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Il Myanmar, l’importante tassello nella partita geopolitica tra Usa e Cina

Intervista al dottor Giorgio Cuscito, analista per Limes su Cina e Indopacifico e curatore del Bollettino Imperiale, sulla situazione dell'ex Birmania dopo il colpo di Stato

Lo scorso 1 febbraio, le forze armate birmane hanno messo in atto un colpo di Stato per rovesciare il governo di Aung San Suu Kyi, al potere dopo le elezioni legislative del 2020, vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia, mentre il Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo – vicino all’esercito – ha conquistato poche decine di seggi.

Prima del golpe

Nel gennaio 2021, il generale Min Aung Hlaing, il capo delle forze armate ha contestato i risultati del ballottaggio e ha chiesto che fossero ricontrollati, altrimenti l’esercito sarebbe intervenuto per risolvere quella che ha definito crisi politica. La commissione elettorale ha negato tutte le accuse.

Le proteste in Birmania

Il golpe

Il primo febbraio, il consigliere di Stato Aung San Suu Kyy e il presidente Win Myint e altri leader del partito al governo sono stati arrestati e detenuti dal Tatmadaw – l’esercito birmano – che ha dichiarato lo stato di emergenza nel Paese e ha annunciato che il potere sarebbe passato nelle mani del comandante in capo delle forze armate Min Aung Hlaing. Il Tatmadaw ha giustificato il colpo di stato definendolo necessario per mantenere la stabilità del Paese e ha accusato la commissione elettorale di non aver posto rimedio a delle irregolarità che sarebbero avvenute nelle ultime elezioni. L’esercito, inoltre, ha annunciato l’intenzione di voler istituire “una vera democrazia multipartitia”, fatto che sarà possibile solo dopo “elezioni generali, libere ed eque”.

L’intervista

Ma qual è la situazione nel Paese? Quali sono gli interessi internazionali in gioco? Interris.it ne ha parlato con il dottor Giorgio Cuscito, analista per Limes su Cina e Indopacifico e curatore del Bollettino Imperiale.

Dottor Cuscito, qual è l’attuale situazione della Birmania?

“Il Paese si trova in una situazione attualmente instabile, perché dopo il colpo di stato di qualche mese fa si sono sviluppate delle tensioni interne che si sono trasformate in violenze tra le forze armate, il Tatmadaw, che ha condotto il golpe, e la popolazione che, invece, chiede di proseguire il lento processo di democratizzazione iniziato anni fa e che ha portato il partito di Aung San Suu Kyy al governo. Nonostante questo è bene specificare che le forze armate hanno sempre mantenuto un ruolo determinante nel sistema politico birmano”.

La foto della suora che si inginocchia davanti ai militari per chiedere che non si apra il fuoco sui manifestanti è diventata il simbolo di queste proteste. Che significato ha questa immagine?

“E’ una foto potente, la popolazione birmana cerca l’attenzione internazionale per accendere i riflettori sulle mosse del Tatmadaw. Abbiamo visto che alle proteste sono seguite le violenze e la morte di circa 700 persone. Per quanto le potenze straniere possano interessarsi alla questione, la loro capacità di intervento è limitata. Gli Stati Uniti, ma neanche i Paesi europei, sono disposti a intervenire direttamente in Myanmar per tutelare i suoi cittadini. Al più, questo Paese, è un tassello rilevante nella partita geopolitica tra Usa e Cina”.

Il portavoce della giunta militare ha prolungato da un anno a un anno e mezzo lo stato di emergenza, annunciando che entro due anni si svolgeranno le elezioni. L’obiettivo delle urne, è raggiungibile?

“Anche se si svolgessero delle elezioni fra due anni, il Tatmadaw difficilmente rinuncerebbe alla sua fetta di potere. Troverebbe comunque il modo per preservare il controllo del sistema politico. Ricordiamo che, anche dopo la vittoria della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, le forze armate birmane controllavano tre dei ministeri più importanti del Paese. Questo ci fa capire quanto il processo di democratizzazione non sia mai stato sviluppato in pieno e la scelta di condurre il colpo di stato in questo momento è dipesa sia dal fatto che La lega nazionale per la democrazia stava guadagnando troppo potere e consenso – questo dal punto di vista delle forze armate -, sia dalla convinzione del Tatmadaw che gli Stati Uniti e le forze occidentali non sarebbero intervenute in maniera diretta e vigorosa per timore di spingere il Myanmar ancora di più verso la Cina. Ricordiamo che negli ultimi anni, e durante il mandato di Aung San Suu Kyi, il governo birmano ha stretto fortemente i rapporti con Pechino, concludendo anche degli accordi infrastrutturali nell’ambito delle cosiddette Vie della Seta”.

Perché la Cina è così interessata a stringere rapporti con il Myanmar?

“E’ importante sottolineare qual è il ruolo del Paese dalla prospettiva cinese: è ricco di risorse minerarie e rappresenta una potenziale piattaforma all’Oceano Indiano tramite cui ridurre la dipendenza dei propri flussi e commerciali e miliardi marittimi dallo Stretto di Malacca, presidiato dagli Usa. In caso di una potenziale guerra sino-statunitense, Washington potrebbe ostruire quel collo di bottiglia. Il Myanmar, come il Pakistan, è un potenziale punto di transito ed è per questo che Pechino ha rafforzato i rapporti con questo Paese, raggiungendo accordi infrastrutturali nell’ambito di quelle che noi abbiamo ribattezzato Vie della Seta che è il progetto geopolitico della Cina con il quale cerca di espandere le proprie attività politiche, economiche e militari in Eurasia”.

Ma la Cina come vede l’attuale situazione del Myanmar?

“La Cina non fa i salti di gioia per questo golpe, perché i rapporti si erano intensificati molto durante il governo della Lega nazionale per la democrazia. Il principio che regola la strategia di politica estera cinese è sempre la stessa: interagire con dei Paesi il cui governo assicura un minimo di stabilità e quindi lo sviluppo dei progetti. Per la Cina, oggi, non importa chi governa il Paese, ma che il governante di turno assicuri lo sviluppo dei progetti. A ogni modo, una guerra civile in Myanmar danneggerebbe anche Pechino, in quanto l’ex Birmania confina direttamente con la Cina. Confinare con un paese instabile è estremamente pericoloso. Ricordiamo anche che Pechino storicamente dialoga con alcune minoranze etniche che si trovano al confine tra i due Paesi e che hanno origine cinese e li ha utilizzati per fare leva sul governo birmano. La Cina ha confermato di essere in contatto con tutte le parti: è un modo di segnalare l’interesse cinese sia al Tatmadaw sia agli altri”.

Dopo quella di aver utilizzato un walkie talkie illegale, nelle ultime ore è stata emessa una nuova accusa nei confronti di Aung San Suu Kyi, ossia di aver violato le norme per l’emergenza coronavirus… 

“Sì, sono dei pretesti per ostacolare la leader della Lega nazionale per la democrazia e giustificare le proprie mosse”.

L’Europa che ruolo potrebbe avere in questa situazione?

“Quello dei Paesi Ue è un ruolo limitato nella misura in cui possono attuare delle sanzioni al seguito degli Usa, e quindi potrebbero mettere pressione al governo golpista. In questo modo, però, si rischia di alimentare la dipendenza del Paese nei confronti della Cina. Questo è l’empasse di fronte a cui si trovano i vari Stati ed è il vero elemento che attribuisce rilevanza geopolitica alla questione birmana, ovviamente al netto della questione etica e morale legata allo scoppio dei conflitti interni. La posto in gioco sul piano geopolitico è questa”.

Il Myanmar riuscirà mai a uscire da questa situazione e a trovare un suo equilibrio?

“Un equilibrio potrebbe anche trovarlo. Il problema è fondamentalmente che le forze armate birmane non rinunceranno alla loro fetta di potere. Bisogna aspettare e vedere che effetto potrebbero avere le pressioni occidentali – secondo me limitato – a meno che il Myanmar non diventi un tassello così fondamentale nel rapporto fra Usa e Cina. In questo caso, forse, gli Stati Uniti e i suoi alleati potrebbero attuare delle manovre più severe per intervenire nella questione, ma lo farebbero in funzione anti-cinese. Allora, forse, potremmo assistere a qualche cambiamento più drastico, ma al momento non ci sono elementi che fanno pensare a una rinuncia volontaria da parte del Tatmadaw al controllo che hanno sul Paese. Se scoppiasse una guerra civile su ampia scala gli scenari sarebbero molteplici e il grado di incertezza aumenterebbe notevolmente. In quel caso, il ruolo della Cina sarebbe fondamentale. Cerca già da ora di porsi come mediatore, tenendo bene a mente quali sono i suoi interessi”.

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