Papa Francesco ha fatto un annuncio importante al termine dell’Angelus. “Sabato 30 settembre in piazza San Pietro avrà luogo una veglia ecumenica di preghiera. Con la quale affideremo a Dio i lavori della XVI assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi– afferma il Pontefice-. Per i giovani che verranno alla veglia ci sarà un programma speciale in tutto quel fine settimana”. Mercoledì 25 gennaio si conclude la tradizionale settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema di quest’anno è tratto dal profeta Isaia: “Imparate a fare bene, cercate la giustizia“. Jorge Mario Bergoglio ha invocato “fedeltà e pazienza“. Chiedendo allo Spirito Santo di “sostenerci e guidarci verso la piena comunione“.
Il mandato del Papa
L’ecumenismo ha nel Concilio il suo momento più alto e intenso. Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è stato uno dei principali intenti del Vaticano II. Conversando con i giornalisti sul volo di ritorno dalla GMG di Rio de Janeiro, Francesco ha ricostruito le radici ecumeniche e conciliari del proprio pontificato. Attraverso il debito di riconoscenza verso papa Angelo Roncalli. “Giovanni XXIII è un po’ la figura del prete di campagna, del prete che ama ognuno dei fedeli, che sa curare i fedeli”, ha sottolineato Jorge Mario Bergoglio. “E questo lo ha fatto come vescovo, come nunzio. Tante testimonianze di Battesimo false ha fatto in Turchia in favore degli ebrei! Era un coraggioso. Prete di campagna, buono, con un senso dell’umorismo tanto grande e una grande santità“. E ancora: “Quand’era nunzio, alcuni non gli volevano tanto bene in Vaticano, e quando arrivava per portare i conti, o chiedere a certi uffici, lo facevano aspettare. Mai se ne è lamentato. Pregava il rosario, leggeva il breviario. Un mite, un umile“. E poi, continua Francesco, “il Concilio, un uomo docile alla voce di Dio. Perché quello gli è venuto dallo Spirito Santo, e lui è stato docile. Pio XII pensava a farlo, ma le circostanze non erano mature per farlo. Giovanni XXIII non ha pensato alle circostanze, ha sentito quello e lo ha fatto, un uomo che si è lasciato guidare dal Signore”.
Papa dell’unità
La riscoperta della fraternità tra i cristiani, come scrisse Giovanni Paolo II nell’enciclica “Ut Unum Sint”, rappresenta il grande frutto del cammino ecumenico. Il Concilio ha rappresentato la svolta che ha consentito la partecipazione cattolica al movimento ecumenico. Costituiscono elementi di questa svolta la costituzione del Segretariato per l’unione dei cristiani, la presenza al Concilio di osservatori non cattolici. E poi i documenti conciliari. La domanda e l’offerta di perdono da parte di Paolo VI agli altri cristiani per i peccati commessi contro l’umanità. A partire dal 1965 la Chiesa cattolica è entrata in dialogo, a livello internazionale e locale con tutte le altre grandi famiglie di Chiese cristiane. I dialoghi bilaterali con le principali famiglie confessionali e comunioni cristiane mondiali rappresentano una forma di impegno ecumenico particolarmente congeniale alla Chiesa cattolica. Il 5 dicembre 1965, nel corso di un’udienza generale, Paolo VI diceva che il Concilio, per sua natura, è un fatto che deve durare. Se davvero esso è stato un atto importante, storico e, sotto certi aspetti, decisivo per la vita della Chiesa, è chiaro che “noi lo troveremo sui nostri passi ancora per lungo tempo. Ed è bene che sia così”.
La vita della Chiesa
E così è stato, da sessant’anno a questa parte, senza smentire, nemmeno per un istante, la profetica considerazione del primo papa moderno (come lo hanno definito i biografi) che accompagna la Chiesa a misurarsi con le intuizioni del Concilio Vaticano II, un evento – precisava Paolo VI – “che prolunga i suoi effetti ben oltre il periodo della sua effettiva celebrazione. Deve durare, deve farsi sentire, deve influire sulla vita della Chiesa»”. Un’unica missione: recepire la lezione conciliare. In occasione del 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965-2015) è stato pubblicato un volume, Il Concilio Vaticano II in Italia cinquant’anni dopo, curato da padre Aldino Cazzago (Roma 2015, pagine 124). Si tratta di una breve raccolta di saggi (la santità, il laicato, il catecumenato, i movimenti e l’arte sacra), scritti con l’intento di aiutare a comprendere in che modo alcuni degli insegnamenti del Concilio sono stati recepiti e poi tradotti nella vita della Chiesa italiana. Oggi, secondo Cazzago, la conoscenza del Concilio, della genesi dei suoi documenti e dei suoi principali protagonisti ha fatto enormi passi in avanti.
