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La pandemia vista da un giovane in sedia a rotelle

Il 3 dicembre ricorre la Giornata Internazionale delle persone con disabilità la quale fu istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 dopo un lungo cammino che ebbe inizio con la proclamazione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1981 come Anno Internazionale delle persone con disabilità che aveva come obiettivo la definizione da parte di tutti i Paesi membri di un piano d’azione per garantire l’inclusione, la riabilitazione e le pari opportunità di tutte le persone con disabilità il quale portò alla proclamazione del Decennio delle persone con disabilità dal 1983 al 1992.

Mi chiamo Christian Cabello, ho compiuto da pochi mesi 30 anni, sono nato al sesto mese di gestazione ed il cordone ombelicale attorcigliato attorno al collo mi ha causato una asfissia da parto che mi ha portato conseguentemente ad avere una P.C.I. – acronimo di Paralisi Celebrale Infantile – la quale mi ha causato una gravissima lesione degli arti inferiori. Nonostante la disabilità e i numerosi interventi chirurgici la mia vita è trascorsa normalmente, ho conseguito una laurea triennale in storia, lavoro in un consorzio di cooperative sociali operanti nel terzo settore, ho tre grandi passioni: la Polizia di Stato di cui avrei tanto desiderato indossare l’uniforme per servire il mio Paese e la pratica di sport a livello amatoriale con una particolare predilezione per la handbike  ed sogno di conseguire la laurea magistrale in scienze politiche con l’obiettivo di poter provare a sostenere il concorso di accesso alla carriera prefettizia. Non ho mai temuto la mia condizione invalidante e penso che sia utile ricordare – anche e soprattutto in questa giornata – che la disabilità non deve e non può costituire un ostacolo all’inclusione e alla realizzazione di una vita piena e soddisfacente.

Questa importante ricorrenza – nell’anno 2020 – è irrimediabilmente segnata dalla pandemia dovuta alla diffusione del virus denominato Covid-19 il quale ha profondamente segnato la vita di tutti ma – in particolare delle persone con disabilità e delle relative famiglie – che, vista la condizione di debolezza dovuta alle rispettive patologie pregresse, in questo periodo necessitano di ulteriori attenzioni e cautele per preservare la loro incolumità.

Ricordo nitidamente l’arrivo dell’emergenza sanitaria in Italia, il 21 febbraio a Codogno, Mattia – il paziente uno – il quale ci ha fatto capire che nessuno è immune da questo virus, quindi è necessario proteggere noi stessi ma soprattutto gli altri.

I giorni trascorrevano lenti e ricolmi di tensione fino al 10 marzo quando, con l’inizio del primo lockdown, che ha inciso per sessantanove giorni sulle vite di ognuno di noi mutandole irrimediabilmente e facendoci capire nel contempo l’importanza degli affetti nel senso più profondo ed autentico del termine.

Durante il lockdown le mie giornate trascorrevano con lentezza ed in esse si alternava il lavoro agile, la lettura e la scrittura unite a fugaci uscite di casa per l’acquisto di generi di prima necessità. Il sentimento che in queste giornate albergava nella mia mente era la preoccupazione per mia madre Lorenza operatrice socio sanitaria, per la mia famiglia, per tutte le persone fantastiche impegnate nel comparto sanità e per le Donne e gli Uomini delle forze dell’ordine, miei fratelli in uniforme, che in condizioni oltremodo difficili hanno saputo garantire la sicurezza di tutti noi.

Essere disabile nei giorni dell’isolamento sociale più aspro mi poneva spesso di fronte ad un interrogativo a cui – allo stato attuale – non mi sono ancora dato una risposta: in un momento in cui tutte le persone sono più fragili riusciremo a porre le fondamenta per diventare persone migliori ma soprattutto una società migliore?

Dopo quasi due mesi il primo lockdown è giunto al termine e, con cautela, ho ricominciato a riprendere in mano la vita di tutti i giorni ma soprattutto a dare il giusto valore ad affetti e a momenti che prima tendevo a dare per scontati quali ad esempio: gli affetti familiari, un paesaggio, le corse in handbike. Ricordo con grande emozione l’incontro con i miei familiari dopo mesi di distanza che mi ha fatto battere forte il cuore, la prima corsa in handbike con Pietro – fulgido esempio di Uomo e servitore dello Stato – che anche in questi mesi oltremodo tetri – ha saputo starmi vicino ed insegnarmi il significato più profondo e bello del termine fratellanza.

L’arrivo della stagione autunnale ha portato con sé una recrudescenza del virus Covid-19 ma, grazie all’aiuto della mia famiglia e dei miei amici fraterni, ho maturato la consapevolezza che chi ha una disabilità ha un valore aggiunto in termini di vissuto emotivo che in questo momento di grande difficoltà è fondamentale per creare una società migliore all’insegna dell’empatia e dell’altruismo.

La Giornata Internazionale delle persone con disabilità in questo frangente oltremodo difficile deve quindi costituire una fulgida luce che guidi le istituzioni deputate affinché ogni ostacolo all’inclusione delle persone con fragilità sia rimosso e contestualmente vengano creati ulteriori servizi e potenziate le normative a tutela delle stesse. Desidero ora rivolgermi a tutte le persone con disabilità affinché ognuno di noi continui ad essere di esempio e di aiuto al prossimo grazie al modo in cui eroicamente si superano le difficoltà legate alla disabilità nella vita quotidiana, così facendo daremo un contributo fondamentale ed imprescindibile al miglioramento nostro Paese.

In ultima istanza desidero rivolgere un sentito ringraziamento a Don Aldo e a tutta la redazione di In Terris in quanto, ogni giorno, con vivo altruismo ed incommensurabile spirito di servizio, su questa testata giornalistica si dà la giusta attenzione a coloro che non hanno forza sufficiente per alzare la voce ma, nonostante ciò, hanno molto da donare alla collettività intera.

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