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Agenda Onu 2030, le fragilità del pianeta in 200 scatti ai Musei Reali di Torino

Fino al 19 febbraio squarci di un pianeta in pericolo: "Focus on future", ecco come le sfide del prossimo decennio vengono raccontate dai fotografi Alessandro Albert, Dario Bosio, Fabio Bucciarelli, Francesca Cirilli, Alessandro De Bellis, Pino Dell'Aquila, Nicole Depaoli, Luca Farinet, Luigi Gariglio, Antonio La Grotta, Matteo Montenero, Vittorio Mortarotti, Enzo Obiso e Paolo Verzone

Vademecum Onu per la sopravvivenza dell’umanità. In pericolo sono il Creato e le creature, come avverte papa Francesco. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione. Per le persone. Il pianeta. E la prosperità. E’ stato  sottoscritto sette anni fa dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite. L’Agenda Onu 2030 ingloba 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Target (Sustainable Development Goals, SDGs) che rientrano in un grande progetto condiviso. Per un totale di 169 traguardi globali. Una guida rivolta al mondo. Una strada da percorrere nell’arco dei prossimi anni. Entro, appunto, il 2030.
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Obiettivi Onu

“Focus on Future”: 14 fotografi raccontano le fragilità del pianeta. Ai Musei Reali di Torino200 scatti per l’Agenda Onu 2030. Alessandro Albert, Dario Bosio, Fabio Bucciarelli. Francesca Cirilli, Alessandro De Bellis, Pino Dell’Aquila. Nicole Depaoli, Luca Farinet, Luigi Gariglio, Antonio La Grotta. Matteo Montenero, Vittorio Mortarotti, Enzo Obiso e Paolo Verzone. Come in un “patchwork” documentano la “casa comune” in pericolo. Narrano le condizioni di vita sulla terra. Dalle scuole agli ospedali. Dalle metropoli alle foreste. Dalle accademie militari, alle carceri. Dai profughi siriani a quelli ucraini. Dall’Iraq alla Polonia. Dalle Svalbard all’Amazzonia. Quattordici fotografi professionisti propongono un inedito viaggio. Attraverso 200 straordinari scatti. Un itinerario dedicato alle situazioni di fragilità del pianeta. E’ la mostra “Focus on Future. 14 fotografi per l’Agenda Onu 2030″. Un’esposizione ideata da Enrica Pagella. Prodotta dai Musei Reali di Torino. E aperta fino al 19 febbraio 2023 nelle Sale Chiablese. Ad essere raffigurati sono squarci di Creato a rischi. E cioè il lento inesorabile scioglimento dei ghiacci al Circolo Polare Artico. L’impegno delle organizzazioni umanitarie per garantire un’istruzione regolare ai bambini dei campi profughi. La drammatica mancanza di risorse che mette in ginocchio l’Africa subsahariana. Ma anche ritratti di donne che hanno contribuito a compiere un importante passo avanti nella parità di genere.
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Testimonianze visive

L’esposizione nel capoluogo piemontese è curata da Bruna Biamino. E si inserisce tra i progetti che i Musei Reali dedicano agli obiettivi strategici di sviluppo sostenibile. Quelli indicati appunto nell’Agenda delle Nazioni Unite. “Le ricerche dei fotografi selezionati tracciano un disegno di testimonianze visive. Raffigurando le sfide globali che ci attendono – spiega la direttrice dei Musei Reali Enrica Pagella-. Si tratta di un messaggio che dalle Sale Chiablese si riverbera sul grande patrimonio dei Musei Reali. Ciò interroga i segni e le ragioni che nel passato ci aiutano a interpretare il presente. In un dialogo incessante tra mondi vicini e lontani“. Sulla scia dell’Agenda Onu 2030 è anche “Sempre verdi” (Einaudi). Saggio dai toni appassionati scritto a quattro mani da John Reid e Thomas Lovejoy. Scampoli di paradiso esistono davvero. Quelli in cui chi crede vede la mano di Dio. E chi non crede può celebrare la magnificenza di Madre Natura. Sono le più grandi foreste del mondo. Cinque in tutto. Ossia l’Amazzonia. Le megaforeste di Congo e Nuova Guinea. La Taiga russa. E la foresta boreale nordamericana.
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Ecosistemi in pericolo
Queste gigantesche aree boschive costituiscono ecosistemi ricchissimi. Da ogni punto di vista. Anche antropologico. Al loro interno, infatti, si parla un quarto delle 7 mila lingue viventi del Pianeta. E rappresentano polmoni verdi in grado di assorbire e neutralizzare le temibili emissioni di anidride carbonica. “Purtroppo da anni le stiamo distruggendo. Forse lo sappiamo. O forse non ci facciamo neppure caso. O magari lo riteniamo un problema marginale. Ma si tratta di un patrimonio inestimabile. Che dentro di sé contiene la sopravvivenza stessa del pianeta”, sottolineano gli autori. E aggiungono: “I frammentatori di foreste del passato erano ignari di una cognizione che noi oggi abbiamo. Non può andare avanti così. La salute del pianeta e dell’economia è incompatibile con un’ulteriore liquidazione delle foreste“. Il volume è una miniera di dati e informazioni. Un vero e proprio racconto sul campo. Realizzato visitando direttamente le foreste. Parlando con gli indigeni che vi abitano. E con esperti di varie discipline. Lo scopo è far comprendere la ricchezza incredibile di questi luoghi. Spiegando al pubblico quanto convenga, anche economicamente, salvare le foreste dalla morte certa.
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Sos carbonio

“E’ affascinante constatare quanto nelle grandi foreste la vita brulichi. E sia in continuo fermento – evidenziano gli studiosi-. Addirittura in questi territori boschivi continuano a essere scoperte specie nuove. Forme di vita sconosciute alla scienza. Che convivono con una grande varietà di popolazioni umane. Ma non è solo questo. Il problema centrale è il carbonio. O meglio il ruolo che le foreste hanno nel suo smaltimento. Preservare grandi quantità di carbonio nelle foreste intatte costa poco. Perché sono terre remote. E il processo è semplice”. Infatti “trattenere il carbonio nelle foreste tropicali è economico. Si spende un quinto rispetto a quanto serve per la riduzione delle emissioni del settore energetico e industriale Usa o Ue. Ed è almeno sette volte più conveniente che far ricrescere le foreste dopo averle abbattute”. Quindi “sorprende che questa opportunità sia tuttora sottovalutata. E passi sotto silenzio in quasi tutti i piani climatici nazionali“.

Dall’Onu agli Stati

John Reid e Thomas Lovejoy usano un linguaggio semplice. Raccontano storie e aneddoti.  Spiegano dati. Senza dimenticare di bilanciare il dato più “emozionale” con quello più razionale. Tante le proposte che a più livelli vengono presentate. Affinché le foreste abbiano la chance di rimanere “intatte”. Non si tratta solo di rinunciare al carbone o passare alle auto elettriche. C’è molto di più da fare, a ogni livello. Dal comportamento delle persone a quello degli Stati. Proprio dai leader delle nazioni ci si aspetta una assunzione di responsabilità. Con una serie di azioni da fare. A partire dalla possibilità di dare il controllo di queste zone boschive ai popoli indigeni. Che non solo conoscono le foreste come nessuno. Ma sentono ancora forte il legame. Onorando i loro obblighi nei confronti delle varie forme di vita non umana. “Occorre che i singoli Stati aumentino la percentuale di terre protette. Per limitare il disboscamento e l’edilizia stradale – avvertono gli autori-. Se si vuole contrastare il riscaldamento del pianeta le megaforeste sono fondamentali. Ecco perché serve un’etica della Terra condivisa. C’è urgente bisogno di un’economia che supporti la natura invece di cancellarla”. 

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