Communio
Grazie, poi, alla recente pubblicazione di numerosi diari, memorie e materiale d’archivio dei protagonisti dei lavori conciliari, si è diffusa una miglior consapevolezza del clima e delle fatiche, delle gioie e delle delusioni che, seppur nascosti, stanno dietro l’elaborazione di ogni documento. Nel dicembre 2015 il sito di informazione religiosa Vatican Insider ha chiesto a Cazzago, direttore della rivista teologica Communio e Provinciale dei Carmelitani Scalzi veneti, di contestualizzare il Concilio e di valutarne le realizzazioni e gli sviluppi nel tempo, a mezzo secolo dalla sua conclusione. 8 dicembre 1965 – 8 dicembre 2015: la ricorrenza del 50° anniversario della fine del Vaticano II è l’occasione per un bilancio. L’importanza non sta nella cifra: 50 o 100, ma nella cosa, nella realtà che si ricorda. Non si parla del Sinodo di una Chiesa locale e nemmeno del Sinodo dei vescovi come quello che si è svolto in Vaticano sulla famiglia.
Misericordia
Si parla di ciò che già nel 1965 il giovane vescovo di Cracovia, poi diventato Giovanni Paolo II, definì come un avvenimento epocale o il cardinale Giovanni Colombo, successore di Paolo VI a Milano, nel 1966 descrisse come una svolta epocale nella storia della Chiesa. Se non bastano questi riferimenti ci si può riferire alle parole di Francesco nella bolla di indizione dell’anno della misericordia quando scrive che la Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo l’evento del Concilio. Non va dimenticato, infatti, che in un Concilio è coinvolta la Chiesa intera e non solo la Chiesa di questa o quella nazione. Anche il superiore generale dei carmelitani, padre Anastasio Ballestrero, partecipò al Concilio. Il cardinale Ballestrero, che fu vescovo di Bari e di Torino e presidente della Cei dal 1979 al 1985, ebbe sempre un giudizio assolutamente positivo sul Concilio. Negli ultimi anni della sua vita ripeteva spesso che è necessario continuare a meditare i testi del Concilio e renderli ispiratori dell’opera quotidiana di ciascuno. Paragonava il Concilio ad una primavera che ha avuto anche forti acquazzoni ma dei quali non bisogna avere paura.
Modo di pensare
Intanto, però, molti chiedono un nuovo Concilio, un Vaticano III. A metà degli anni Settanta, il cardinale Pellegrino, conversando con il professor Giuseppe Lazzati disse che nella Chiesa qualcuno era ancora fermo al Vaticano I e che altri erano già passati al Vaticano III. In realtà il Concilio va apprezzato, prima che per le riforme a cui ha dato avvio, per il modo di pensare a cui ha dato forma. Paolo VI, ad una settimana dalla fine dei lavori conciliari, disse che il rinnovamento conciliare non si misura tanto dai cambiamenti di usi e norme esteriori, quanto dal cambiamento di certe abitudini mentali. Quindi, secondo padre Cazzago, sarebbe necessario verificare bene ciò che del Vaticano II è stato attuato e ciò che resta ancora da attuare. Questa richiesta era stata formulata anche da Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000 nella Novo Millennio Ineunte, la lettera nella quale paragona il Concilio ad una “bussola” che la Chiesa deve usare per orientarsi “nel cammino del secolo che si apre”. Le parole di Giovanni Paolo II sono ancor più significative se applicate ad esempio alle Chiese dell’Europa dell’Est uscite solo dopo il 1989 dal lungo inverno della mancanza di libertà. E in particolare di quella religiosa.
Identità e vocazione
A giudizio di padre Cazzago, in fondo, il tema della Chiesa è stato “il” tema del Concilio. Dire Chiesa significa infatti dire popolo di Dio, significa dire identità e vocazione alla santità di questo popolo e in particolare della sua componente laicale. Quindi il capitolo della Lumen Gentium che parla della vocazione universale alla santità fu percepito da molti vescovi come un autentico punto di novità e forza. In pratica si tratta di ricostruire il percorso attraverso cui diventando cristiani si appartiene al popolo di Dio. Frutto del Concilio è anche la stagione dei movimenti ecclesiali. Oggi Francesco chiama tutti questi movimenti a collaborare all’unica e grande missione della Chiesa. Quella di “rendere presente Cristo in mezzo agli uomini”, come diceva Henri de Lubac. A sessanta anni dalla conclusione del Vaticano II la “sfida conciliare” è principalmente quella di verificare come, in che misura, con quali fatiche queste tematiche hanno plasmato la mentalità della Chiesa.