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Tokyo-Pisa: accordo sulle neuroscienze

neuroscienze

Foto di GuerrillaBuzz su Unsplash

L’obiettivo delle neuroscienze è comprendere la struttura, lo sviluppo e il funzionamento del cervello e del sistema nervoso. Studiando la sua anatomia e le connessioni osservabili tra aree cerebrali e comportamenti. È stato sottoscritto a Pisa un accordo tra il Laboratorio di Biologia della Scuola Normale Superiore (BIO@SNS) e l’International Research Center for Neurointelligence (IRCN) dell’Università di Tokyo. Alla firma dell’accordo sono intervenuti per la Scuola Normale il direttore Luigi Ambrosio e il direttore di BIO@SNS Tommaso Pizzorusso. Per l’Università di Tokyo era presente il direttore di IRCN Takao Hensch. In particolare l’intesa mira a promuovere scambi di ricercatori, studenti e idee tra le due istituzioni. Favorendo l’avanzamento delle conoscenze sui meccanismi alla base della neurointelligenza. E offrendo un preziosa opportunità di maturare esperienze in nuovi ambiti delle neuroscienze. Grazie a questa collaborazione, saranno avviati progetti congiunti che affrontano le sfide più complesse nel campo della ricerca neuroscientifica. L’International Research Center for Neurointelligence è stato fondato nel 2017. Ed è un laboratorio all’avanguardia per le ricerche riguardanti i principi alla base dello sviluppo dei circuiti neurali e i disturbi ad esso legati. La struttura si avvale anche di approcci computazionali per sviluppare una nuova disciplina che integri intelligenza umana e artificiale.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Focus-neuroscienze

Il focus scientifico della ricerca presso Bio@SNS è lo studio del cervello. In particolare le basi molecolari e cellulari dello sviluppo neuronale. Le interazioni tra fattori genetici ed ambientali nello sviluppo cerebrale e nei disordini del neurosviluppo. La biologia delle cellule staminali. La neurodegenerazione e l’invecchiamento. Con questo accordo, che ha validità di 5 anni, i due centri di ricerca potranno contare sulla condivisione di informazioni e intelligenze per sviluppare linee comuni di studio e far progredire i rispettivi campi di interesse. Il direttore della Scuola Normale e il direttore dell’IRCN e quello di BIO@SNS si sono detti entusiasti per questa nuova opportunità. Sottolineando come l’accordo rappresenti un passo significativo verso una scienza sempre più globale e interdisciplinare. Intanto progredisce la ricerca scientifico sulle malattie neurodegenerative. Ulteriori test al computer hanno mostrato che i livelli ematici di acetil-L-carnitina e carnitina libera erano allineati in proporzione diretta nei partecipanti allo studio con livelli aumentati di beta amiloide e proteina tau aggrovigliata. Da tempo considerati marcatori di gravità progressiva nella malattia di Alzheimer. La diagnosi di gravità della malattia di Alzheimer è infatti passata da poco più dell’80% con l’utilizzo di livelli di beta amiloide e proteina tau aggrovigliata raccolti dal liquido cerebrospinale o le due molecole del sangue. Al 93% con l’utilizzo di entrambi i valori. Lo studio ha analizzato dati di due gruppi separati di uomini e donne in Brasile e California, pari a 93 volontari con diagnosi di vari gradi di compromissione cognitiva. E a 32 uomini e donne cognitivamente sani di età, peso e istruzione simili, in cui sono stati misurati i livelli ematici delle due molecole.

Foto di Robina Weermeijer su Unsplash

Ricerca scientifica

I risultati del gruppo californiano sono stati utilizzati per confermare quello del gruppo brasiliano. “I risultati sembrano dimostrare che bassi livelli ematici di acetil-L-carnitina e carnitina libera possano agire come biomarcatori del sangue per identificare pazienti con malattia di Alzheimer e potenzialmente persone a maggior rischio per lo sviluppo di demenza precoce ma anche la diversità di malattia fra uomini e donne“, sottolinea Betty Bigio. Ricercatrice principale dello studio e professore associato di ricerca presso il Dipartimento di Psichiatria della Nyu Grossman School of Medicine e affiliato al Nathan Kline Institute for Psychiatric Research. “Il calo dell’acetil-L-carnitina e della carnitina libera è strettamente correlato alla gravità della malattia di Alzheimer. I percorsi molecolari coinvolti nella loro produzione offrono altri possibili obiettivi terapeutici per arrivare alla causa principale della malattia e potenzialmente intervenire prima che si verifichi un danno cerebrale permanente”, aggiunge Carla Nasca, ricercatrice senior dello studio. Professore associato presso i Dipartimenti di Psichiatria e Neuroscienze della Nyu Grossman School of Medicine e affiliato al Nathan Kline Institute for Psychiatric Research.

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Pioniere

Studioso della coscienza che si era fatto una fama come studioso di esperienze pre-morte, il neuropsichiatra britannico Peter Fenwick è morto nella sua casa di Londra all’età di 89 anni. La notizia della scomparsa è stata data ora dalla figlia Annabelle Fenwick al “New York Times“. Peter Brooke Cadogan Fenwick era nato il 25 maggio 1935 a Nairobi. In Kenya il padre era stato mandato dalla famiglia, originaria del nord dell’Inghilterra, a coltivare caffè. Laureato in medicina e dottore in psichiatria, era membro del Royal College of Psychiatrists and Neoropsychiatrists. E’ stato consulente di neuropsichiatra al Maudslay Hospital, l’ospedale universitario più avanzato in Gran Bretagna, al John Radcliffe Hospital di Oxford e al Broadmoor Special Hospital. Si è occupato di ricerche in qualità di professore incaricato all’Institute of Psychiatry ed era consulente onorario al St Thomas Hospital di Londra. Per oltre mezzo secolo Fenwick ha studiato il punto di intersezione mente-cervello ed il problema della coscienza, le esperienze di pre-morte. Le visioni sul letto di morte e i fenomeni “di confine” ad essa collegati. Da metà degli anni Settanta Fenwick iniziò a studiare le esperienze di pre-morte, un argomento controverso nelle neuroscienze. Riteneva che la coscienza esistesse oltre la morte fisica e iniziò a raccogliere centinaia di testimonianze per lettera. Il dottor Fenwick inviò agli autori delle lettere un lungo questionario per classificare le loro esperienze. Ha presentato i suoi risultati, insieme a estratti delle lettere, nel libro “La verità nella luce. Una indagine su 300 casi di ‘ritornati’ dall’aldilà” (Hermes Edizioni, 1999), scritto insieme alla moglie Elizabeth Fenwick. Il libro lo ha consacrato come una delle principali autorità negli studi sulla pre-morte.

Foto di Drew Hays su Unsplash

Esperienze di pre-morte

Per il libro uscito nell’edizione inglese nel 1995 il dottor Fenwick esaminò più di 2.000 lettere ricevute da persone che sostenevano di aver avuto esperienze di pre-morte. Il suo studio ha rivelato sorprendenti somiglianze tra gli autori delle lettere. Più del 50% di loro ha raccontato di aver viaggiato in un tunnel. Il 72% ha visto una luce intensa. Quasi il 40% ha incontrato qualcuno che conosceva, compresi parenti deceduti. Il 72% ha dichiarato di aver preso la decisione di tornare. Per decenni i neuroscienziati hanno liquidato le esperienze di pre-morte come sintomi di anossia, cioè di mancanza di ossigeno al cervello. Il dottor Fenwick ha confutato questa valutazione in “La verità nella luce”, facendo riferimento all’addestramento dei piloti. “I piloti in addestramento si sottopongono regolarmente ad anossia acuta nei simulatori per assicurarsi di riuscire a indossare le maschere di ossigeno in tempo – ha scritto Fenwick – Quelli che non riescono a farlo non hanno esperienze di pre-morte. O perdono i sensi o diventano così confusi da cercare di far atterrare i loro aerei sulle nuvole“. Ha anche respinto un’altra critica comune alle esperienze di pre-morte: che siano allucinazioni comuni, come quelle sperimentate da persone con la febbre alta. “Ma descriverle come allucinazioni non spiega il meccanismo sottostante e lascia senza risposta molte delle stesse vecchie domande“, ha scritto Fenwick. ”Perché tutti dovrebbero avere più o meno la stessa allucinazione nelle stesse circostanze? E perché dovrebbe sembrare così reale?

Giacomo Galeazzi: