Categories: copertina

Mori (Ispi): “Le cause della guerra dei narcos in Ecuador”

Nel quadro grande: carro armato in Ecuador. Foto: Unsplash. Nel riquadro piccolo: la professoressa Antonella Mori di ISPI

Ecuador nel caos sociale. Il neo presidente Daniel Noboa ha dichiarato “guerra” ai narcos, i potentissimi cartelli della droga locali. Ha elencato la presenza sul territorio nazionale di 21 gruppi del crimine organizzato transnazionale, definendoli “organizzazioni terroristiche e attori non statali belligeranti”.

In risposta al pugno di ferro del Presidente, Adolfo Macias, boss del principale cartello del narcotraffico – i Los Choneros – è evaso dal carcere di massima sicurezza di Guayaquil dando il via ad una serie di violenze spaventose nelle carceri e nelle città. Noboa ha ordinato l’evacuazione del Parlamento e di tutti gli uffici pubblici della capitale Quito e ha dichiarato “il conflitto armato interno” e lo stato di emergenza per 60 giorni. Una situazione esplosiva, che potrebbe aggravarsi da un momento all’altro e portare a uno scontro interno dagli esiti incerti.

Interris.it ha intervistato la professoressa Antonella Mori, responsabile del Programma America Latina per l’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), sulle cause delle violenze in Ecuador e sulle possibili conseguenze nel breve e medio periodo. L’Ispi è un centro studi specializzato in analisi geopolitiche e delle tendenze politico-economiche globali.

Ecuador (© Robinson Recalde su Unsplash)

L’intervista alla professoressa Antonella Mori di Ispi

Cosa ha scatenato le violenze in Ecuador?

“La situazione in Ecuador è precipitata dopo che il giovanissimo presidente dell’Ecuador, il 36enne Daniel Noboa eletto solo lo scorso 23 novembre, ha preso la decisione di allontanare i membri e i capi dei cartelli legati al narcotraffico dai delinquenti comuni nelle carceri. Prima li ha spostati su navi ancorate ai porti; poi, ha avuto l’idea di costruire un grosso carcere di massima sicurezza affinché fosse impossibile per loro continuare – come accadeva – di dare ordini e seguire il narcotraffico dal carcere. L’idea del presidente era quella di interrompere le comunicazioni dei boss incarcerati con i propri sottoposti all’esterno. Un’idea teoricamente molto valida, ma non facile da applicare in Ecuador dove i cartelli del narcotraffico sono estremamente potenti”.

La proposta di Noboa a cosa ha portato?

“Ha portato a delle rivolte massicce ed estese nelle carceri ecuadoriane. E, soprattutto, alla fuga del boss del cartello più forte del Paese: Adolfo Macias, detto ‘Fitto’, leader del cartello del narcotraffico Los Choneros. C’è poi stata l’irruzione armata nello studio televisivo pubblico Tc Televisión, in Ecuador, durante una trasmissione in diretta. Senza vittime fortunatamente. Ma non credo che sia un caso”.

In che senso?

“Credo che i cartelli del narcotraffico stiano portando avanti azioni violente dimostrative per far comprendere al presidente che non è bene proseguire sulla strada intrapresa. I boss non vogliono essere isolati in strutture di massima sicurezza perché non vogliono essere tagliati fuori dal controllo del narcotraffico, che continuano ad avere dal carcere. Queste sono le prime avvisaglie al neo eletto, azioni di forza dimostrative nei confronti del governo al fine di arrivare ad una negoziazione ed evitare uno scontro armato aperto. Stanno creando terrore – hanno occupato delle carceri, delle università, sono entrati negli ospedali e in uno studio televisivo, hanno ancora decine di ostaggi – con lo scopo, probabilmente, di obbligare il governo, (che adesso sta rispondendo col pugno di ferro) a intraprendere la strada del negoziato”.

Per negoziare cosa?

“Noi forse non lo sapremo mai per certo. Probabilmente, i boss chiedono al presidente di lasciare le cose come stavano prima della sua elezione. In pratica, chiedono la possibilità di gestire i propri affari – legati principalmente al narcotraffico – anche da dentro le carceri senza troppe intromissioni da parte del Governo”.

I cartelli della droga hanno potere negoziale?

“Decisamente sì. Sono potentissimi, ricchissimi e numericamente forti. Attualmente il cartello in Ecuador ha all’incirca 10.000 seguaci. Sono inoltre legati ai cartelli degli altri Paesi latinoamericani come Messico, Colombia, Venezuela e il confinante Perù e hanno contatti importanti in Europa. E, lo ricordiamo, sono armati. Hanno insomma una capacità di mobilizzare persone e capitali enorme. Questo è un problema grosso per il governo ecuadoriano. Perché o sceglie le maniere forti rischiando la guerra civile o sceglie di scendere a patti con i cartelli del narcotraffico”.

Lei che cosa prospetta?

“Non è possibile saperlo per certo, ma l’esperienza degli altri Paesi è maestra. In Messico, ad esempio, il Governo non riesce (o non vuole) portare avanti una lotta quotidiana contro i cartelli messicani, i più potenti del mondo. Hanno trovato degli ‘equilibri’ ma non si fanno la guerra. Credo che l’Ecuador potrebbe scegliere di percorrere la stessa strada al fine di interrompere gli atti di terrorismo. Riuscire veramente a sconfiggere i 22 gruppi terroristici del paese nel breve periodo, e anche nel medio, mi pare davvero difficile. Devono arrivare a una qualche forma di convivenza. Ma è tutto ancora da scrivere, vediamo come si comporterà Noboa. Che ha incassato, almeno ufficialmente, l’appoggio alla sua lotta al narcotraffico in primis dagli Usa – che sono il primo mercato dei cartelli della droga – e da diverse altre Nazioni latinoamericane”.

Se Noboa non dovesse scendere a patti, si potrebbe rischiare una guerra civile?

“Nel breve periodo sì, però è improbabile che ciò avvenga”.

Perché?

“Perché non sarebbe nell’interesse di nessuno. Né dei narcotrafficanti, che non hanno nessun interesse a impegnarsi in una guerra civile: non vogliono il potere politico ma essere lasciati in pace nei loro traffici. Né tanto meno della popolazione civile che si troverebbe tra due fuochi: quello dei cartelli e quello delle forze dell’ordine. Spero che Noboa non metta in pericolo la vita dei propri cittadini e che si trovino altre soluzioni”.

Milena Castigli: