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Padre Lombardi ricorda Benedetto XVI: “Un teologo dalla grande profondità culturale, spirituale e umana”

l ricordo personale e professionale di padre Federico Lombardi su Benedetto XVI. L'intervista di Interris.it

Un uomo, un Pontefice, un teologo dalla grande profondità culturale e spirituale, ma anche umana. Ascoltava tutti con un’attenzione eccezionale. Era complesso, sì, ma si faceva comprendere da tutti e chi in passato ha travisato i suoi messaggi è perché non lo ha capito o voleva non capirlo”. E’ il ricordo che fa di Benedetto XVI padre Federico Lombardi, al fianco del Pontefice come direttore della Sala Stampa della Santa Sede dal 2006 al 2016. Un ricordo personale, ma anche professionale quello di padre Lombardi, che nella sua direzione della Sala Stampa ha dovuto anche affrontare momenti non facili e straordinari – nel senso letterale del termine – come il famoso “Discorso di Ratisbona” nell’omonima università nel 2006, l’incidente diplomatico all’Università La Sapienza nel 2007 e, ovviamente, la rinuncia al ministero petrino del 2013.

Padre Federico Lombardi, innanzitutto un suo ricordo personale di Benedetto XVI.

“I miei ricordi personali con Benedetto sono vari e connessi al tipo di servizio che svolgevo durante il suo pontificato per la Sala Stampa Vaticana e per le comunicazioni del Vaticano. Un ricordo molto distintivo è legato alla sua gentilezza e la sua attenzione nel rispondere alle domande in un modo ravvicinato, cioè quando ci si parlava, lui metteva perfettamente a proprio agio i suoi interlocutori, senza guardare dall’alto in basso, ma anzi con molta gentilezza e attenzione cercava di capire perfettamente quello che l’altra persona diceva. Ricordo in particolare che dopo le varie udienze di ogni giorno, aveva sempre la gentilezza di dirmi e raccontarmi praticamente quello che era avvenuto, gli argomenti di cui aveva parlato con una sinteticità e con una chiarezza assolutamente ammirevole. Era davvero una persona di una capacità di sintesi tale e di ordine di pensiero che posso dire di non averne conosciuto altre in tal modo. Una volta, per esempio, dovette registrare un piccolo messaggio alla vigilia di un suo viaggio in Germania e il tutto non doveva durare più di tre minuti. Io gli dissi che poteva poi dirmi tutti gli eventuali tagli o modifiche da fare in fase di montaggio e lui mi disse solo di dirgli quando era il momento di cominciare. Cominciò a parlare davanti alla telecamera e fece un discorso limpido, senza un momento di intoppo o incertezza e quando si fermò il timer segnava 2 minuti e 57 secondi. Questo la dice lunga sulla sua straordinaria capacità di formulare con estrema precisione, limpidezza e chiarezza i suoi pensieri. Questo suo modo di comunicare lo trasportava poi anche quando si relazionava con i giovani, in particolare nelle Giornate Mondiali della Gioventù. Si diceva spesso che lui facesse discorsi troppo complicati, ma secondo me era esattamente l’opposto. Parlava con profondità ma in modo assolutamente limpido. Semplicemente possiamo dire che Giovanni Paolo II e Francesco, a differenza sua, hanno impostato diversamente i loro discorsi con i giovani, con modalità di dialogo, anche interrompendosi con battute, applausi e dunque in modo più dialogico. Lui invece amava fare discorsi lisci, più ordinati e con un loro sviluppo. La conseguenza era che non amava essere interrotto, ma preferiva essere seguito. I giovani questo lo capivano molto bene e lo hanno sempre seguito con grande attenzione. Non si può assolutamente dire che fosse difficile nel senso di contorto o confuso, ma era profondo”.

Ricordiamo la sua vicinanza con i media vaticani, anche la presenza in Radio Vaticana. Questo suo modo di essere sempre cordiale e attento alle persone, cosa trasmetteva ai dipendenti e in generale a chi si occupava di comunicazione?

“Lui è stato sempre molto cordiale con tutti, non solo con i dipendenti. Sempre di un’estrema gentilezza e attenzione. La sua non era una cordialità ‘facile’ dello stile da pacca sulla spalla o da risate, ma con un rapporto sempre molto rispettoso, con il giusto senso della riservatezza ma sorridente e incoraggiante. Ricordo che venne a far visita per il 75esimo anniversario della Radio Vaticana e ci tenne a incontrare le persone di ogni sezione, lasciandosi fotografare e accettando i vari doni che i redattori gli fecero. Poi mi disse monsignor Gänswein (suo segretario personale, ndr) che nel pomeriggio si mise a rivedere i vari scatti con molta simpatia e piacere. Posso dire quindi che chi lo incontrò rimase colpito e ammirato dalla sua attenzione e dal suo rispetto per l’altro. Questo in generale in Benedetto XVI era un tratto distintivo ma non voleva dire non avere, allo stesso tempo, posizioni decise quando serviva o essere fermo nel difendere le idee e le argomentazioni per il bene della Chiesa. Questo lo sapeva fare molto bene, anche per gli strumenti intellettuali e cultura immensi che aveva. La sua amabilità rimaneva. Anche in questi ultimi anni, quando l’ho incontrato da Papa emerito, spesso accompagnando altre persone, ha accolto tutti con quel sorriso che rimaneva sempre impresso in tutti e con quella curiosità intellettuale nell’ascoltare il prossimo, di capirlo e fargli domande altrettanto profonde”.

Lei prima ha detto che Benedetto XVI era sempre molto disponibile, in primis con lei, per raccontargli ciò che aveva detto nei suoi discorsi o ciò che voleva fare. Questo suo modo di fare l’ha aiutata nella comunicazione della Santa Sede? Pensiamo anche a momenti di certo non semplici come il discorso all’università di Ratisbona o la sua stessa rinuncia al Pontificato.

“I problemi nella comunicazione non venivano tanto da ciò che lui diceva o faceva, ma da chi non lo capiva o non lo voleva capire, anche perché c’erano dei pregiudizi. Lui da parte sua è stato sempre molto gentile e disponibile, secondo me anche chiaro e profondo. Egli stesso poi in alcuni casi ha riconosciuto di aver usato alcuni modi e generi comunicativi diversi da quanto si aspettava, come per esempio a Ratisbona”.

Cosa successe in quel caso e perché questi pregiudizi?

“Lui usò un genere accademico mentre invece veniva ascoltato da tutto il mondo in diretta da un pubblico estremamente vario e diverso rispetto alle persone accademicamente competenti a cui lui pensava di rivolgersi. Da questo punto di vista tutti possono avere la necessità di aggiustare il tiro o usare termini più facilmente comprensibili. Nel complesso, però, tutto ruotava intorno a chi era disposto a capire il senso positivo dei suoi messaggi e chi, invece, al contrario, era pregiudizialmente prevenuto nei suoi confronti e più pronto a fare delle critiche. Questa sicuramente è stata una situazione che si è avuta più volte nel corso del suo Pontificato. A mio parere uno dei motivi era anche il suo passato da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, vista dai critici come una figura di difesa o addirittura di censura nei confronti di altre posizioni diverse da quelle della Chiesa, mentre invece lui la svolse in modo secondo me mirabile anche essendo uno dei principali collaboratori di san Giovanni Paolo II. Aveva quindi una cattiva fama, di essere una sorta di custode dell’ortodossia, sicuramente non fondata e spesso senza motivo, ma che era controproducente perché alimentava, nel mondo della comunicazione, distanza e diffidenza nei suoi confronti. Su questo aspetto io personalmente l’ho sempre seguito, anche prima che diventasse Papa o Prefetto, e ho sempre visto nei suoi pensieri molta lucidità, equilibrio, compostezza e fu sempre esemplare”.

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