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Mons. Reina: “L’eredità educativa del beato Puglisi a 31 anni dalla morte”

A sinistra: mons. Baldassare Reina. Foto: ALESSANDRO AMORUSO per Imagoeconomica. A destra: padre Puglisi. Foto: Centro di Accoglienza Padre Nostro ETS

Il beato don Pino Puglisi rappresenta un faro di speranza e di lotta contro le mafie, un testimone di coraggio e fede che continua a ispirare le nuove generazioni, a 31 anni dall’assassinio per mano mafiosa. Attraverso il suo impegno educativo e la sua incrollabile dedizione ai giovani, padre Puglisi ha cercato di trasformare la società, opponendosi con forza alla mentalità di Cosa Nostra che avvelenava la vita degli abitanti del suo quartiere, il Brancaccio di Palermo, una delle tante “periferie” d’Italia. A 31 anni dalla sua morte, Interris.it approfondisce la sua eredità attraverso l’intervista esclusiva a monsignor Baldassare Reina, vescovo ausiliare di Roma, che con grande saggezza e conoscenza ci guida nella comprensione dell’impatto duraturo che la vita e il sacrificio di padre Puglisi ha ancora oggi, approfondendo le sfide che il beato ha affrontato, la sua innata capacità di coniugare il Vangelo con l’azione concreta e l’importanza del suo esempio per le nuove generazioni. L’intervento di mons. Reina offre una riflessione profonda su come l’educazione, la fede e il coraggio possano cambiare il corso della storia, ispirando oggi e sempre il nostro impegno per un mondo più giusto e libero dalla mafia.

L’intervista a monsignore Baldassare Reina

Qual è la sfida educativa che padre Puglisi affrontava per contrastare la mentalità mafiosa?

“Padre Puglisi ha intuito che se si vuole sconfiggere la mentalità mafiosa bisogna partire dai bambini e offrire loro la possibilità di una adeguata formazione scolastica perché acquisiscano gli strumenti necessari per una crescita integrale, robusta culturalmente e moralmente, in modo da metterli nelle condizioni di saper riconoscere il bene dal male e di prendere le distanze da tutto ciò che danneggia la vita umana”.

Perché i poteri criminali temevano così tanto l’approccio educativo di padre Puglisi da decidere di farlo assassinare?

“I poteri criminali capirono che l’azione di padre Puglisi non era a breve termine, non era una semplice denuncia dall’altare o il grido estemporaneo davanti a un omicidio. No. Era azione a lungo raggio che avrebbe prodotto risultati nell’arco di qualche decennio, scardinando la mentalità mafiosa prima ancora che i singoli gesti mafiosi. I boss ebbero chiaro che se Padre Puglisi avesse continuato la sua azione educativa con i ragazzi sarebbe venuto meno il terreno ‘fertile’ in cui loro ogni giorno gettavano semi di morte per raccogliere altrettanta morte nel presente e nel futuro”.

In che modo padre Puglisi utilizzava il Vangelo per contrastare la mentalità mafiosa?

“Il Vangelo è sempre dalla parte dell’uomo, è per la promozione della dignità della persona umana, per il suo sviluppo integrale, per il bene comune, per la giustizia, per la pace. P. Puglisi accostava in modo mirabile Vangelo e Vita. Mostrava come quelle pagine scritte duemila anni fa hanno ancora tanto da dire all’uomo di oggi; mostrava che non si può essere cristiani e uccidere o operare a danno degli altri. La sua predicazione, inoltre, era accompagnata dalla vita, dalla testimonianza della sua vita. Ciò che predicava lo viveva e lo ha vissuto fino alla fine regalando ai suoi uccisori un sorriso disarmante”.

Come la vita e la bontà del beato hanno cambiato il cuore del suo assassino?

“Quel sorriso di cui parlavo prima ha ferito il cuore del suo assassino. Il sorriso del Vangelo che padre Puglisi ha incarnato è stato più efficace della pistola. È vero quello che scrive S. Paolo nella lettera ai Romani: ‘imparate a vincere il male con il bene’. Padre Puglisi ci è riuscito e quella reazione inaspettata alla fine dei suoi giorni è stato un germoglio per una vita nuova”.

Pensa che la figura di don Puglisi, a 31 anni dal martirio, sia ancora attuale per le nuove generazioni e perché?

“La Diocesi di Palermo e la Chiesa tutta si è impegnata in questi anni a rendere vivo il ricordo di Padre Puglisi perché si ritiene che il suo esempio luminoso abbia ancora molto da dire. La mentalità mafiosa purtroppo non è stata ancora debellata. Rimane molto da fare e su tanti fronti. La Sicilia soffre tanto per la mancanza di lavoro e ancora oggi la malavita si presenta come occasione per fare soldi subito e in modo facile. Serve un’azione congiunta dello Stato, della Scuola e della Chiesa perché sulla scia di Padre Puglisi si dia la giusta attenzione ai ragazzi e ai giovani. Dobbiamo ripartire da lì e da loro, dando loro gli strumenti culturali e le opportunità sociali che serviranno a tirarli fuori dalla mafia”.

Padre Puglisi è una figura importante anche per i consacrati?

“Certamente: padre Puglisi è un esempio luminoso anche per noi sacerdoti. Abbiamo bisogno di uomini che vivano il loro ministero alla maniera di P. Puglisi, impegnandosi ogni giorno ‘pane spezzato’ per le persone loro affidate”.

Come celebrare al meglio questo anniversario?

“Celebrare gli anniversari è sempre ‘rischioso’. La tentazione è quella di ricordare una persona o un evento solo per il giorno stabilito. Vale per padre Puglisi e vale per tutti i testimoni di giustizia e di Vangelo: non abbiamo bisogno di anniversari ma di ricordi nel quotidiano; mi piacerebbe tanto se tutti gli uomini e le donne di buona volontà ogni giorno, nell’adempimento del loro dovere, nel contatto con i ragazzi, nel contrastare le logiche del male…ricordassimo padre Puglisi e la sua grande testimonianza. Lui ha fatto la sua parte e l’ha fatta fino in fondo. Adesso tocca a noi!”.

In che modo concretamente?

“Ci attende l’impegno nel quotidiano, nelle piccole cose di ogni giorno. Forse non ci raggiungerà mai la pistola di un sicario ma avremo mille occasioni in cui saremo tentati di scegliere scorciatoie, favoritismi, compromessi. In quegli istanti proviamo a ricordare padre Puglisi e con il suo sorriso rispondiamo in modo determinato: ‘No. Grazie! Io sto dalla parte del Vangelo!'”.

Milena Castigli: