori, potrebbero suggerire un approccio innovativo per sviluppare trattamenti mirati per la malattia di Alzheimer. “Se riuscissimo a identificare la componente biologica o genetica della sclerosi multipla che risulta protettiva contro la neurodegenerazione – afferma Brier – e applicarla in modo controllato, potremmo definire nuovi approcci contro l’Alzheimer”. Non è chiaro in che modo l’accumulo di amiloide sia collegato al deterioramento cognitivo tipico dell’Alzheimer. Ma la presenza di placche è generalmente ritenuto il primo evento nella cascata biologica che porta al declino cognitivo. Questo lavoro suggerisce che più tipica era la storia di scelerosi multipla del paziente, in termini di età di insorgenza, gravità e progressione complessiva della malattia, minore era la probabilità di rilevare la presenza di placche amiloidi rispetto alle manifestazioni atipiche. Gli esperti hanno quindi dedotto che qualcosa nella natura stessa della sclerosi multipla possa proteggere il cervello dalla malattia di Alzheimer. Nei prossimi step, gli autori sperano di approfondire i meccanismi e le dinamiche associate alla correlazione tra le due malattie.

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Foto di Robina Weermeijer su Unsplash

Nuove terapie

Un potente antiossidante, e principale composto polifenolico della curcuma, è poi la curcumina, un pigmento fito-polifenolico i cui effetti sono stati documentati in Cina e India, da oltre 4.000 anni. Una dieta ricca di curcumina aiuta ad abbassare l’infiammazione e a combattere una varietà di malattie umane inclusa la malattia di Alzheimer. Nello studio i ricercatori del laboratorio di Fisiologia delle cellule staminali neurali del dipartimento di Scienze farmaceutiche della Statale di Milano (Raffaella Adami e Daniele Bottai), in collaborazione con Monica Canepari dell’Università di Pavia, hanno descritto come la curcumina sia in grado di modificare alcune proprietà fisiologiche delle cellule staminali neurali sia sane che affette da Atrofia muscolare spinale (Sma). Molto probabilmente, questo effetto si esplica con un meccanismo di attivazione della traslocazione nucleare di NRF2 indotto dalla curcumina, che però non porta ad una produzione di fattori antiossidanti. Bensì all’attivazione del promotore di Smn e a una maggiore produzione del trascritto e della proteina Smn funzionante. “Per quanto ne sappiamo, questo è il primo lavoro scientifico che descrive la fisiologia delle NSC provenienti dalla zona sottoventricolare di Smn-7, spiegano Adami e Bottai. “Sebbene l’antiossidante Olesoxime (un derivato del colesterolo che agisce sui mitocondri) abbia dimostrato di avere risultati inadeguati a lungo termine nella Smn, potrebbero essere intrapresi approcci antiossidanti alternativi incluso l’uso della curcumina. Essa, molto probabilmente, non rappresenta un sostituto dei nuovi farmaci efficaci disponibili per la Sma. Questo trattamento nutraceutico – concludono – potrebbe tuttavia aiutare a migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da Sma che hanno una risposta insufficiente a tali farmaci. Saranno necessarie ulteriori analisi per districare i meccanismi molecolari coinvolti negli effetti della curcumina su NRF2 nel nostro modello di Sma”.

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Fattori

Sono stati presi in considerazione anche fattori potenzialmente influenti, come le caratteristiche personali, il livello di reddito, i fattori di rischio sottostanti per la demenza, altre condizioni e l’uso di farmaci correlati. Nel corso del periodo di follow-up, sono stati identificati in totale 1.172 partecipanti con una nuova diagnosi di demenza. I tassi di demenza per 100 anni-persona erano pari a 0,22 per coloro che utilizzavano gli inibitori SGLT-2 e a 0,35 per coloro che utilizzavano gli inibitori DPP-4, il che corrisponde a una riduzione del 35% del rischio di demenza associato all’uso degli inibitori SGLT-2 rispetto a quello degli inibitori DPP-4. I ricercatori hanno anche riscontrato una riduzione del 39% del rischio di malattia di Alzheimer e del 52% del rischio di demenza vascolare associata all’uso di inibitori SGLT-2 rispetto agli inibitori DPP-4. Inoltre, l’effetto degli inibitori SGLT-2 sembrava più pronunciato con una maggiore durata del trattamento. E’ stata osservata una riduzione del rischio di demenza del 48% per più di due anni di trattamento rispetto a una riduzione del rischio del 43% per due anni o meno. Trattandosi di uno studio osservazionale, non è possibile trarre conclusioni definitive su causa ed effetto. Gli autori fanno notare che non erano disponibili tutti i dettagli relativi ai comportamenti di salute, come ad esempio, fumo e consumo di alcol, e alla durata del diabete di tipo 2. Tuttavia, gli scienziati hanno sottolineato che si è trattato di uno studio di grandi dimensioni, basato su dati rappresentativi a livello nazionale, che ha incluso persone relativamente giovani con diabete di tipo 2 e i risultati sono stati molto coerenti tra i vari sottogruppi. Per questo motivo, secondo i ricercatori gli inibitori SGLT-2 potrebbero prevenire la demenza. Offrendo maggiori benefici con un trattamento più lungo.

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Foto di Sasha Freemind su Unsplash

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“Lo studio riporta risultati promettenti che hanno importanti implicazioni per la pratica clinica e dal punto di vista della salute pubblica”, hanno affermato gli autori, che sono concordi sulla necessità di ulteriori studi per confermare i risultati. E suggeriscono che sono necessari anche studi “per esplorare i meccanismi alla base di qualsiasi effetto neuroprotettivo degli inibitori SGLT-2″. “Poiché attualmente non esiste una cura per la demenza e sono disponibili poche opzioni terapeutiche efficaci, le strategie che possono potenzialmente prevenire l’insorgenza sono di importanza critica”, hanno aggiunto gli scienziati. Considerati i notevoli oneri socioeconomici e di salute pubblica associati sia alla demenza sia al diabete di tipo 2, i ricercatori raccomandano inoltre di aggiornare regolarmente le linee guida cliniche e le politiche sanitarie per incorporare le migliori evidenze più recenti sui potenziali benefici degli inibitori SGLT-2. Compresa la riduzione del rischio di demenza.