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Mutismo selettivo: uno stato fisico o psichico?

Un disturbo che non si riferisce a patologie fisiche, cognitive o del linguaggio. Ecco cosa lo può scatenare e a quali segnali prestare attenzione

Il “mutismo selettivo” è un disturbo, contemporaneo, che riguarda soprattutto i bambini e che consiste nel parlare soltanto in casa, per rimanere in silenzio in altri contesti come la scuola o il gruppo dei pari. Il disturbo non si riferisce a patologie fisiche, cognitive o del linguaggio. Lo stato d’ansia che è alla base del mutismo selettivo, impedisce di parlare in contesti estranei a quello familiare. Il bambino non sceglie, per sua volontà, di non parlare né soffre di carenze sensoriali o di tipo neurologico, di deficit di apprendimento o di autismo.

Questo impedimento è, spesso, confuso con la timidezza. Occorre distinguere le due condizioni: la timidezza è una situazione temporanea, di minor intensità, che si riscontra in presenza di estranei in qualunque ambiente ci si trovi. Il mutismo selettivo, invece, è l’incapacità di parlare fuori delle mura domestiche (luogo in cui il bambino conversa amabilmente, con facilità e vivacità).

Lo evidenziò, per primo, un medico tedesco, Adolf Kussmaul, nel 1877, che lo definì come “asphasia voluntaria”. Nel 1934, fu chiamato “mutismo elettivo” dal medico Moritz Tramer (di Ostrava, oggi Repubblica Ceca), per arrivare poi alla definizione attuale, sottolineando l’aspetto della selezione (della cerchia) da parte del bambino e non l’intenzionalità. Rientra nei disturbi d’ansia previsti dal DSM-V (il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) del 2013.

Perché si possa parlare di mutismo selettivo, è necessario che il fastidio si verifichi per almeno un mese, in quanto potrebbero esserci dei rifiuti molto estemporanei e brevi durante i quali, i bambini, fuori della loro “comfort zone”, tendano a zittirsi. In tali casi non c’è una base d’ansia. Il problema, inoltre, non deve essere limitato solo al primo mese di scuola poiché è normale una fase di primo adattamento in un contesto completamente nuovo.

La reazione si manifesta in tentativi di nascondersi, assumere uno sguardo assente, voltarsi, ridurre la gestualità, fino a comportamenti oppositivi e aggressivi; a livello mentale lo stress si traduce con la somatizzazione. Il bambino può risultare condizionato dalle aspettative che si nutrono, nei suoi confronti, in ambiente sociale e scolastico e cadere, così, in una situazione di bassa autostima. È importante intervenire in modo tempestivo, con un’azione mirata e inclusiva che non lo costringa a forzature, favorendo l’integrazione e l’accettazione nel “gruppo classe”. È auspicabile invitare a usare il verbale nell’immediato, evitando domande incalzanti e riservare una crescita lenta e graduale, per arrivare all’obiettivo ed eliminare il disagio. Le strategie cognitivo-comportamentali, in cui il paziente e il terapeuta lavorano insieme (possibilmente non in ambiente clinico) per eliminare un problema d’ansia, sembrano le più indicate.

Occorre anche leggere l’elemento o il trauma scatenante: l’inquietudine provata e capire a cosa sia dovuta e come possa essere superata. Alcune volte, il disagio si risolve in modo autonomo, con la crescita e con la capacità di ambientarsi in contesti diversi, abbandonando lo stato d’ansia originario. Ciò che bisogna evitare, è un atteggiamento colpevolizzante nei confronti di chi ne soffre. L’errata valutazione ed eziologia del disagio provocò, infatti, nel passato, atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori nei confronti del bambino e dei suoi genitori. Si ricollegò, erroneamente, l’origine a disturbi emotivi o di tipo DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento).

Dal momento che tali bambini non hanno difficoltà nel linguaggio, fu errata anche la valutazione di aiutarli attraverso trattamenti di logopedia. I genitori non devono colpevolizzarsi se insorgesse un disturbo del genere poiché le cause non sono state ancora individuate con certezza. È opportuno, tuttavia, da parte degli stessi, evitare un atteggiamento iperprotettivo e un’educazione che accentui le negatività e le pericolosità del mondo esterno. Non è esclusa una componente genetica ed ereditaria con padri e madri che soffrono di stati d’ansia. C’è anche una causa sociale: famiglie iposocializzate, con scarse frequentazioni, possono incidere sull’insorgenza del fenomeno.

Le parole di Papa Francesco nel 2014 “E questo è il grande tempo della misericordia! Non vi sembra che nel no­stro tempo ci sia bisogno di un supplemento di condivisione fraterna e di amore? Non vi sembra che ab­biamo tutti bisogno di un supplemento di carità? Non quella che si accontenta dell’aiuto estemporaneo che non coinvolge, non mette in gioco, ma quella carità che condivide, che si fa carico del disagio e della sofferenza del fratello.

Emanuela Iacchia, psicologa e psicoterapeuta, e Paola Ancarani, mediatrice familiare ed esperta in counseling, sono le autrici del volume “Momentaneamente silenziosi” (sottotitolo “Guida per operatori, insegnanti e genitori di bambini e ragazzi con mutismo selettivo”), pubblicato da “Franco Angeli” nel marzo scorso. Le autrici hanno inserito, nel testo, diverse testimonianze di genitori alle prese con il mutismo dei figli, per approfondire l’argomento ed escludere interpretazioni estreme e non corrette: il pensare che sia incurabile o tendere a sottovalutarlo come una semplice timidezza.

L’Associazione Italiana Mutismo Selettivo (A.I.MU.SE.) che “nasce a Torino nel giugno 2009 come organizzazione di volontariato, per iniziativa di un gruppo di genitori di bambini affetti da mutismo selettivo ed è la prima organizzazione in Italia ad avere come missione primaria quella di diffondere la conoscenza di questo disturbo e di fornire un sostegno alle famiglie che vivono questo disagio”, fornisce, al link https://aimuse.it/alcuni-dati-sul-mutismo-selettivo/, alcuni dati significativi. Si legge “L’incidenza sulla popolazione è relativamente bassa ma stime recenti indicano che il mutismo selettivo riguarda 7 bambini su 1000. Il disturbo interessa maggiormente le femmine rispetto ai maschi. La comparsa del mutismo avviene intorno ai 4 anni, ossia quando i bambini iniziano ad avere i primi contatti con il mondo esterno alla famiglia (la scuola materna). Il mutismo selettivo colpisce bambini con differenti capacità cognitive. Nei bambini con mutismo selettivo possono essere presenti ulteriori difficoltà di linguaggio. Il mutismo selettivo è più frequente in bambini che vivono in famiglie socialmente isolate, in famiglie bilingui, che appartengono a minoranze etniche, o laddove siano presenti altri componenti della famiglia ansiosi, timidi o che presentino difficoltà nelle relazioni sociali”.

I social e Internet hanno una funzione spesso negativa poiché conducono a una chiusura, a un’apertura limitata soltanto passiva e legata al virtuale. Al tempo stesso, però, potrebbero avere una funzione positiva, di slancio, tra ambienti e amici favorevoli e conosciuti, a compiere un passo in avanti. La fase postpandemica è un fondamentale banco di prova per ridurre il mutismo e risolverlo in tempi brevi, per non alimentare pericolose chiusure sociali e relazionali, dall’infanzia all’età adulta.

La chiusura sociale che si è originata con il lockdown, ha aumentato la segregazione interna con le stesse e solite persone, escludendo il contatto con gli altri, frenando il cambiamento, i nuovi contatti, il dialogo “face to face”, inasprendo l’ansia. La problematica non riguarda solo i giovanissimi, interessa anche adolescenti e adulti; in loro si può manifestare come prima insorgenza o come un riaffiorare di precedenti esperienze. Nel caso di soggetti più in là con l’età, il problema va gestito differentemente, non essendoci la variabile scuola e l’apporto degli insegnanti. La società, inoltre, tende a dimenticare questi soggetti più adulti che percepisce come diversi e mancanti di capacità cognitive quando, invece, la motivazione è esclusivamente legata all’ansia che avvertono. In tale situazione, specie tra i giovani, oltre all’indifferenza subita, si possono verificare episodi di bullismo e denigrazione che accentuano gravemente la situazione. Il rischio dell’individuo, incapace di gestire nuove realtà sociali, è quello di precipitare in una chiusura totale e nell’evitamento di esperienze, con ripercussioni a carattere lavorativo e affettivo. L’autosegregazione e l’isolamento amplificano il disagio. È necessario, quindi, supportare il soggetto e cercare, anche centellinando e dilazionando i nuovi contatti, di aprirlo al mondo e alla socialità.

Alla base del mutismo vi è la paura di essere giudicati, un tema che ricorre frequentemente nell’essere umano e che, in questi casi, frena la parola per non esporsi a rimproveri o derisioni. A fronte di individui sempre pronti a giudicare, c’è chi soffre a esserlo, a subire un condizionamento e un voto continuo, per ogni parola o pensiero che proferisce. Il blocco della parola è il confine estremo su cui riflettere: un male, un disadattamento delle nuove generazioni. È in crescendo, non va sottovalutato.

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