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Paralimpiadi, storia e attualità di un esempio di inclusione

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Le Olimpiadi di Tokyo 2020, svoltesi in una cornice connotata dalla pandemia da Covid – 19, nonostante alcune difficoltà logistiche, si sono chiuse con ottimi risultati per l’Italia che, con grandi sforzi, è riuscita ad ottenere nelle varie discipline 40 medaglie così suddivise: 10 medaglie d’oro, 10 medaglie d’argento e 20 medaglie di bronzo, superando il precedente record di 36 medaglie ottenuto nelle Olimpiadi di Roma del 1960. I giochi olimpici, tenutisi in questo particolare contesto, hanno un valore molto grande, in quanto hanno dato lustro al significato più bello e autentico del termine sport, ossia spirito di sacrificio, dedizione ed altruismo. Prendono quindi il via, nella giornata di oggi, le Paralimpiadi, un simbolo bellissimo del significato di inclusione delle persone con disabilità nello stupendo mondo dello sport a livelli professionistici.

La storia delle Paralimpiadi

Questo inizio è l’archetipo dei molti sforzi messi in campo fin dal secondo dopoguerra al fine di promuovere lo sport come potente mezzo di espressione della personalità nonostante la disabilità; a tal proposito mi sovvengono alla mente, con viva gratitudine, le gare organizzate dal medico Ludwig Guttmann che, per primo, ha istituito delle competizioni sportive per i veterani di guerra affetti da disabilità e ricoverati Nell’ospedale di Stoke Mandeville da cui hanno preso il nome le prime manifestazioni in tal senso. In seguito, nel 1958, Guttmann ha preso contatto con il direttore del centro spinale di Roma dottor Antonio Maglio ed insieme hanno cominciato a lavorare alla nona edizione dei giochi di Mandenville, giochi che si sarebbero svolti una settimana dopo la chiusura delle Olimpiadi di Roma del 1960. Grazie anche al contributo dell’Inail è stata possibile la partecipazione di 400 atleti in carrozzina in rappresentanza di 23 paesi davanti a 5.000 spettatori, con l’introduzione dell’allora ministro della sanità Camillo Giardina. Era l’otto settembre 1960, una data storica in cui molte persone, fino ad allora rimaste nell’ombra, hanno potuto competere ed affermarsi nello sport, segnando una cesura importante verso il concetto odierno di sport paralimpico come mezzo fondamentale di espressione delle proprie attitudini ed inclinazioni indipendentemente dalla disabilità. In seguito, sono stati fatti numerosi passi avanti al punto che, nel luglio 2003, con la Legge n. 189/15 rubricata “Norme per la promozione della pratica dello sport da parte delle persone con disabilità”, è stato istituita ufficialmente la Federazione Italiana Sport Disabili come Comitato Italiano Paralimpico.

Un duplice esempio di inclusione

Le Olimpiadi che prendono il via oggi, nonostante la difficile situazione sanitaria che rende ancora più ostica la vita quotidiana delle persone con disabilità, ha dimostrato il grande coraggio e la tempra adamantina di cui sono dotati questi atleti; ne è dimostrazione il fatto che la delegazione italiana parteciperà a questi giochi con un significativo numero di atleti – 113 atleti – impegnati in 16 delle 22 discipline previste. Questa sarà la delegazione più ampia in tutta la storia dei giochi paralimpici ed, oltre a ciò, è significativo che per la prima volta le donne supereranno gli uomini in termini di presenze, essendo le stesse 61 mentre gli uomini 51. Questo segnale è doppiamente positivo, in quanto l’inclusione è duplice: finalmente siamo giunti ad una inclusione più fattiva in cui le persone con disabilità ed in particolare delle donne con disabilità è giunta a dei livelli che pochi anni fa non erano nemmeno prevedibili ed è importante proseguire su questa luminosa via.

Il luminoso esempio di Alex Zanardi

Infine, nel formulare i miei più fervidi auguri a questi atleti speciali, desidero rivolgere un sentito e commosso grazie ad Alex Zanardi che, con il suo importante e fulgido esempio, ha insegnato a me e a molte altre persone con disabilità l’importanza dello sport come cimento per condurre una vita migliore e contestualmente saper affrontare e superare i propri limiti.

Christian Cabello: