Il tipico fraintendimento di comunicazione sulle malattie rare è che siano…rare. Lo sono nel senso che ognuna di esse colpisce poche migliaia di persone (sono infatti definite rare le condizioni con una frequenza nella popolazione inferiore a 5 affetti ogni 10.000 abitanti); a volte colpiscono solo poche decine di persone, come avviene per quelle ultra rare (1 paziente su 50.000 abitanti).
Ma le tipologie di malattie rare ad oggi scoperte sono circa 8mila. Questo significa che il numero complessivo dei “malati rari” è in Italia di 2 milioni di persone, il 70% dei quali in età pediatrica. Trecento milioni nel mondo.
Sono dunque malattie rare nella loro specificità, ma nell’incidenza complessiva non sono rare per niente. Inoltre, sono patologie che richiedono nella maggioranza dei casi di essere seguite per tutta la vita, con un peso specifico rilevante sulla quotidianità del paziente e della sua famiglia.
Per tali motivi, quando si parla di salute, è necessario comunicare in modo corretto e comprensibile ogni tipo di informazione e notizia. E questo vale ancora di più dinanzi a patologie come le malattie rare che sono in continuo divenire; così come lo sono la ricerca, le nuove tecniche di diagnosi (sempre più evolute, specie con l’introduzione della IA) e di terapia, se non (quando possibile) di cura.
Per la XVII Giornata delle Malattie Rare (Rare Disease Day) che si celebra ogni anno il 29 febbraio, Interris.it ha scelto di focalizzare l’argomento sul ruolo dell’informazione intervistando la dott.ssa Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore responsabile dell’Osservatorio Malattie Rare (O.Ma.R), la prima ed unica agenzia giornalistica, in Italia e in Europa, dedicata alle malattie rare e ai tumori rari.
L’intervista a Ilaria Ciancaleoni Bartoli di O.Ma.R
Perché ha sentito la necessità di creare un Osservatorio sulle Malattie Rare?
“Nel 2010, quando ho deciso di fondare Osservatorio Malattie Rare il mondo della ricerca conosceva già le malattie rare ed era impegnato nella ricerca, anche se c’erano pochissime terapie, ma era un tema lontano dall’opinione pubblica. Erano note solo alcune patologie, come la Sla, perché avevano avuto dei pazienti famosi, come il calciatore Stefano Borgonovo, o la Fibrosi Cistica per il grande impegno della famiglia Marzotto. Non c’erano siti, né tanto meno giornali, dove le persone potessero informarsi facilmente: quello che era disponibile era sporadico, non aggiornato, oppure molto scientifico e non sempre comprensibile a tutti. Ho pensato che sarebbe stato utile mettere a disposizione di tutti delle informazioni chiare, aggiornate, comprensibili e al tempo stesso corrette, sulla ricerca in corso, sulle attività dei centri esperti e delle associazioni, e utilizzare anche la comunicazione sui social per creare una rete tra le persone, che fossero medici, pazienti, famiglie o istituzioni. E così ho messo a disposizione della comunità uno strumento, il primo quotidiano on line, gratuito e accessibile, in italiano: il numero di lettori e di contatti ricevuti fin da subito ha confermato che ce n’era bisogno e che bisognava proseguire a fare quella che chiamiamo informazione di servizio: un’informazione non fine a sé stessa ma che vuole contribuire al miglioramento della vita delle persone”.
Qual è il ruolo dell’informazione quando si parla di malattie e tumori rari?
“L’informazione può fare molto, se fatta con attenzione scientifica e alla sensibilità delle persone. Raccontare cosa fa la ricerca serve a chi è affetto da una patologia rara a sentirsi meno solo, a capire se può sperare nell’arrivo di una terapia, o magari a trovare una sperimentazione clinica alla quale partecipare, o – al contrario – se non ci sono prospettive a breve termine. Anche questo è importante, perché in passato abbiamo visto tante notizie con pochi fondamenti circolare, illudere le persone, a volte addirittura truffarle: una corretta informazione non deve tentare ad ogni costo di dare una speranza terapeutica. Però può fare altro…”.
Cosa?
“Può permettere di entrare in contatto con altre persone affette dalla stessa malattia rara, anche se vivono lontane, e creare una rete. A volte, grazie alle nostre notizie e storie, si sono anche creati legami tra le persone che hanno portato alla nascita di una associazione. Potersi riconoscere in un gruppo, anche se piccolo, è importantissimo nelle malattie rare, dove spesso la sensazione di isolamento è forte”.
L’informazione divulgativa è utile anche per il mondo scientifico?
“Sì, lo è anche per il mondo scientifico perché, se da una parte ci si forma e informa su riviste scientifiche, dall’altra uno strumento snello, di facile consultazione, può essere utile per avere un colpo d’occhio su ciò che fanno altri colleghi, e cogliere al volo novità da approfondire poi nelle sedi per ciascuno più adeguate”.
In che modo l’informazione interessa le istituzioni?
“In vari modo. L’informazione può innanzi tutto sensibilizzare le istituzioni nazionali e locali a dare attenzione alle persone con malattie e tumori rari, a comprendere meglio i bisogni e a migliorare la loro vita quotidiana, che non è fatta solo di terapie, ma anche di assistenza, di aiuti economici, di rimozione delle barriere. Può inoltre denunciare situazioni di grave difficoltà o di mal funzionamenti delle cose, e contribuire a risolvere situazioni difficili: questo vale per le malattie rare come per ogni altro ambito. Essere un ‘Osservatorio’ è anche questo, vedere, analizzare, sentire pareri, denunciare pubblicamente i problemi ed essere costruttivi nella ricerca di soluzioni. Infine, ma non meno importante, l’informazione può abbattere anche le barriere culturali che derivano dalla non conoscenza: ciò che non conosciamo ci fa paura, allontana. L’informazione è un alleato fondamentale per la costruzione di una società veramente inclusiva”.
Qual è il principale pericolo della comunicazione quando si scrive di salute?
“La comunicazione è uno strumento potente, e come tutte le cose che possono fare molto bene può anche fare male, soprattutto nell’ambito della salute. Quando ci si rivolge a persone affette da malattie gravi e ai loro familiari bisogna considerare che in molti casi c’è una vulnerabilità di fondo, può esserci la voglia di credere in qualsiasi cosa che rappresenti una speranza, ma può anche esserci la paura di intraprendere una terapia. Se non si è equilibrati nel dare speranze o nel mettere in evidenza possibili rischi c’è il pericolo che le informazioni vengano percepite in maniera distorta, perché in certi momenti della vita è possibile ‘capire solo ciò che si vorrebbe sentire’. Non si può eliminare del tutto questo pericolo, ma bisogna cercare di essere il più possibile chiari ed essere poi pronti a rispondere alle domande di chiarimento, o ad avere qualcuno esperto che possa farlo. Peggio però quando la comunicazione viene utilizzata per manipolare, per creare volontariamente false illusioni; oppure quando pur di ottenere lettori – o ‘click’ – si cavalcano notizie non verificate e sensazionalistiche pur di ottenere attenzioni. Questo lo abbiamo visto purtroppo tante volte, ad esempio durante il periodo Covid, o nei casi di ‘diete miracolose’ ma addirittura pericolose per la salute. Si tratta sempre di comunicazione, ma in questo caso invece di portare informazione porta disinformazione, comporta un pericolo, e apre le porte ai truffatori”.
Come evitare tutto questo?
“Per evitarlo ci vuole prima di tutto un’etica forte, un reale interesse a dare un servizio e un aiuto ai lettori, e magari anche un valido supporto scientifico. Per questo noi di O.Ma.R abbiamo scelto di avere un comitato scientifico molto ampio, più di 70 specialisti, e con competenze molto differenti tra loro, così da poter sempre trovare qualcuno pronto a spiegare anche i temi più particolari e difficili”.
Cosa auspica O.Ma.R per la 17esima Giornata Mondiale delle Malattie Rare?
“Il claim che abbiamo scelto quest’anno è ‘BASTA ESSERE PAZIENTI Persona rare – diritti Universali‘ ed evidenzia due messaggi che per noi sono estremamente importanti. Il primo è che chi ha una malattia o un tumore raro deve essere considerato prima di ogni altra cosa una persona, un essere umano con la sua vita, i suoi interessi, la sua socialità, non ‘solo’ un paziente i cui bisogni si esauriscono nella cura dei sintomi”.
Il secondo messaggio?
“Il secondo è più rivolto alle istituzioni: le persone con malattia rara spesso hanno problemi che potrebbero essere risolti facilmente, difficoltà burocratiche che potrebbero essere eliminate, limiti nei più basilari diritti – come l’inclusione scolastica o la mobilità. Queste persone hanno atteso fin troppo una soluzione a questi problemi, quindi ‘BASTA ESSERE PAZIENTI’ è anche il grido, se pur educato, di chi chiede alle istituzioni di agire in fretta, di attuare delle norme già esistenti ma poco o male applicate, di usare al meglio le risorse disponibili. Per questo abbiamo promosso una petizione in 10 punti molto pratici che vorremmo che le istituzioni e le autorità ad ogni livello facessero proprie, ognuno agendo sulle cose nelle quali ha potere”.
Quali sono i 10 punti della petizione?
“I punti fondamentali della petizione sono: 1. Necessità di sviluppare una cultura della consapevolezza, prevenzione e considerazione del rischio nell’ambito della salute riproduttiva; 2. Diritto a una diagnosi il più precoce possibile; 3. Necessità di garantire dei PDTA uniformi sul territorio nazionale; 4. Accesso equo e uniforme alle terapie disponibili; 5. Necessità di un aggiornamento della lista delle malattie rare presenti nei LEA e presa in carico delle persone con malattia rara senza diagnosi; 6. Garantire una soddisfazione dei bisogni assistenziali adeguata alle esigenze delle persone e delle famiglie, in maniera uniforme sul territorio nazionale; 7. Riconoscimento e supporto al caregiver familiare; 8. Politiche adeguate a far fronte ai casi di carenza dei farmaci; 9. Garantire l’esercizio dei diritti in ambiente di vita sociale, scolastica lavorativa e affettiva, attraverso il pieno riconoscimento del diritto all’inclusione; 10. Sostegno alla ricerca e implementazione della comunicazione anche in tema di trial clinici”.
L’obiettivo?
“Migliorare la vita di oltre 2 milioni di persone e delle loro famiglie”.