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Pastori (ISPI): “Politica estera e battaglie interne: Trump e Harris a confronto”

Il 5 novembre si svolgeranno negli Stati Uniti le elezioni presidenziali e la vittoria di uno dei due schieramenti è ancora non pronosticatile con certezza. Benché, secondo le ultime proiezioni, la democratica Kamala Harris superi Donald Trump di circa due punti percentuali, negli Stati chiave la situazione si mantiene incerta, ma con il repubblicano in leggera risalita. Eppure, l’uscita di scena del “vecchio” (in fatto di esperienza, ma non solo) Joe Biden avrebbe dovuto (nella speranza di molti) far pendere l’ago della bilancia a favore del partito dell’Asinello. E non solo perché – in caso di vittoria – la Harris sarebbe la prima presidente donna nella storia degli Stati Uniti d’America, ma perché sarebbe anche la prima afro e asioamericana. Per comprendere come la campagna politica Usa sia cambiata con l’uscita di scena di Joe Biden, l’appeal della Harris sull’elettorato femminile e cristiano e su come potrebbe venire riorganizzata la politica estera Usa a seconda del vincitore, Interris.it ha intervistato Gianluca Pastori, associate research fellow in Relazioni Transatlantiche per l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e professore associato di Storia delle relazioni politiche tra Nord America ed Europa presso l’Università Cattolica di Milano.

Foto: Gianluca Pastori di ISPI

L’intervista al professor Gianluca Pastori

Con l’uscita di scena di Joe Biden e l’ascesa di Kamala Harris, come è cambiata la corsa presidenziale Usa?

“Indubbiamente, per Donald Trump, la corsa si è fatta più complicata. Harris è un avversario che la sua retorica fa più fatica ad ‘aggredire’ rispetto a Biden. Soprattutto, Harris ha meno debolezze evidenti, anche se come donna e di colore, californiana e ‘interna’ al sistema di potere, accumula molti degli stereotipi negativi conto cui gli elettori ‘MAGA’ – Make America Great Again lo slogan reso popolare da Trump nella campagna presidenziale del 2016 – si sentono in guerra. Sul piano del possibile risultato, comunque, non sembra essere cambiato molto. Dopo l’entusiasmo iniziale, i sondaggi evidenziano come – nonostante Harris abbia un certo margine di vantaggio – i due candidati restino molto vicini, come lo erano, a suo tempo, Trump e Biden”.

Quali sono le principali differenze nelle strategie di comunicazione tra Biden e Harris, specialmente considerando che Harris è una donna afroamericanana e asioamericana?

“Non mi sembra che la campagna di Harris ponga molto in luce questi aspetti, o – almeno – che non lo faccia in maniera esplicita. Certo, la sua figura di donna e dalle origini miste, che scala la piramide del potere fino alla presidenza, rafforza e rende più credibile l’idea di una ‘America diversa’ che sta alla base della campagna democratica. Quello che mi appare significativo sono, però, i frequenti riferimenti che Harris fa alla sua estrazione ‘middle class’ e al fatto di avere particolarmente a cuore i suoi interessi. Come se puntare sul dato socio-economico sia considerato più pagante – in termini di consenso – che puntare sul genere o sull’etnia”.

In che modo Trump ha dovuto modificare la propria narrazione in conseguenza al ritiro di Biden dalla corsa alla Casa Bianca?

“Sicuramente, Trump ha perso l’asset ‘forte’ della debolezza di Biden, dalla sua età e del suo essere – come sosteneva – ‘unfit for the office’. Dopo il ritiro dalla corsa elettorale, Trump ha anche provato a chiedere le dimissioni di Biden proprio su questa base, anche se questa richiesta è stata lasciata cadere presto. Come detto, Harris è un avversario più difficile da ‘aggredire’ per la retorica di Trump. Al netto degli attacchi personali (che restano un pezzo forte dei suoi discorsi), mi sembra che la strategia sia soprattutto quella di attaccare Harris in quanto Vicepresidente, quindi co-responsabile di quelli che Trump individua come i fallimenti dell’attuale amministrazione”.

JOE BIDEN E KAMALA HARRIS. CREDIT: UFFICIO IMAGOECONOMICA

Il fatto che Harris sia molto più giovane sia rispetto a Biden (59 anni contro 81) sia rispetto a Trump (78enne) può influire sull’elettorato, in particolare sui giovani?

“Non credo che l’età possa essere un punto dirimente, almeno per quanto riguarda il voto dei giovani. Per questi, Harris rappresenta comunque ‘un’altra generazione’, sebbene diversa da quella di Biden e Trump. Fra l’altro, in Congresso siedono già Rappresentanti più vicini alle sensibilità giovanili di quanto non lo sia Kamala Harris e che in passato sono stati decisamente critici nei suoi confronti. Se guardiamo, invece, agli elettori più maturi, il discorso cambia. Per questi (specie se non già allineati verso uno dei due partiti), l’età potrebbe essere un fattore di scelta più rilevante, tenuto anche conto che Trump non è – in effetti – molto più giovane del ‘vecchio’ Biden”.

Sul tema “aborto” è guerra aperta tra i due partiti. Secondo lei, come si schiererà l’elettorato femminile? E i cristiani? 

“Soprattutto dopo la sentenza della Corte suprema che ha ribaltato la Roe v. Wade, il tema ‘aborto’ è diventato uno dei cavalli di battaglia del Partito democratico. La scelta ‘pro-choice’ ha aiutato molto il partito a contenere i danni nel voto di mid-term del 2022; inoltre, il numero di donne che si definisce ‘pro-choice’ è senza dubbio un punto a favore di Harris. Tuttavia, il fatto che quella sull’aborto sia diventata una sorta di battaglia identitaria per il mondo ‘dem’ rischia di spingere massicciamente alle urne il fonte ‘pro-life’ e – soprattutto – il mondo evangelico, che già in passato si è dimostrato un bacino di voto repubblicano con delle forti capacità di mobilitazione”.

VOLODIMYR ZELENSKY PRESIDENTE UCRAINA, DONALD TRUMP EX PRESIDENTE USA. CREDIT: IMAGOECONOMICA VIA PRESIDENT.GOV

Quali sono le maggiori differenze di pensiero in politica estera dei due candidati? Come potrebbe cambiare la strategia degli Stati Uniti nei confronti della Russia e di Israele in caso di vittoria di Harris o di Trump?

“Entrambi i candidati sono stati molto vaghi sui temi di politica estera, specie sul Medio Oriente. Si può immaginare che le decisioni di Trump saranno condizionate soprattutto dalla volontà di liberare risorse per competere con la Cina, che appare la sua vera priorità in campo internazionale. Per Harris ci sono meno indicazioni. Credo si possa però immaginare una certa continuità con le scelte dell’attuale amministrazione anche se con aggiustamenti, nel caso del Medio Oriente, per andare incontro alle simpatie ‘propal’ di parte della base del partito e, nel caso della Russia, per evitare che gli USA restino intrappolati a tempo indefinito in una guerra che appare sempre meno popolare”.

Milena Castigli

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