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“Pacem in Terris”: a Fabriano, un messaggio di pace attraverso la musica

Il maestro Aram Khacheh dirige la Filarmonica delle Marche nella serata che don Aldo Buonaiuto ha donato alla cittadinanza fabrianese: "La musica farà ciò che sa fare meglio"

Se è vero che la musica unisce i cuori, affidare agli strumenti e alle loro note un messaggio di pace potrebbe essere la soluzione giusta per riempire il vuoto delle piaghe dell’oggi. Armonizzare voci diverse affinché siano portatrici degli stessi temi, consegnando a chi ascolta non solo la bellezza delle melodie ma qualcosa di concreto su cui riflettere. Una missione, oltre che un momento d’arte. Del resto, fu il messaggio della Pacem in Terris di san Giovanni XXIII a risparmiare al mondo del Novecento l’oblio della distruzione reciproca e fatale. E se oggi possiamo ancora riflettere sull’importanza del dialogo e della fratellanza, è anche merito di quelle parole di riconciliazione.

Le stesse che la scaletta della Filarmonica delle Marche, diretta dal maestro Aram Khacheh, concilierà nell’armonia degli strumenti durante l’evento speciale che don Aldo Buonaiuto, nel venticinquesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, ha donato alla città di Fabriano. La locale parrocchia di San Nicolò diventa quindi, per una sera, luogo di bellezza, riflessione e anche di ringraziamento: “Stasera – ha spiegato a Interris.it il maestro Khacheh – la musica fa ciò che sa fare meglio: essere al servizio di un’idea”.

 

“Pacem in Terris”, ovvero la musica che prende in mano uno dei più importanti messaggi di fraternità umana della Storia. In scaletta, brani che abbracciano tante melodie… Maestro Khacheh, che serata ci aspetta?
“È un momento in cui la musica fa una delle cose che sa fare meglio: mettersi a servizio di un messaggio, di un’idea. La scaletta è stata concepita appositamente per far passare quei messaggi che don Aldo vuole che siano trasparenti in questa serata. Quindi abbiamo cercato di costruire il programma non in maniera usuale, per fare avere ai brani un filo conduttore o una pertinenza gli uni con gli altri, ma affinché siano al servizio del clima e del messaggio che la serata vuol dare. Andremo da sonorità energiche a brani molto più meditativi. Penso ad esempio all’Adagio di Barber e alla Preghiera, trascrizione di  Čajkovskij dall’Ave Verum di Mozart… Brani molto diversi tra loro al servizio del messaggio di don Aldo”.

Spetterà a lei dirigere la Filarmonica delle Marche, una realtà ormai fortemente radicata nel territorio e, di per sé, una possibilità per veicolare la musica e i suoi messaggi…
“Ho avuto modo di lavorare con loro molte volte. Da un lato sono ospite ma per come è andata la programmazione della Form, sono stato un ospite abbastanza ricorrente. Si tratta di una delle poche vere orchestre regionali d’Italia. Nei vari eventi posso dire di aver visitato praticamente tutte le Marche, toccando tutte le province e tutte le varie situazioni, dai teatri alle scuole fino ad altre iniziative di vario tipo. Questo fa onore alla Form, ossia lavorare su tutta la Regione che dà vita a questa fondazione. È una cosa rara e sicuramente molto impegnativa: l’Orchestra non ha una sede fissa, non ha punto fermo ma, d’altra parte, diventa un grande valore aggiunto per una regione che ha un’orchestra che può ritrovare in quasi tutte le aree del proprio territorio”.

A proposito di musica, in un momento storico di generi innovativi e apparentemente distanti dal mondo classico, come si avvicina un giovane all’orchestra? O, in generale, alla musica classica? 
“Dal punto di vista dello studio della musica, purtroppo la tendenza è negativa. Lo studio della musica ad alti livelli è un po’ disincentivato per vari motivi, anche per come si è evoluto l’ordinamento accademico. Su questo ancora non c’è stata un’inversione di tendenza che, invece, ho riscontrato dal punto di vista del pubblico. Nel periodo post-pandemico ho notato un ringiovanimento del pubblico. E questo, sicuramente, è anche in parte dovuto al lavoro che tante realtà, tra cui la Filarmonica marchigiana, fanno con le scuole”.

Progetti che funzionano?
“Quando si fanno i family concerto i progetti educational o tutto quello che ha che fare non direttamente con la programmazione principale delle orchestre ma con il ‘collaterale’, l’errore più grande che si può fare è farlo senza considerare che quei momenti sono importantissimi per la costruzione del pubblico del futuro. I ragazzi si lasciano affascinare da questo mondo. E lì bisogna lavorare tanto con tanti investimenti, economici e di energia. Perché funziona. Il lavoro è ancora molto lungo ma riuscire a togliere la barriera che divide il mondo classico dal pop, cioè dalla quotidianità di questi repertori, è molto importante. E devo dire che si può essere fiduciosi”.

La scuola è il primo approccio alla musica ma forse, a livello didattico, arriva in modo approssimativo…
“Bisogna cominciare prima. Inoltre, salvo rari insegnanti illuminati, quello che si affronta a scuola, da programmi ministeriali, è abbastanza avvilente. Tra febbraio e marzo avremo fatto venti tappe nelle scuole o in luoghi preposti. E lì è il momento giusto per agire, per far conoscere, scoprire… Questo è un investimento importante, perché sono progetti che hanno finanziamenti bassissimi. E, per questo, si fa fatica a farli. Bisogna però insistere e aumentarne la qualità. Anche i ragazzi delle medie, magari già più refrattari a questo tipo di iniziative, quando si trovano di fronte a qualcosa fatto bene, si lasciano a loro volta coinvolgere. E il ricordo che portano a casa è quello di un momento gradevole, di crescita e al quale magari torneranno a partecipare. Chiaramente, le percentuali di riuscita sono ancora basse. Ma su questi numeri dobbiamo lavorare e aumentare il bacino di utenza”.

Serve intervenire anche sulla formazione degli insegnanti?
“Purtroppo sì. Ma più che rinnovare la formazione degli insegnanti, ciò che è successo nell’ultimo mezzo secolo di ordinamento italiano è che c’è stata una netta divisione tra le carriere performative e quelle invece formative. In particolare per quel che riguarda i gradi di istruzione inferiori. Mentre nei conservatori il livello è più elevato, nelle scuole medie a indirizzo musicale è più raro trovare docenti che svolgano, allo stesso tempo, un’attività professionale o che siano in contatto quotidiano con il mondo della musica. Io stesso ho provato a stare nella scuola pubblica, proprio per tenere il filo tra la performance e la formazione. Ma, purtroppo, ho riscontrato un’inconciliabilità fra le due cose. È questo è un disincentivo”.

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