“La morte di un detenuto è sempre una sconfitta per lo Stato. Ricordo altresì che le carceri sono pressoché quotidianamente protagoniste di proteste, di moltissimi atti offensivi verso il personale della penitenziaria e anche purtroppo di tentati suicidi, sventati in tempo dalla polizia penitenziaria nonostante la cronica carenza d’organico. Ormai si inizia a perdere il conto dei detenuti suicidatisi nei penitenziari della regione Puglia, senza che ciò scuota la coscienza di alcuno. Ma è possibile che in un cosiddetto paese civile ci si indigni per un animale maltrattato e nessuno si preoccupi di affrontare seriamente il problema delle carceri, diventate ormai una ‘discarica sociale’ ove gettare le anime e i corpi degli ultimi, dei cosiddetti pazzi, dei diseredati?”.
E’ il commento, forte e drammatico, di Federico Pilagatti, responsabile per la Regione Puglia del SAPPE (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) dinanzi all’ennesimo caso di suicidio dietro le sbarre, avvenuto giovedì scorso in Liguria.
Un anziano di 70 anni che nei giorni scorsi aveva aggredito a sprangate la moglie a Sori, si è impiccato in cella annodando le lenzuola del letto. Per essere sicuro di riuscire nel suo intento, ha atteso che i suoi compagni di cella uscissero per l’ora d’aria.
Lo scorso 27 giugno, un detenuto trentenne di Bari, condannato per omicidio con fine pena 2042, si è suicidato nel carcere pugliese impiccandosi alla finestra della propria stanza dopo aver annodato le lenzuola alle inferriate. L’uomo soffriva di problemi psichiatrici.
La situazione nelle carceri italiane non è limitata al solo sovraffollamento, problema per il quale l’Italia è stata richiamata anche dal Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d’Europa.
Esistono invece problemi strutturali di lunga data ai quali si è sommato il Covid-19. Risultato: in questi due anni sono aumentati esponenzialmente gli atti autolesionisti e i tentativi di suicidio tra i detenuti.
Facciamo il punto con Federico Pilagatti del Sappe Puglia. Il Sappe è il primo sindacato di Polizia Penitenziaria d’Italia poiché rappresenta circa il 30% del personale totale.
Intervista a Federico Pilagatti SAPPE – Puglia
Quanti sono ad oggi i suicidi in carcere?
“Trentacinque dal primo gennaio ad oggi. Centinaia, inoltre, i tentativi di suicidio sventati dalla polizia penitenziaria”.
Quali sono i problemi principali delle carceri italiane?
“I problemi delle carceri sono tanti e importanti. Il primo è il sovraffollamento. In Italia ci sono oltre 54mila detenuti, ma i posti sono meno di 47mila. Il sovraffollamento nelle strutture detentive pugliesi si attesta, come media, al 145% e si somma all’inadeguatezza delle strutture e alla carenza di personale di sostegno e di sicurezza”.
Un altro punto è dunque la carenza di organico?
“Assolutamente sì. I poliziotti penitenziari sono numericamente troppo pochi. Siamo in tutto quasi 37mila: ben 8mila in meno di quanti dovremmo essere. Per esempio, negli ultimi 20 anni in Puglia – la Regione con le carceri più sovraffollate d’Italia e d’Europa – sono aumentati i detenuti, ma l’organico è diminuito di 600 unità su 2.500 totali. Oggi siamo poco più di 1.900 persone per un numero sempre maggiore di detenuti e con nuove problematiche da affrontare, tra le quali in primis i disagi psichiatrici che non raramente sfociano in tentativi di suicidio. Fortunatamente, la maggior parte senza un esito nefasto grazie al pronto intervento degli agenti. Sottolineo che un organico insufficiente significa meno sicurezza: per i detenuti, per i poliziotti ma anche per la cittadinanza. Infatti, meno persone ci sono a controllare, più aumentano le infrazioni (come la droga che entra in carcere) e le evasioni dei detenuti, anche pericolosi”.
Il sovraffollamento è omogeneo?
“No. Ci sono alcune regioni in cui è quasi a zero, altre dove arriviamo al 45-50% in più. La regione fanalino di coda è appunto la Puglia. La distribuzione non omogenea è dovuta al fatto che i detenuti devono essere reclusi nella regione di residenza, per permettere le visite familiari. Il sovraffollamento, inoltre, crea un altro problema non da poco”.
Quale?
“Le maggiori difficoltà nel portare avanti il lavoro di rieducazione. Il carcere dovrebbe essere rieducativo e aiutare il detenuto al reinserimento. Ma questo non avviene ovunque. Per esempio, nel carcere di Taranto per 700 detenuti ci sono solo 3 operatori! Il sovraffollamento – che crea non pochi disagi ai detenuti perché vivono in 4 in celle pensate per due – si somma dunque alla carenza di organico. Non solo degli agenti di polizia, ma anche di educatori, operatori, medici psicologi e psichiatri che aiuterebbero a prevenire i suicidi”.
Quali altri problemi ci sono?
“Un altro grave problema è la sicurezza del personale: ogni giorno decine di poliziotti vanno a finire in ospedale perché colpiti da detenuti. Spesso si tratta di detenuti con problemi psichiatrici, che – dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici criminali per la Legge 180/78 – dovrebbero stare nelle REMS, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, e non in carcere”.
Cosa sono le REMS?
“Sono le strutture sanitarie di accoglienza per gli autori di reato affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi. Ma le Rems sono troppo poche e queste persone finiscono in carcere insieme agli altri detenuti. Il carcere, però, non è un ospedale psichiatrico, non ha degli spazi adatti né dei medici chi li seguano costantemente. Gli agenti penitenziari stessi, inoltre, non sono degli operatori sanitari: noi non abbiamo una preparazione per la gestione dei malati psichiatrici, spesso violenti”.
Qual è la conseguenza?
“La conseguenza è gravissima. Infatti, l’80% dei suicidi e la grande maggioranza dei tentati suicidi e atti (auto) lesionistici, nonché delle aggressioni al personale o ad altri detenuti, è compiuta da persone con problematiche psichiatriche più o meno gravi. Persone, dunque che se fossero seguite in strutture ad hoc, come la legge prescrive, probabilmente non farebbero e non si farebbero del male. I suicidi in carcere sono un’emergenza sociale dimenticata, ma il cui peso morale ricade nella società intera. Noi, come sindacato di polizia penitenziaria, non smetteremo di fare il nostro lavoro in quella ‘terra di nessuno’ che sono gli istituti penitenziari italiani, ma non possiamo tacere dinanzi a tutte queste ingiustizie. Una società più civile parte dalla tutela degli ultimi. E di chi se ne occupa quotidianamente”.