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Povertà e autonomia energetica, Becchetti: “Formare competenze e accelerare la transizione ecologica”

Tra le emergenze del nostro Paese ci sono le povertà che perpetrano diseguaglianze quando non ne generano di nuove, e per uscire da questa condizione servono decisioni che sappiano incidere sia nel breve-medio periodo che sul lungo termine, aiutando chi è caduto – o rischia di cadere – a risollevarsi e che gettino le basi per la realizzazioni di un nuovo futuro, che è quasi presente tanta è l’attualità e l’urgenza dei temi. Stiamo parlando di povertà energetica, quella che nella Strategia energetica nazionale 2017 viene definita “difficoltà di acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici, ovvero alternativamente, in un’accezione di vulnerabilità energetica, quando l’accesso ai servizi energetici implica una distrazione di risorse (in termini di spesa o di reddito) superiore a un ‘valore normale’ e del triste primato della condizione di povertà assoluta in cui versano, secondo il XXI Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale “L’anello debole”, con dati che si riferiscono al 2021, oltre 5,5 milioni di persone. Si tratta del 9,4% della popolazione residente in Italia. Un’altra percentuale ci permette di comprendere l’entità del fenomeno della povertà energetica: l’Osservatorio italiano sulla povertà energetica (Oipe) ha stimato che, nel 2020, l’8% si trovava in questa condizione. Il problema, in inglese efficacemente riassunto to eat or to heat”, cioè mangiare o accendere il riscaldamento, è probabilmente in crescita negli ultimi mesi, prima per gli incrementi dovuti alla ripresa economica subito dopo il periodo più dura della pandemia, poi per l’incertezza sulle forniture che spinge in alto i prezzi quale effetto collaterale della guerra in Ucraina. Secondo l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), nel 2022 la spesa per la bolletta elettrica per la famiglia-tipo sarà di circa 1.322 euro rispetto ai 632 euro circa del 2021. Intanto le istituzioni europee cercano di parlare con una voce sola dopo l’accordo raggiunto i giorni scorsi al Consiglio europeo, l’ultimo a cui ha preso parte Mario Draghi in veste di presidente del Consiglio italiano, su un pacchetto di nove misure per contenere il “caro energia” per cui è stato dato mandato alla Commissione europea e ai ministri europei dell’energia di presentare proposte. Tra queste, gli acquisti congiunti sul mercato per almeno il 15% del totale dell’energia importata dalla Ue e  misure di sostegno energetico. “La nostra priorità oggi deve essere mettere un argine al caro energia e accelerare, in ogni modo, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la produzione nazionale, perché voglio credere che dal dramma della crisi energetica possa emergere, per paradosso, anche un’occasione per l’Italia”, ha detto il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni nelle dichiarazioni programmatiche del governo al passaggio della fiducia alle Camere. “I nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno e la nostra Nazione, in particolare il Mezzogiorno, è il paradiso delle rinnovabili, con il suo sole, il vento, il calore della terra, le maree, i fiumi, un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibili. Insomma sono convinta che l’Italia, con un po’ di coraggio e di spirito pratico, potrebbe uscire da questa crisi più forte e autonoma di prima”.

L’intervista

Per capire meglio quali potrebbero essere le politiche da attuare in campo economico, sociale ed energetico per contrastare le povertà e far diventare l’Italia autonoma sotto il profilo dell’energia, Interris.it ha intervistato l’economista e professore ordinario di economia politica all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata Leonardo Becchetti.

I recenti dati dal rapporto Caritas destano allarme e preoccupazione. Sulla base di quelle cifre, che non sono solo numeri ma vite umane, quali sono le priorità di politiche economiche e sociali per il nuovo governo – per esempio si intende cambiare il reddito di cittadinanza?

“Una rete di protezione contro la povertà è fondamentale ed esiste in tutti i Paesi dell’Unione europea, va evitato però che questa misura costituisca un disincentivo all’accettazione di posti di lavoro da parte di quella quota minoritaria di persone occupabili che la ricevono mentre percepiscono il reddito. Nel nostro Paese l’ammontare massimo del reddito di cittadinanza, 780 euro, è molto alto rispetto alla soglia di povertà (secondo Istat questa soglia è di 834 euro circa per un singolo in una metropoli del Nord Italia e invece 563 euro per colui che vive in centro del Meridione, ndr), mentre fuori dall’Italia la cifra è di circa il 50-60% e in aggiunta non si può rifiutare l’offerta di lavoro, pena la perdita del reddito. Si può pensare, per esempio, che ci siano incentivi ad accettare degli impieghi per cui si riceve un salario adeguato e non si perde comunque una quota di reddito. Bisogna comunque lavorare sulla formazione della nuova manodopera, sulle competenze, per intaccare quello squilibrio tra numero dei disoccupati e posti di lavoro vacanti.”

La “povertà energetica” nel 2020 riguardava oltre due milioni di famiglie italiane secondo l’Oipe e probabilmente in questo periodo l’entità del fenomeno è aumentata. Quale può essere, almeno nell’immediato, la risposta del governo?

“Fino ad oggi sono stati messi circa 70 miliardi per ristori bollette, ma non si è premuto l’acceleratore sulle fonti rinnovabili per l’obiettivo di sette gigawatt. Queste libererebbero famiglie e imprese dal gas e dal pagamento di costi esorbitanti Già oggi le famiglie passate all’autoproduzione di energia ricevono bollette molto basse o addirittura negative. Urge accelerare sulla transizione verso le fonti rinnovabili per essere in grado di andare finalmente oltre la politica del ristoro, colmando i nostri ritardi con le comunità energetiche e magari installando pannelli solari sui tetti degli uffici pubblici”.

Quali sono le cause degli aumenti che vanno avanti da ormai oltre un anno?

“Due anni fa, nel periodo peggiore della pandemia di Coronavirus, il petrolio aveva raggiunto un prezzo negativo, poi c’è stata la ripresa economica e in seguito l’impennata del prezzo del gas per via del timore che con la guerra in Ucraina ci potesse essere un blocco dell’offerta. Lo scenario di oggi è diverso, l’Ue ha lavorato agli stoccaggi di gas e i prezzi di conseguenza scendono molto. L’attuale difficoltà nell’accordo sul tetto al prezzo del gas, il price cap, che non vede disponibili Germania e Olanda, è nello stabilire chi, tra gli Stati o le aziende che lo acquistano, deve pagare il differenziale tra il prezzo di mercato del gas e quello calmierato”.

Il Ministero della Transizione ecologica cambia nome, col nuovo esecutivo, in Ambiente e sicurezza energetica. Che indicazioni ci può dare questa nuova denominazione e quali politiche energetiche devono essere approntate per garantire la nostra indipendenza energetica?

“Cambiamento di nome dovrebbe essere il segnale che ci si dirige sempre di più verso l’autonomia e l’indipendenza energetica per non dipendere da Paesi terzi. Il governo precedente avrebbe dovuto fare di più per l’installazione di pannelli solari e per la nascita di comunità energetiche, dato che i progetti già pronti sono quattro volte quelli prefissati per il 2030, pari a 280 gigawatt. La capacità progettuale c’è, la frena la burocrazia. Lo Stato deve poi intervenire sull’efficientamento energetico, perché dei sistemi di produzione più efficienti e sostenibili sono appetibili anche per gli stessi imprenditori. Vediamo come nel settore dei trasporti l’elettrificazione va veloce, come si evince da tante pubblicità di case automobilistiche, mentre l’agrivoltaico viene finanziato con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.

In Italia risuona da tempo l’allarme del mancato incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro. Quali sono gli investimenti da fare per valorizzare e sprigionare le energie del capitale umano nel nostro Paese?

“Occorre investire nella formazione permanente e riqualificazione delle competenze per colmare il gap tra quelle che richiedono le aziende e quelle che possiede chi è in cerca di un’occupazione. Per fare questo, occorre favorire quei percorsi che per esempio già portano avanti tante organizzazioni non profit. Sempre all’interno di una cornice di regole per evitare lo sfruttamento delle persone”.

Lorenzo Cipolla: