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Nel nome del pane: la storia di Sayed

L'intervista di Interris.it ad Andrea Accorsi, autore del libro "Nel nome del pane": un romanzo che racconta la storia reale di Sayed

Da Islamabad fino a Bologna. Nel mezzo i pericoli, le violenze e le privazioni che ha dovuto affrontare percorrendo la rotta balcanica. La storia di Sayed inizia in Pakistan, con una fuga rocambolesca dalla sua stanza per non essere catturato dall’Isi, l’intelligence del suo Paese. Un taglio netto che lo separa dolorosamente dalla sua famiglia. Iniziano così i 615 giorni di viaggio, con lui altre ventuno persone, ma in Italia ne arriveranno solo tre.

Un viaggio lungo una vita

Il diciottenne Sayed si trova così a percorrere a piedi chilometri su chilometri, in fuga come clandestino. Nella sua quotidianità non ci sono più sogni, ma paura e fame. A volte, c’è solo un piccolo pezzo di pane con cui sfamarsi, un cibo essenziale che con il suo profumo lo riporta ai giorni felici con la sua famiglia, quando si ritrovava con i suoi cari nella cucina di casa.

Nel nome del pane

E sarà proprio il pane un elemento che lo accompagnerà nel futuro. Infatti, Sayed arriva a Bologna dove, nel forno di Piero, non troverà solo un lavoro dignitoso, ma una famiglia e una nuova vita. La storia di questo giovane è raccontata da Andrea Accorsi nel romanzo “Nel nome del pane” edito da Minerva. “Questa storia mi è stata donata da Piero, mio migliore amico e proprietario del forno di Zola Predosa dove, alla fine del viaggio è arrivato il protagonista del libro – spiega a Interris.it Andre Accorsi -. Mi racconta l’incredibile viaggio di questo ragazzo durato due anni, durante i quali ha percorso anche la rotta balcanica a piedi”.

Un posto nel mondo

Andrea decide di raccontare in un romanzo la storia di questo giovane: “Nonostante abbia subito tutte le possibili, e avolte inenarrabili vessazioni durante il suo viaggio, questo giovane è riuscito a rimanere umanamente integro e a non provare risentimento nei confronti del genere umano – spiega -. Di lui mi hanno colpito la gentilezza e la voglia di trovarere il suo posto nel mondo, nonostante questo mondo lo abbia rifiutato”.

615 giorni di viaggio e di sofferenza

Nel libro, la parte che riguarda il viaggio non è romanzata. Sia il tempo che ha impiegato dal Pakistan all’Italia, sia tutto ciò che ha dovuto affrontare, sono reali. “Sayed deve aver sofferto moltissimo, a tal punto che in alcuni casi mi sono domandato se fosse giusto chiedergli di ricordare ancora ciò che aveva patito – afferma Accorsi -. Alcune parti sono state romanzate perché troppo crude e violente. Le storie dei migranti ci toccano nel profondo e da vicino, non possiamo ignorare ciò che accade appena al di fuori del nostro Paese”.

Gli occhi con cui guardare i migranti

Molto spesso non riusciamo a comprendere che chi sbarca sulle nostre coste è una persona come noi. Secondo Andrea Accorsi, in parte questo accade perché ci viene raccontata solo la parte “brutta” della loro storia. Si parla molto di ciò che accade nel Mediterraneo, ma molto poco di ciò che succede nelle rotte come quella dei Balcani. “Ci viene raccontata solo la parte finale della loro storia, dimenticando che la maggior parte dei migranti fugge da una vita impossibile – spiega -. Se provassimo a calarci nei panni di qualcuno che è nato a una latitudine distante da quella dove siamo venuti al mondo noi, potremmo capire il perché di queste fughe. In alcuni Paesi, la vita fin dal primo giorno ti presenta solo difficoltà, come trovare un pezzo di pane per sfamardi o dover resistere a regimi dove non c’è libertà di espressione. Se provassimo a immaginarci all’interno di queste vite, potremmo comprendere perché qualcuno sale su una barca per scappare dal suo Paese o rischia la vita attraversando per due anni l’Europa a piedi“.

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