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“Pancreas artificiali”: cosa sono e come cambiano la vita di una persona con diabete

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Misurare la glicemia, contare i carboidrati, iniettare l’insulina, andare a letto con la paura di non avvertire un’ipoglicemia o di risvegliarsi con la glicemia alta. Sono alcune azioni e preoccupazioni che quotidianamente vive una persona affetta da diabete di tipo 1, patologia cronica, autoimmune dipendente da un’alterazione del sistema immunitario – come viene spiegato sul sito del Ministero della Salute – che comporta la distruzione di cellule dell’organismo riconosciute come estranee e verso le quali vengono prodotti degli anticorpi (autoanticorpi) che le attaccano. Nel caso del diabete tipo 1, vengono distrutte le cellule del pancreas che producono insulina (cellule beta).

Cos’è l’insulina

L’insulina è l’ormone che regola i livelli di glucosio (zucchero) nel sangue e, come una chiave che apre una porta, ne permette l’ingresso nelle cellule per essere utilizzato come fonte di energia. Il principale segno della malattia è, perciò, l’eccesso di glucosio nel sangue (iperglicemia).

L’unica terapia possibile

Attualmente, non esiste una cura per il diabete di tipo 1 e l’unica terapia possibile è a somministrazione di ciò che il corpo di chi soffre di questa patologia non produce più, ossia l’insulina. Le persone affette da diabete di tipo 1 devono sottoporsi per tutta la vita a una terapia insulinica. L’insulina viene somministrata con una terapia multiniettiva, cioè più iniezioni al giorno.

I “pancreas artificiali”

Negli ultimi anni, fortunatamente, la ricerca ha compiuto dei passi da gigante. Non si è ancora arrivati a una cura definitiva, ma sono stati sviluppati dei dispositivi che aiutano il paziente diabetico nel controllo dei valori della glicemia. Ciò permette alle persone di affrontare in maniera più semplice e serena la vita quotidiani. Questi dispositivi vengono chiamati “pancreas artificiali“: sono composti da un sensore che monitora costantemente il glucosio ed è collegato ad una pompa ad insulina che eroga l’ormone in quantità adeguate alla necessità del paziente grazie ad un algoritmo. Riuscire a controllare i livelli di glucosio in un determinato range, infatti, permette di diminuire il rischio di complicazioni dovute allo scompenso diabetico.

L’intervista

Per approfondire l’argomento, Interris.it ha intervistato il dottor Federico Boscari, diabetologo dell’Unità ospedaliera complessa Malattie del Metabolismo Azienda ospedale-Università di Padova, e membro della Sid (Società italiana di diabetologia).

Dottor Boscari, che differenza c’è fra “pancreas artificiale” e microinfusore?

“Il microinfusore è un dispositivo che permette di somministrare insulina a livello continuo sottocutaneo grazie a delle impostazioni che il clinico e il paziente concordano: si tratta quindi di un dosaggio fisso che il paziente eventualmente modula in base al valore della glicemia rilevato. Il ‘pancreas artificiale’, invece, è in uso in Italia da 4-5 anni e permette una modulazione automatica dell’insulina sulla base della rilevazione dei valori di glicemia fatti da un sensore che legge i valori del glucosio nel tessuto sottocutaneo. L’algoritmo interpreta queste letture ed effettua delle modifiche a carico dell’insulina che viene somministrata”.

Come si presenta visivamente il “pancreas artificiale”?

“E’ formato da un microinfusore, da un sensore per il monitoraggio continuo della glicemia; questi due elementi sono uniti da un algoritmo che il più delle volte è istallato all’interno del microinfusore. E’ collegato al corpo tramite un caterino e un ago sottocutaneo. In alcuni modelli, l’algoritmo può essere contenuto in una sorta di telecomando o in un’app per smartphone”.

Questo dispositivo, come cambia la vita del diabetico?

“La cambia dal punto di vista clinico, in quanto con il ‘pancreas artificiale’ il paziente riesce ad ottenere un miglioramento del controllo metabolico e glicemico e una riduzione del rischio di ipoglicemie. Inoltre, si assiste a un miglioramento della qualità della vita in quanto il paziente può ‘pensare meno’ al diabete”.

Quanto è importante che la glicemia rimanga nel range indicato? 

“Le complicanze dipendono dal tempo che il paziente trascorre in ‘iperglicemia’, valori della glicemia troppo alti, dalle grandi escursioni glicemiche, ma anche dalle ipoglicemie”.

I ‘pancreas artificiali’ riescono a fare delle “previsioni” sull’andamento della glicemia e quindi a prevenire situazioni potenzialmente molto rischiose. Quanto è importante questo per un paziente diabetico?

“Lo strumento esegue continuamente una previsione di quello che sarà l’andamento glicemico ed attua delle strategie di gestione della terapia insulinica per minimizzare il rischio di ipo o iperglicemie. E’ necessario tutt’ora l’intervento del paziente: questi sistemi sono chiamati ‘pancreas artificiali ibridi’ perché non sono completamente autonomi; il paziente è tenuto a comunicare al sistema che sta per mangiare o per svolgere attività fisica”.

Esiste la possibilità che i “pancreas artificiali” funzionino in modo errato?

“Si possono verificare ostruzioni o distacco del catetere, oppure può capitare che il sensore non rilevi la giusta quantità di glucosio nel sangue: questo può portare ad un’alterazione della glicemia. E’ importante, quindi, educare il paziente a riconoscere queste problematiche e quindi minimizzare i rischi”.

Si tratta di un dispositivo adatto a tutti i tipi di paziente?

“E’ molto importante identificare il paziente e quale sia il dispositivo giusto per le sue esigenze. Ci sono diversi modelli, quindi sta al clinico trovare quello più adatto per ogni persona. Il paziente, ovviamente, deve essere motivato, istruito, consapevole di quello che significa gestire la tecnologia e che abbia aspettative reali. Se si riesce a far coincidere tutti questi aspetti, i risultati saranno reali e anche la soddisfazione del paziente”.

Sono dispositivi sicuri?

“Sono estremamente sicuri, arrivano da anni di studi e sperimentazione. Sono sicuri ed efficaci. Il paziente molto spesso arriva in ambulatorio giustamente preoccupato e con mille dubbi, è intimorito dal cambiamento e di non riuscire a gestire la tecnologia. Se il medico riesce a istruirlo e a formarlo e si prende realmente in carico la persona, questi timori poi svaniscono. E questa è una grande soddisfazione”.

Manuela Petrini: