Le conseguenze della infodemia (eccesso di informazioni non vagliate) ai tempi di Omicron sono evidenti e sotto gli occhi di tutti. Alcuni esempi. “Abbiamo acquistato 600.000 cicli di terapia con antivirali da usare a domicilio. E ne abbiamo usati meno di 60.000. Così che ora corriamo il rischio concreto che vengano a scadenza- avverte l’infettivologo Giampiero Carosi-. E intanto, non si sa perché, si continuano a prescrivere a domicilio tachipirina e antibiotici. Altro esempio: vi è un diffuso scetticismo nella popolazione ad assumere la 3° dose aggiuntiva/booster. Questo di fronte a dati nazionali, precisi e puntuali, che documentano che la 3° dose di vaccino riduce dell’86% il rischio di incorrere in forme di malattia grave e di 7 volte il rischio di decesso. Nel frattempo continuiamo a contare un centinaio di decessi al giorno”. E appunto riguardo alle pubblicazioni realizzate e al confronto col diabete, è utile rimarcare che in due anni, il Covid 19 ha raggiunto un quarto delle pubblicazioni fatte sul diabete in un lunghissimo periodo.
No al “liberi tutti”
Omicron ha cambiato i piani ai fautori del “liberi tutti”. A Interris.it il professor Giampiero Carosi, uno dei più autorevoli infettivologi italiani, fa il punto sulla pandemia. “Luglio 2022 segna l’ennesimo ritorno della Covid-19 (si noti che 19 sta a indicare l’anno della sua comparsa)- afferma lo scienziato-. Ritorno annunciato con forti squilli di tromba da tutti i media, della carta stampata, della televisione, della Rete. E pensare che dopo la fiammata di gennaio (legata all’avvento della nuova variante Omicron) la pandemia di Covid era finita nei notiziari in seconda, terza fila. A seguito del lento declinare fra febbraio e giugno. Complice lo scoppio della guerra d’invasione della Russia in Ucraina. Complice l’allarme dell’inflazione che dopo anni di quiete aveva rialzato la testa“. E aggiunge l’infettivologo: “Il nostro sentimento, guidato dai media, aveva deciso che il problema era ormai alle spalle, che si poteva finalmente ‘tornare al mondo di prima’. Non è stato così”.
Sottovarianti di Omicron
Prosegue l’infettivologo: “Dopo avere imparato la sequenza delle varianti “preoccupanti” di SARS-CoV-2 (Alfa, Beta, Gamma, Delta), abbiamo appreso a nostre spese che esistono anche sottovarianti della variante Omicron. Battezzate Ba1, 2, 3 e soprattutto Ba4 e 5. Che oltrepassano di gran lunga la pericolosità dell’originale Omicron in termini di trasmissibilità e di evasione immunologica. Cioè contagiano 10 volte di più e di altrettanto aggirano la protezione conferita dai vaccini e dall’infezione naturale. Addirittura provocano infezioni non solo nei vaccinati”. Ma anche re-infezioni in chi ha superato una Covid provocata da altre varianti, anche dalla variante Omicron 1. “Questo perché la risposta ‘crociata’ in termini di anticorpi neutralizzanti è debole fra le diverse varianti e svanisce dopo alcuni mesi”, precisa il professor Carosi.
Panorama complesso
“Se questo è lo sfondo irto di problemi, quale migliore occasione per i media di tornare a battere la grancassa, dopo gli squilli di tromba?- si chiede lo scienziato-. Si tratta di fare tornare interesse e preoccupazione nella popolazione, che nel frattempo aveva iniziato a pensare ad altro. E come fare, se non sparando notizie, meglio se discordanti, per creare più vivo interesse? In effetti c’è da dire che anche la letteratura scientifica ci ha messo del suo offrendo un panorama estremamente complesso e variegato”. Prosegue il professor Carosi: “Sono state sfornate centinaia di migliaia di pubblicazioni, che ormai hanno raggiunto il numero delle pubblicazioni ad esempio sul diabete. Ma sulla Covid-19 in 2 anni, sul diabete in 2 secoli. Così, di fatto in questo campo si trova tutto e il contrario di tutto, anche certificato da scienziati e gruppi di ricercatori qualificati e illustri”. Infatti, puntualizza l’infettivologo, “è proprio del metodo scientifico non pretendere di raggiungere verità assolute. Ma procedere per tappe successive. In cui un risultato rappresenta il punto di partenza per un nuovo dubbio, una nuova ipotesi da sottoporre a verifica“.
Il ruolo dei media
Pertanto “i media possono costruire su questa base brillanti talk-show che apparentemente sono basati sulla scienza. Ma che in realtà hanno finalità di puro spettacolo”, osserva il professor Carosi. “Cosa di meglio infatti che mettere a confronto su due poltrone televisive o su due colonne di giornali due opinioni opposte di reputati esperti? Dire si o no alla 3° e 4° dose di vaccino, si o no a mantenere o abbandonare la mascherina facciale in ambiente chiuso e così via- chiarisce lo scienziato-. In realtà tutti gli esperti trovano fondamento scientifico per qualsiasi ipotesi poiché le fonti sono innumerevoli. Basate su ricerche condotte in tempi differenti, in situazioni ambientali diverse, su popolazioni diverse etc”. Pescando informazioni in questo “mare magnum” di tutto e il contrario di tutto, “ogni spettatore può trovare conferme all’opinione che si è formata (o che è stata indotto a formarsi)”. E asserire sussiegosamente: “Non lo dico io, lo dice il tale che è un grande esperto (magari un premio Nobel) e scusate se è poco”.
Scienza spettacolo
“Tutti hanno ragione allora? No, il fatto è che la scienza non può diventare spettacolo ma la nostra è ormai in larga misura diventata società dello spettacolo in cui il metro di giudizio è la quantità di followers o la notorietà televisiva comunque acquisita- rispone il professor Carosi-. Concetti questi accettati da tutti, inclusi qualificati esperti che non riescono a sottrarsi a piccole vanità. Ma arrivando al nocciolo del problema, la ricaduta più importante e paradossale di questa “infodemia” (epidemia dell’informazione, mai termine applicato alla Covid fu più calzante) è la sfiducia nella scienza”. Il paradosso, aggiunge lo scienziato, “consiste nel fatto che in questi due anni tanto abbiamo appreso sulla prevenzione, sul trattamento, sull’epidemiologia del Covid. Ma altrettanto gravemente siamo inciampati sull’applicazione sociale degli strumenti. Dei vaccini, degli antivirali, del distanziamento sociale, delle mascherine facciali e così via. O meglio, siamo inciampati sulla comunicazione, chiara e univoca, delle direttive d’impiego di questi strumenti”.