Francesco pellegrino in Ungheria e Slovacchia. Nel segno dell’Eucarestia e dell’ecumenismo. Il viaggio apostolico che inizia oggi è il secondo itinerario internazionale del Pontefice dall’inizio della pandemia. Dopo quello in Iraq dello scorso marzo. A Budapest il Papa conclude il 52° Congresso eucaristico internazionale. La 34° trasferta del suo pontificato è l’occasione per riflettere sull’Eucarestia. Si tratta di uno dei fondamenti della fede. E sono tanti i miracoli eucaristici cari alla devozione del popolo cristiano. In Slovacchia Jorge Mario Bergoglio farà visita anche alla comunità Rom di Lunik IX. Uno dei 22 distretti della città di Kosice. Diventato un “ghetto”. Il più grande d’Europa. Nel quale si registra la maggior concentrazione di popolazione Rom. Una zona abitata da oltre 4.300 persone. Con notevoli problemi di infrastrutture. Le abitazioni sono prive di gas. L’acqua corrente è disponibile solo per poche ore al giorno. Manca un vero e proprio sistema di riscaldamento.
Papa del dialogo
La missione papale nel cuore dell’Europa è scandita “dalla adorazione e dalla preghiera”. Come ha evidenziato Jorge Mario Bergoglio all’Angelus di domenica scorsa. Con l’Ungheria e la Slovacchia diventano 54 i Paesi visitati da Francesco. Oggi sette ore di permanenza a Budapest e l’atteso incontro con il premier ungherese Viktor Orban. Poi la Slovacchia (Bratislava, Presov, Kosice e Sastin). Spiega il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni: “E’ un pellegrinaggio spirituale. Non bisogna mischiare elementi che possano travisarne la natura”. Francesco è il secondo Papa a compiere un viaggio apostolico a Budapest e in Slovacchia. Giovanni Paolo II aveva visitato il Paese magiaro nel 1991 e nel 1996. Quello slovacco nel 1990, nel 1995 e nel 2003. Francesco ha più volte affermato che il vero ecumenismo non va confuso con il relativismo e con il sincretismo. E passerà agli annali del dialogo tra cristiani per l’ avvicinamento che ha portato allo storico abbraccio a Cuba tra il Papa di Roma e il patriarca di Mosca.
Statio Orbis
Per Francesco è il primo viaggio dopo l’intervento chirurgico al colon del 4 luglio. E vuole essere un pellegrinaggio “in onore del Santissimo Sacramento“. Insieme ai partecipanti al Congresso Eucaristico. La cui messa finale è chiamata “Statio Orbis“. Perché celebrata come se nello spirito radunasse l’intera cristianità. In Slovacchia il Papa pregherà la Madonna che ha vegliato sul dolore delle comunità slave. Duramente colpite dalle persecuzioni dei regimi. Con vescovi e preti uccisi. In una terra in cui è esistita per decenni una Chiesa nascosta. “In Slovacchia il Papa incontrerà cristiani fieri di aver resistito fino al martirio. E rivolgerà uno sguardo alla missione e al futuro della fede in questa nazione”, precisa. Sono 12 i discorsi previsti. Tutti in italiano. Tra cui tre omelia, un Angelus e un saluto. In programma ci sono incontri con i giovani. E con i rappresentanti delle altre confessioni cristiane e di altre religioni.
Lontani
Nella pastoralità dell’azione di Francesco c’è lo sforzo del dialogo con il mondo moderno. E anche con i lontani. Coloro i quali a volte sembrano apprezzarlo più di alcuni più vicini o vicinissimi. Che manifestano le stesse paure degli avversari di Gesù
che frequentava pubblicani e stranieri. E accettava gesti di venerazione da prostitute. Francesco porta in pellegrinaggio in Ungheria e Slovacchia la testimonianza di una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In
dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico che il Concilio Vaticano II ha benedetto e rafforzato nei suoi documenti. Ne è una dimostrazione il cambio conciliare di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei. Verso le Chiese non cattoliche. E anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni, riconoscendo “semi del Verbo“, cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede.
Fratelli maggiori
Di particolare importanza, nella tappa slovacca del viaggio apostolico, la visita alle comunità ebraiche. Sopravvissute anch’esse a una lunga storia di sofferenze. Aggravate dalle deportazioni del regime nazista che hanno ridotto a 20 mila membri, dopo la guerra, una comunità che prima ne contava 246 mila. Di questi, 15 mila vivevano fino al 1940 a Bratislava, solo 3.500 sono scampati all’Olocausto. Vedendo dopo la Seconda Guerra mondiale il loro patrimonio architettonico distrutto. E incontrando indifferenza e ostilità. Soltanto i cambiamenti politici successivi alla caduta del comunismo, nel 1989, hanno portato a una rinascita della vita ebraica. Quella che il Papa incontrerà domani nella piazza Rybné namestie (dove sorge un memoriale della Shoah) sarà una comunità molto attiva. Promotrice di attività religiose, culturali, educative e sociali.